L’allontanamento giudiziario del minore dalla famiglia, come funziona?

Redazione 20/02/16
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di Maria Sellitti

Rispetto all’allontanamento giudiziario del minore dalla famiglia il nostro Codice Civile disciplina all’art. 330 l’ipotesi più grave, di allontanamento del minore per decadenza dalla responsabilità genitoriale, ed all’art. 333 l’ipotesi meno grave e più frequente di condotta genitoriale pregiudizievole ai figli, giustificante comunque la misura dell’allontanamento.

Quando, contestualmente all’allontanamento, non è possibile l’inserimento del minore in una famiglia (L. n. 183/84, L. n. 149/01, L. n. 173/15, etc.), il Tribunale per i Minorenni può disporre la collocazione dello stesso in una Comunità per Minori.

In questi casi compito della struttura comunitaria non è solo quello dell’accoglienza, ma anche quello dell’osservazione del minore, trasmessa ai Servizi sociali e/o direttamente all’Autorità Giudiziaria tramite relazioni periodiche.

Insieme alle eventuali valutazioni mediche specialistiche ed alle verifiche dei Servizi sociali, l’osservazione comunitaria condotta 24 h/24 h rappresenta infatti un prezioso strumento di conoscenza e inquadramento dei bisogni e delle caratteristiche del minore, sia al fine del migliore possibile abbinamento dello stesso con una famiglia affidataria/adottiva, sia, spesso, anche allo scopo di una compiuta ricostruzione delle esperienze di vita del bambino/ragazzo, necessaria per la migliore valutazione ed il più opportuno inquadramento, da parte dei Servizi socio-sanitari e dell’Autorità Giudiziaria, della pregressa realtà familiare esperita dal soggetto.

All’interno della Comunità in cui per un certo periodo il minore vive sviluppando tutte le proprie dimensioni esistenziali (alimentazione, rapporto con il proprio corpo e con le proprie cose, relazioni con i pari e con gli adulti, etc.) lo stesso racconta, “mette in scena” i propri modelli esistenziali e relazionali acquisiti dalla famiglia d’appartenenza, agisce i propri schemi comportamentali disfunzionali, ripropone, in ogni momento della giornata, la propria personale “storia”, essendo la stessa costantemente attenzionata da operatori specificatamente preparati.

Pensare che un’analoga ricchezza d’informazioni possa essere ottenuta esclusivamente attraverso colloqui e/o visite psicologiche e/o specialistiche periodiche è, ovviamente, inappropriato.

Da qui l’idea della Comunità per Minori come “laboratorio” di analisi psicologica e comportamentale, tramite, ovviamente, il quotidiano utilizzo di elevati livelli di professionalità.

Da qui anche, consequenzialmente, l’idea della Comunità come “officina” relazionale e comportamentale, luogo di sperimentazione e proposizione al minore di nuovi e più efficaci modelli di relazione e di condotta.

Idea di fondo rispetto alla possibilità di un tale operare comunitario è che, nella stragrande maggioranza dei casi, il minore è allontanato dal suo contesto familiare a seguito di gravi/gravissime inadeguatezze dello stesso, a causa dell’espressione familiare di schemi di condotta fortemente disfunzionali (ad es., caratterizzati dalla violenza verbale e/o fisica, dall’incuria, etc.), essendo gli stessi schemi inevitabilmente trasmessi dai genitori ai figli (in quanto gli unici o per lo meno i prioritari schemi di riferimento). L’acquisizione di modelli patologici o comunque marcatamente incongrui (rilevabile nella pratica clinica anche in bambini molto piccoli) determina anche da parte dei figli l’espressione di modalità relazionali e comportamentali inadeguate rispetto al più ampio sistema sociale di riferimento, secondo tempi variabili e con manifestazioni sovente evolventesi nel corso degli anni (da condotte aggressive verso i pari nell’ambito del gioco ad atteggiamenti bullistici nella preadolescenza, etc.).

Tali schemi non possono essere pedissequamente corretti attraverso l’applicazione di semplici pratiche educative comportamentistiche (ad es., basate sul modello:  rinforzo/punizione), ma necessitano inevitabilmente di un lavoro più ampio ed approfondito di lettura dei bisogni e contestuale accompagnamento psico-educativo, nel più continuativo raccordo tra i diversi enti coinvolti.

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La comunità- officina

Il disagio psico-sociale dei minori si costruisce “mattone dopo mattone”, sino alla realizzazione di “edifici” di personalità gravemente inadeguati, individualità contrassegnate da sofferenza psichica, devianza sociale, pluri-dipendenze.Percorso inverso è quello della costruzione di modelli esistenziali funzionali, per questi bambini e ragazzi, a una positiva espressione di sé nel contesto sociale.Come nella “Comunità-Officina”, struttura educativa per minori con l’obiettivo di impostare e avviare, insieme al giovane ospite, un adeguato e sereno percorso di vita.Narrazione, descrizione e argomentazione si incrociano in questo volume, dando testimonianza, per stile e per opzione epistemica, alla grande tradizione della psicopatologia europea.Maria Sellitti, Psicologa e psicoterapeuta, coordinatrice e consulente di comunità educative e terapeutiche per minori, docente a contratto presso l’Università degli Studi di Macerata.

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