Uguaglianza dei cittadini a prescindere dall’orientamento sessuale: sarà possibile?

Redazione 14/10/15
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Esorbitando dalle materie tipiche trattate da chi scrive, ci si permette di intervenire nell’ormai annoso dibattito circa le unioni omosessuali.

Si profila (secondo le originarie intenzioni, entro l’anno, ciò che oggi appare più dubbio) l’adozione di un provvedimento che disciplini in qualche modo dette unioni, così rimarcandosi nuovamente, tuttavia, la differenza tra le stesse e il matrimonio [1].

Tale “soluzione” è peraltro contestata da settori politici che non vorrebbero neppure quella; pur tenendosi conto della complessità e delicatezza del tema, il provvedimento, in sede parlamentare, sta vivendo un iter lungo e travagliato quando, laddove c’è la volontà politica, le leggi vengono approvate nel giro di una settimana tra le due camere (ultimo esempio il maxiemendamento alla legge di conversione del d.l. enti locali; ma anche la stessa riforma costituzionale).

L’Italia, come noto, è uno dei paesi più arretrati sul tema, a livello normativo, tanto da essere già stata più volte censurata in sede internazionale.

Eppure il comune sentire [2] (oltre che l’esperienza pluriennale di molti Stati [3]) sembra viceversa più che maturo perché venga riconosciuta, ad ogni effetto, un’effettiva parità tra coppie eterosessuali e omosessuali (ci pare che, alla fine, si tratti di attuare l’art. 3 Cost.[4]), sul presupposto della responsabilità personale che non dovrebbe essere considerata di rango minore nel secondo caso, nonché della stessa accezione di famiglia che ha subito da tempo un’evoluzione non più negabile [5].

Anche il tema dell’adozione e più in generale dei figli (nonché del cd. “utero in affitto”, in realtà vietato nel ns. ordinamento giuridico), non pare dover essere affrontato diversamente da quanto avviene per le coppie eterosessuali, con un puntuale (si auspica) vaglio delle autorità preposte, per quanto di competenza, ai fini dell’interesse del minore; lo stesso è a dirsi per i diritti ereditari, previdenziali, assistenziali ecc..

E’ fin troppo facile rilievo che, sono tali e tanti gli episodi di cronaca nera, di vario tipo, che riguardano le coppie eterosessuali (con figli o meno), e le cd. “famiglie normali”, che appare arduo affermare che il problema, anche rispetto allo schema formativo ed educativo del minore e della fondatezza sul piano scientifico di determinati assunti, sia l’identità di sesso tra i coniugi.

Perciò, a ns. sommesso avviso, basterebbero forse soli due commi (vedi in calce) perché la materia trovi una propria compiuta disciplina, preferibile rispetto a misure di compromesso [6] che comunque continuerebbero a trovare (come trovano) i propri contestatori; né il rinvio, per dirimere la controversia politica contingente, al “voto di coscienza” ci pare, almeno in termini giuridici, una soluzione, in materia di diritti civili.

Ci pare, alla fine, che possa riviversi quanto avvenuto all’epoca delle leggi sul divorzio, sull’aborto, sulla chiusura dei manicomi, sulla questione dell’accanimento terapeutico ecc.; l’opinione pubblica italiana, in tema di diritti civili, è forse (o potrebbe rivelarsi) più avanzata di quanto alcuni suoi rappresentanti politici presuppongano [7].

Articolo unico

(Disposizioni per la parità tra unioni eterosessuali e omosessuali)

  1. Il matrimonio e la convivenza more uxorio possono intercorrere anche tra due persone dello stesso sesso.
  2. Le disposizioni legislative e regolamentari riguardanti, ad ogni effetto, gli istituti di cui al comma 1, compresi quelli inerenti la filiazione, l’adozione e la successione, le prestazioni assistenziali, previdenziali e sanitarie, la materia locatizia e la tutela del lavoro, si intendono modificate, dalla data di entrata in vigore della presente legge, in conformità al comma medesimo.
A cura di Maurizio Greco


[1] L’ansia di differenziare terminologicamente si spinge al punto di individuare sempre nuove soluzioni linguistiche (l’ultima essendo “formazione sociale specifica”).

[2] “Un sondaggio condotto da Demos nell’ottobre 2014 ha mostrato che il 55% degli Italiani è favorevole al matrimonio omosessuale, in aumento di 13 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione condotta poco più di un anno prima, a maggio 2013. I contrari sono il 42%” (Wikipedia).

[3] “Al giugno 2015 due persone aventi lo stesso sesso possono accedere all’istituto del matrimonio in 21 nazioni: Spagna, Francia, Regno Unito (tranne l’Irlanda del Nord), Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca (compresa la Groenlandia dal 2015), Finlandia (a inizio 2017 le prime celebrazioni), Islanda, Norvegia, Svezia, Irlanda, Stati Uniti (in tutti gli Stati della federazione e il distretto federale di Washington, DC), Canada, Messico (nella capitale e in due Stati della federazione), Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica e Nuova Zelanda” (Wikipedia).

[4] “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, […] di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine […] sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Da notare che proprio la possibilità, in altri Paesi, per i cittadini italiani, di contrarre matrimonio, poi riconosciuto in Italia come già avvenuto in alcuni comuni, e anche di adozione di minori, crea di per sé un’ulteriore disparità, tra chi ha le disponibilità economiche per poter accedere a tali possibilità, e chi non le ha.

[5] La stessa giurisprudenza costituzionale, spesso invocata come ostativa ad una lettura dell’art. 29 Cost. che contempli il matrimonio anche tra persone dello stesso sesso, ha in realtà affermato cose anche molto diverse, arrivando espressamente a dire che il Parlamento ben potrebbe estendere alle unioni omosessuali la disciplina prevista per il matrimonio civile (id est, ricondurle al matrimonio stesso): si veda la sent. 138/2010 secondo cui “L’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. […] È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate. Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unionisuddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988)”. Più oltre si legge, in ordine alla “piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna” […] che “la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamento. Ulteriore riscontro di ciò si desume, come già si è accennato, dall’esame delle scelte e delle soluzioni adottate da numerosi Paesi che hanno introdotto, in alcuni casi, una vera e propria estensione alle unioni omosessuali della disciplina prevista per il matrimonio civile […].”

[6] Il testo “base” in discussione nell’attuale dibattito politico consente nelle famiglie omogenitoriali il riconoscimento da parte del secondo genitore (la c.d. stepchild adoption), non modifica le norme generali sull’adozione e quelle sulla procreazione medicalmente assistita; insomma, anche se trattasi di un passo in avanti, l’istituto dell’unione civile resta in realtà solo “equiparato” per certi aspetti al matrimonio, cui infatti le persone dello stesso sesso non avranno accesso, così come all’adozione vera e propria che resta riservata alle coppie di sesso diverso.

[7] E in effetti, alcuni eventi parlamentari recenti, come il voto bipartisan sul divorzio breve (immediatamente apprezzato e utilizzato dagli italiani, e ancor prima approvato definendolo “una conquista di civiltà” e una misura “a favore della famiglia”), rendono ancora più inspiegabili certi aspetti del dibattito in corso.

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