3 aprile 2014: cosa resta delle Province italiane e i sindaci superman

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Da ieri, 3 aprile 2014, le Province sono ufficialmente abolite. O forse no? Lo sono, certamente, sui titoli di molti giornali, smaniosi di dare l’annuncio più atteso sulla cancellazione dell’ente diventato simbolo degli sprechi di Stato, in particolare dopo il noto best seller “La Casta” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

In realtà, con la riforma Delrio di ieri, le Province come ente rimangono esattamente al loro posto: neanche una delle 107 amministrazioni provinciali, infatti, sparisce dalla cartina geografica. Al momento, è certo che solo le dieci città metropolitane, in partenza dal primo gennaio 2015, prenderanno il posto delle rispettive Province nelle dieci aree più popolose, anche se, da più parti, il sospetto è che si tratterà dei vecchi enti con una denominazione un po’ più accattivante. Si vedrà.Sicuramente, il numero delle aree metropolitane sarà destinato a salire perché, dal computo, sono ancora escluse le regioni a statuto speciale, da cui ne arriveranno almeno la medesima quantità. Basti pensare, infatti, alla Sicilia, dove la legge voluta dal governatore Crocetta, per il momento, ha istituito i consorzi di Comuni al posto delle smantellate Province dell’isola. Ma quel che più conta è che gli altri enti, da nord a sud, non verranno scalfiti, continuando a svolgere le mansioni più significative che, fino a oggi, hanno caratterizzato il loro ruolo nel governo del territorio.

Dunque, parlare di abolizione, oltre che tecnicamente improprio, è mistificatorio della realtà. Innanzitutto, a livello procedurale, una vera e propria abolizione sarebbe possibile solo mediante un disegno di legge costituzionale: non stupisce, infatti, che dopo l’ok al ddl Delrio in Senato, la riforma di palazzo Madama proposta dal governo Renzi si sia trovata a ospitare, in fretta e furia,anche la scomparsa del termine dalla Carta fondamentale. Quindi, a livello effettivo, la conseguenza del ddl Delrio potrebbe essere quella di lasciare la struttura delle Province, tra uffici, dirigenze, servizi e funzioni, pressoché intatta.

province

Ma, allora, cosa cambia veramente? A mutare non è altro che la composizione dei consigli provinciali, che verranno ridotti, innanzitutto, a organi di indirizzo politico per enti di secondo livello. Questo, perché a comporre giunta e consiglio non saranno altro che i sindaci e i consiglieri già operanti nei municipi compresi all’interno dell’alveo provinciale – che, ancora, non verrà minimamente ritoccato. Dunque, vengono tagliate le indennità di carica agli assessori e i gettoni di presenza ai consiglieri. Quanto sarà davvero questo risparmio? Alcuni studi dicono poche decine di milioni, mentre il governo valuta in 700 milioni l’introito effettivo dell’intera riforma.

Il costo complessivo degli enti provinciali viene stimato in 12 miliardi di euro: quale che sia il reale impatto del ddl Delrio, dunque, possiamo parlare di tutto, fuorché della scomparsa delle Province e degli eventuali “sprechi” che queste possono aver realizzato. E, da un certo punto di vista, verrebbe da dire “meno male”: se, davvero, queste fossero state abolite ieri pomeriggio, da oggi a chi sarebbe in capo la gestione delle strade, dell’edilizia scolastica e dell’ambiente? Che il ddl Delrio non recasse reali convenienze all’apparato burocratico-governativo, poi, era stato già certificato in più occasioni dalla Corte dei conti, che aveva stroncato sul nascere il testo approvato ieri.

Il problema, semmai, sarà di ordine organizzativo: con il nuovo ordinamento, infatti, i sindaci potrebbero accumulare una collana di incarichi, tra municipi, città metropolitane o province, unioni di comuni, gestione delle funzioni associate: forse, troppi, per amministratori spesso di località periferiche, che potrebbero trovarsi costretti a lunghe trasferte e a una generale minore attenzione verso i bisogni dei propri elettori. Non vogliamo pensare che la riforma delle Province possa finire per produrre l’allontanamento della politica dai cittadini. Va bene la retorica del sindaco d’Italia e del decisionismo, ma qui, tra risparmi reali – pochi – e ricadute amministrative, si rischia davvero di produrre un effetto esattamente opposto a quello sperato.

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Francesco Maltoni

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