Riforma Pensioni e flessibilità in uscita: quando scatta l’obbligo di adesione a Fondi Pensione?

Redazione 11/05/16
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Sul fronte delle pensioni, si è riaperto il capitolo della riforma pensionistica per introdurre misure di flessibilità in uscita dal lavoro, correggendo quanto disposto dalla legge Fornero su età pensionabile e requisiti, e allo stesso modo tutelando quei lavoratori a cui si prospettano assegni pensionistici sempre più magri.

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In tal senso, si parla di consentire la destinazione, soltanto parziale, del TFR ai fondi pensione, o viceversa di accrescere la deducibilità dei contributi; ulteriore opzione è quella poi di diminuire le aliquote fiscali che gravano su rendimenti annui e prestazioni.

Ora, dunque, il fulcro della questione, rimane quello di valutare come e quanto l’equilibrio tra queste stesse misure riuscirà a spingere concretamente l’adesione alla previdenza complementare, per lo meno più di quanto avviene ora.

RIFORMA PENSIONI: SCATTA L’OBBLIGO DI ADESIONE AI FONDI PENSIONE?

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Nel pacchetto di interventi a favore della riforma pensionistica potrebbe includersi anche una qualche forma di adesione obbligatoria alla previdenza complementare.

La questione, però, si rivela delicata in quanto, se da un lato spinge i lavoratori a risparmiare allo scopo di riuscire a tutelarsi da una vecchiaia indigente grazie ad uno strumento proprio; dall’altro invece simili forme “coercitive” di assicurazione (sulla scia della Rc Auto) non sempre sono viste dai contribuenti come strumenti agevolativi bensì piuttosto come vere e proprie imposizioni.

L’opzione comunque viene a riguardare soltanto il 2° pilastro pensionistico. L’assicurazione generale obbligatoria (cosiddetta A.g.o), infatti, come tale non permette nessun margine di flessibilità, questo anche per via del fatto che nel nostro sistema a ripartizione i contributi dei lavoratori vengono utilizzati per sborsare le pensioni già in essere.

In realtà, circa il fatto che i fondi pensione di 2° pilastro siano in qualche forma obbligatori non è poi un’ipotesi così tabù. Basti pensare, come riporta il Sole24Ore, che l’assicurazione generale obbligatoria (A.g.o) è tale solo a partire dal 1° settembre 1950 in quanto prima di questa data lo era soltanto per i soggetti che percepivano una retribuzione che stava sotto ad una certa soglia; tutti gli altri, invece, avevano libera facoltà di assicurare o meno con lo Stati la propria vecchiaia.

Ci si chiede pertanto se lo stesso discorso sarebbe applicabile anche alla previdenza complementare, se si ipotizza, ad esempio, che si possa rifiutare di aderire obbligatoriamente ai fondi pensione, rinunciando tuttavia a forme di maggiorazione della pensione minima, oppure dimostrando di poterci rinunciare una volta raggiunta l’età pensionabile.

La questione a questo punto è: come si fa a sapere già ora che non ne avremo bisogno?  E’ concretamente ipotizzabile, infatti, che un lavoratore dipendente possa voler rinunciare ad un pilastro che per via dell’effetto capitalizzazione dei rendimenti composti, nel corso degli ultimi 18 anni, ha concesso rendimenti di gran lunga superiori a quelli di 1° pilastro, oltre che del Tfr? A voi la scelta.

Redazione

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