Contratto di solidarietà 2020: cos’è, stipendio, quando si utilizza, a chi si applica

Paolo Ballanti 03/08/20
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Il contratto di solidarietà ha la funzione di ridurre l’orario di lavoro dei dipendenti in forza con lo scopo di evitare riduzione di personale o al contrario incrementare l’organico.

Per questo motivo si parla di contratti di solidarietà “difensivi” ed “espansivi”. In generale, si arriva al contratto di solidarietà tramite accordi stipulati tra azienda e organizzazioni sindacali per ridurre l’orario di lavoro, per:

  • mantenere l’occupazione in caso di crisi aziendale e quindi evitare la riduzione del personale (contratti di solidarietà difensivi,art. 1 legge 863/84);
  • favorire nuove assunzioni attraverso una contestuale e programmata riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione (contratti di solidarietà espansivi art. 2 legge 863/84).

La logica è quella del “lavorare meno per lavorare tutti”.

Contratto di solidarietà difensivo: cos’è 

I contratti di solidarietà difensivi (CDS) sono accordi aziendali stipulati con lo scopo di ridurre l’orario di lavoro per evitare in tutto o in parte esuberi di personale.

Con riferimento al singolo dipendente la contrazione complessiva non potrà eccedere il 70% dell’orario di lavoro, prendendo in considerazione il periodo in cui l’accordo di solidarietà è vigente.

Non solo, la riduzione media oraria di tutti i destinatari del CDS non potrà superare il 60% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile.

La Cassa integrazione a copertura dei periodi in solidarietà non potrà eccedere i 24 mesi nell’arco di un quinquennio. Il limite si considera per “unità produttiva”. Di conseguenza ipotizziamo il caso dell’azienda Alfa con più unità produttive:

  • Torino;
  • Milano;
  • Bologna

I 24 mesi si considerano distinguendo i periodi di solidarietà fatti da ciascuna unità. Ad esempio Torino potrebbe avere altri 10 mesi di CDS, Milano al contrario 6 mesi e così via.

Contratto di solidarietà espansivo: cos’è 

Il contratto di solidarietà espansivo è stato sostituito, a partire dal 30 giugno 2019, dal “contratto di espansione” riservato ad aziende con oltre 1.000 dipendenti, interessate da processi di re-industrializzazione e riorganizzazione che necessitano di una modifica delle procedure aziendali in un’ottica di progresso e sviluppo tecnologico.

In quest’ottica, l’accordo deve prevedere l’assunzione di nuove professionalità, mentre per i lavoratori già in forza:

Contratto di solidarietà 2020: lo stipendio 

Le ore perse a seguito dell’intervento del CDS sono a carico dell’INPS attraverso l’istituto della Cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS).

La prestazione non copre tuttavia l’intera retribuzione per le ore non lavorate. La CIGS infatti ammonta all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata al dipendente per le ore non prestate comprese fra zero ore e l’orario previsto dal CCNL applicato per i tempi pieni.

Ipotizziamo il caso del dipendente Caio con retribuzione mensile lorda pari ad euro 2.051,00 corrisposta in 14 mensilità, a tempo pieno 40 ore settimanali distribuite su cinque giorni.

Per determinare la retribuzione globale è sufficiente operare il seguente calcolo:

(2.150 / 12) * 14 (numero delle mensilità complessive) = 2.508,33.

Tuttavia, gli importi a titolo di Cassa integrazione sono soggetti ad un importo massimo stabilito annualmente dall’INPS, il cosiddetto “massimale mensile”. Per il 2020 il valore è pari a:

  • 998,18 euro nel caso in cui la retribuzione mensile di riferimento sia pari o inferiore a 2.159,48 euro;
  • 199,72 euro qualora la retribuzione sia superiore a 2.159,48 euro.

Per quanto riguarda Caio, si applica il massimale lordo di 1.199,72 euro cui dev’essere detratto il 5,84% portando la somma netta a 1129,66 euro.

A questo punto, pensiamo che Caio abbia fatto 80 ore di CDS nel mese di Giugno 2020 dove, considerando i giorni festivi e le domeniche, le ore lavorabili del mese saranno 176.

A questo punto si divide 1129,66 / 176 = 6,41852 euro, valore orario del CDS da moltiplicare per le ore non lavorate:

6,41852 * 80 = 513,48 euro

Questo rappresenta il valore riconosciuto al dipendente per le ore non lavorate.

Il calcolo delle competenze a questo punto è semplice:

  • Retribuzione lorda mensile euro 2.150,00 +
  • Assenza per CDS (2.150,00 / 168) * 80 = 1.023,81 –
  • CDS conto INPS euro 513,48 +
  • Totale competenze euro 1.639,67.

Il valore del totale competenze è da confrontare con quanto il dipendente avrebbe percepito in caso di normale attività: 2.150,00 euro lordi.

Chi può avere il contratto di solidarietà

Questa tipologia di contratto può essere stipulata per tutto il personale dipendente di un’azienda, ad accezione di:

  • dirigenti;
  • lavoratori a domicilio.

Durata massima del contratto di solidarietà

L’impresa può stipulare contratti di solidarietà per una durata massima di 2 anni, prorogabili di altri 2 anni. Terminato questo periodo è possibile stipulare un nuovo contratto di solidarietà con lo stesso lavoratore solo dopo un anno dal precedente.

 

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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali. 

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