La rivoluzione digitale che sta trasformando la nostra vita

Virginio Sala 28/05/16
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Virginio B. Sala, che ha tradotto per Apogeo Education il libro di Inder Sidhu Digital revolution, in questo articolo inizia a raccontarci la vera e propria rivoluzione (il termine non è esagerato) che grazie alla “Internet delle cose” promette di trasformare ogni ambito della nostra vita. Anzi, lo sta già trasformando. Proprio ora.

Quando nel 1980 ho acquistato il mio primo personal computer (era un Apple II), non ero proprio fra i primissimi ad accostarmi a quell’oggetto, ma eravamo ancora, in fondo, agli inizi. Quella che ho portato a casa in quell’anno era una macchina fondamentalmente chiusa in se stessa: era un computer “personale” nel senso pieno del termine. Farlo comunicare con altri dispositivi era possibile, ma non proprio scontato: in molti casi, l’interfaccia RS-232 che consentiva le comunicazioni era una scheda aggiuntiva che andava acquistata a parte, e far comunicare due microcomputer non era banale. Ricordo la fatica, non molto tempo dopo, per far comunicare un personal computer con un terminale da fotocomposizione: mesi per procurarsi una scheda adatta, giorni di esperimenti inutili. Non è passato poi molto tempo, ma oggi diamo per scontato che i nostri dispositivi comunichino fra loro e in generale che lo facciano senza sforzo: se porto a casa un nuovo apparecchio, è normale che si accorga della presenza di un hotspot WiFi – mi chiederà la password (è giusto che “lui” non la sappia, altrimenti mi preoccuperei), ma poi non ha bisogno di altro. Pochi secondi e si è agganciato alla rete.

Se mi guardo in giro, sono ben poche le cose che vedo e che posso dire con certezza non siano state toccate dal digitale: la siepe è sicuramente naturale (analogica?), ma l’impianto di irrigazione programmabile qualche componente digitale ce l’ha sicuramente. Direi che non è ancora in rete, ma poco ci manca – ma questa non è casa mia, non sono sicuro che non ci sia già un’app per controllarlo da remoto con uno smartphone. Non mi meraviglierebbe un granché: in fondo, ci sono anche scarpe da ginnastica dotate di GPS che possono tracciare il percorso di chi corre – così potrà sapere quanta strada ha fatto, in quanto tempo, a che velocità media e così via, nonché (visto che quelle informazioni da qualche parte saranno memorizzate) fare dei confronti con le sue prestazioni nei giorni precedenti.

L’esempio delle scarpe da ginnastica non è di Sidhu, mentre lo è quello dei cassonetti Bigbelly installati a Filadelfia e in varie altre città del mondo: cassonetti per i rifiuti, che compattano i loro contenuti e sono in grado di avvisare (grazie a sensori wireless e a connettività da Internet delle cose) quando sono pieni, perché chi di dovere provveda a svuotarli. Così, basta giri di ritiro della spazzatura prestabiliti, magari in parte inutili, ma interventi mirati solo quando sono necessari. Con maggiore efficacia e risparmi significativi.

Scarpe e cassonetti Bigbelly sono solo due esempi di cose che, dotate di sensori e connettività, generano dati che si accumulano – per quel che ne sappiamo, da qualche parte nel “cloud”, che pare qualcosa di immateriale, ma non sta affatto nel regno dei cieli bensì in enormi centri pieni di server e apparecchiature di memoria. Le cose diventano intelligenti e connesse fra loro, comunicano e generano dati (i famosi “big data”); su quei dati, infine, si esercitano gli strumenti sempre più potenti della cosiddetta analisi predittiva, attività a sua volta basata su strumenti digitali e in gran parte automatici. Sono questi gli elementi che stanno rendendo possibile la “rivoluzione” – tanto più rilevante di quella del personal computer perché in gran parte è inavvertita, almeno da noi comuni mortali – che avviene a livello di oggetti, anche minuscoli, ieri “stupidi”, oggi (o al più in un domani potenzialmente molto vicino) “intelligenti” o, come si dice spesso, “smart”.

Dal libro di Sidhu si capisce bene quanta potenza sia in gioco nella trasformazione e quanto sia importante non lasciare che passi inavvertita: i problemi di sicurezza, di privacy, di proprietà intellettuale (che già sono notevoli e non hanno trovato soluzioni soddisfacenti) sono solo quelli più appariscenti, o almeno quelli di cui più si parla (basta pensare alla vicenda dello sblocco degli smartphone Apple). Anche Sidhu li affronta, presentando le posizioni in campo e proponendo qualche possibile soluzione, direi “da tecnologo ottimisticamente moderato”, ma sicuramente non sono qui le sue competenze.

Quel che il libro mette a disposizione è una bella panoramica di ciò che sta cambiando; è un utile strumento per esercitare la riflessione e allargarla a considerazioni non semplicemente tecnologiche: cassonetti intelligenti, lampioni che si autoregolano, sistemi di controllo del traffico, car sharing, servizi come Uber (altro nome di cui si è parlato molto anche in Italia negli ultimi tempi), domani auto che si guidano da sole, smart grid (e via elencando) possono essere tasselli utili per migliorare la vita nelle città, ma possono anche diventare fattori di ulteriore approfondimento delle disuguaglianze – in fondo, quale impatto possono aver cose di questo genere, poniamo, in una città come Giakarta, dove cinque milioni di persone vivono precariamente negli slum?

Non ci sono città italiane esattamente nelle stesse condizioni di Giacarta (o Lagos, o Mumbai), ma i quartieri degradati non mancano nemmeno nel nostro Paese e non basteranno le tecnologie a risolvere questi problemi, anche se sarebbe stupido (poco “smart”) non sfruttare, nella ricerca delle soluzioni, ogni ausilio tecnologico – magari proprio a partire da quelli che rendono possibili forme nuove di partecipazione e condivisione delle decisioni. Come dice Sidhu in una delle ultime frasi del libro, anche se un po’ retoricamente, “purché queste idee portino avanti la causa dell’umanità, che siano le benvenute”.

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Virginio Sala

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