La provvigione nella mediazione immobiliare

Antonio Arseni 10/11/14
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Da oltre un ventennio si assiste ad un progressivo aumento del numero delle persone che scelgono la professione di mediatore immobiliare, favorito dalla crescita di un mercato che solo da qualche anno ha subito un arresto, legato alla attuale grave crisi economica che non accenna ad essere superata. Il fenomeno si è così sviluppato tanto da potersi affermare che non c’è città o paese o borgo che non abbia una agenzia immobiliare cui rivolgersi per l’acquisto o la vendita di una casa, di un negozio, di un terreno. La rilevanza sociale del fenomeno ha indotto il legislatore a dettare, con la Legge 03.02.89 n. 39, precise regole per l’esercizio della professione di mediatore, che previa adeguata formazione e superamento di un esame abilitativo, è condizionata alla iscrizione in un apposito albo, tenuto presso le Camere di Commercio.

Il diritto alla provvigione e cioè al compenso per l’opera mediatoria è, prima di tutto, condizionato (art. 6 della Legge citatata) proprio alla suddetta iscrizione. Tale regolamentazione ha lo scopo di evitare abusi e soprattutto di consentire al cittadino di rivolgersi a persone in grado, con la loro conoscenza e preparazione, di assicurare compiutamente la tutela dei suoi interessi. Chi si rivolge, oggi giorno, ad una agenzia immobiliare lo fa per vedere garantita assistenza in tutte le fasi precontrattuali e contrattuali dell’affare e per arrivare al più presto alla sua conclusione. L’aumento dei soggetti che scelgono la professione di mediatore è in diretta correlazione con quello delle persone che agli stessi si rivolgono per vendere, acquistare o semplicemente affittare un immobile. Se ciò da un lato appare fatto positivo per i livelli occupazionali, dall’altro ha determinato un consistente aumento delle c.d. criticità che da un simile rapporto possono derivare, prima fra tutte quelle relative alla maturazione del diritto alla provvigione da parte del mediatore, tant’è che non vi è Tribunale nel nostro Paese che non sia investito di un simile contenzioso.

Scopo del presente approfondimento è, quindi, quello di indicare quali sono i criteri di operatività dell’art. 1755 c.c. secondo cui il mediatore ossia “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcune di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” (art. 1754 c.c.) ha “diritto alla provvigione da ciascuna delle parti se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”. Orbene, il dibattito in dottrina e giurisprudenza si incentra sul significato che il termine “affare” assume affinchè il mediatore possa aver diritto al compenso (provvigione) per l’attività prestata e, quindi, su tale termine deve essere concentrata la nostra attenzione. E diciamo subito che la Corte di Cassazione ha avvertito l’esigenza nomofilattica di chiarire quali debbano essere le condizioni indispensabili a tal fine, pervenendo alle seguenti conclusioni. 1) Per la configurabilità di un rapporto di mediazione non occorre l’atto scritto potendo l’incarico desumersi per “facta concludentia”, ossia attraverso la utilizzazione consapevole dell’attività del mediatore. In sostanza, sussiste l’incarico quando si dimostri semplicemente che le parti hanno avuto consapevolezza dell’intermediazione, valorizzandola come tale. In tal senso, l’attività di mediazione e il diritto alla provvigione (a prescindere dalla natura contrattuale o meno della fattispecie disciplinata dagli artt. 1754 e segg. c.c.) sono conseguenza dell’incontro della volontà dei soggetti interessati, sia che esse risultino da dichiarazioni esplicite, sia che si manifestino per comportamenti e atti concludenti, che non postulano un formale accordo fra le parti (v. Cass. 07.04.2005 n. 7251 e più risalenti nel tempo, v. ex multis Cass. 28.07.1983 n. 5212; Cass. 09.05.80 n. 3057). Al riguardo, in dottrina si parla di “contratto di fatto” quasi a sottolineare la natura non contrattuale della mediazione. Ed, invero, non corrispondendo il contratto di mediazione allo schema consensualistico e bilaterale degli altri tipi, è la sua attuazione a produrre l’effetto vincolante tanto per il mediatore quanto per il destinatario, il quale ultimo, tuttavia, 3 ha sempre la possibilità di paralizzare gli effetti dell’esecuzione esprimendo il proprio dissenso all’attività svolta dal mediatore, prima ovviamente del prodursi del risultato. In dottrina (Sacco, Il contratto, In trattato di diritto civile) si afferma efficacemente che “nella mediazione l’attuazione equipara il silenzio delle parti a consenso oppure, che l’attuazione conclude un contratto non consensuale purchè non intervenga una previa rinunzia (da parte del mediatore) o una prohibitio (da parte del cliente)”.

In buona sostanza, l’anzidetto profilo relativo alla non necessità di un formale incarico, al fine del perfezionamento del contratto di mediazione, potendo esso concludersi per comportamenti concludenti, ossia, la non essenzialità del conferimento di un incarico formale ai fini di detto perfezionamento, risulta sufficientemente consolidato nella giurisprudenza del S.C., anche se spesso la stessa faccia riferimento al rapporto mediatorio più che al contratto di mediazione. Infatti, come si legge in molte decisioni del Giudice di Legittimità, la prestazione del mediatore può esaurirsi anche nel semplice rinvenimento e nella indicazione di uno dei contraenti, purchè la stipulazione del contratto sia in rapporto di causalità con l’indicazione stessa del mediatore, ancorchè ridotto. Ed, invero, non è necessario che il ruolo sia esclusivo, niente impedendo che abbia più modesta portata e cioè che l’attività del mediatore si inserisca come semplice concausa nel processo formativo dell’affare stesso (così, v. Cass. 16.01.96 n. 297; Cass. 28.07.98 n. 7048). Al riguardo, la giurisprudenza richiama i principi della causalità adeguata o efficiente. Viene privilegiato, come detto, piuttosto che il conferimento del formale incarico, la effettiva ed imparziale interposizione del mediatore fra le parti, che si concretizzi nella esplicazione di una attività diretta a favorire la “conclusione dell’affare”, la quale sia accettata anche tacitamente dai contraenti.

La giurisprudenza ritiene la stipulazione di un preliminare (fra le parti che sono state messe in contatto dal mediatore), come condizione minima per il riconoscimento del diritto alla provvigione, dal momento che la conclusione dell’affare di cui all’art. 1755 c.c. ha un significato più ampio di quello di contratto, comprendendo ogni operazione di contenuto economico risolventesi in una utilità di carattere patrimoniale ossia di un atto in virtù del quale viene costituito un vincolo che dia la possibilità di agire per l’adempimento dei patti raggiunti o, in mancanza, per il risarcimento danni. In tale contesto, sono ritenute irrilevanti le vicende successive alla conclusione dell’accordo, del tutto insensibili ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione ed a prescindere dalla stipulazione di un contratto definitivo, come ad esempio il ripensamento di una delle parti ovvero la loro decisione di sciogliere il vincolo. Così , in un caso specifico, appare irrilevante, ai fini del riconoscimento del diritto alla provvigione, all’esito di un regolare contratto preliminari stipulato dalle parti e favorito dal mediatore, il fatto che l’immobile promesso in vendita sia privo della concessione edificatoria (v. Cass. 1912.2013 n. 28456). Il principio testè ricordato trova la sua ragione d’essere nella volontà legislativa di sottrarre il diritto del mediatore, già sottoposto all’alea della conclusione dell’affare, ad ulteriori alee connesse all’esecuzione di esso. Su tale ricostruzione sistematica è attesta la giurisprudenza di legittimità e di merito segnalandosi ad esempio, ma non solo: Cass. 22.03.01 n. 4111; Cass. 08.08.02 n. 12022; Cass. 14.07.04 n. 13067; Cass. 26.09.05 n. 18779; Cass. 24.01.07 n. 1507; Cass. 09.06.09 n. 13260; Cass. 21.05.10 n. 12527; Cass. 02.11.10 n. 22273. V’è da precisare, comunque, che l’idoneità del preliminare a configurare la conclusione dell’affare viene meno in caso in cui ad esso viene apposta una condizione impropria ossia allorchè gli effetti del contratto siano condizionati ad eventi passati o presenti non verificatisi. In questo caso, il mediatore non avrebbe il diritto alla provvigione. È il caso, esaminato da Cass. 02.04.09 n. 7994, in cui il preliminare di compravendita di un immobile stipulato per effetto dell’attività del mediatore prevedeva la risoluzione automatica ove fosse stata riscontrata, prima della stipula del definitivo, una preesistente difformità del bene rispetto agli strumenti urbanistici. V’e’ purtuttavia da sottolineare sul punto che è idoneo a realizzare il presupposto della conclusione dell’affare, per gli effetti di cui all’art. 1755 c.c., non solo, e necessariamente, la stipulazione in forma compiuta di un contratto preliminare, essendo sufficiente all’uopo, come già ricordato, la costituzione di un vincolo giuridico suscettibile di esecuzione in forma specifica ovvero fonte di responsabilità risarcitoria, come nel caso di proposta accettata dalla controparte, contenente in sé tutti gli elementi essenziali per la configurazione del contratto definitivo (identificazione delle parti e del bene, determinazione del corrispettivo, modalità del pagamento, data del rogito e termini di consegna). Sul punto è bene rimarcare che la giurisprudenza ha sempre ritenuto che la provvigione maturi a fronte di un vincolo giuridico eseguibile in forma specifica o che al limite consente alle parti di agire per il risarcimento del danno, sicché le due condizioni sono chiaramente alternative, permettendo di concludere che sia sufficiente la seconda non essendo necessaria anche la prima. L’idoneità della proposta accettata dal destinatario della stessa è stata, quindi, ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 14.07.04, n. 13067) e di merito (v. Trib. Modena 20.07.04; Trib. Salerno Sez. III 07.09.07 n. 2041; Trib. Torino Sez. X 03.12.10 n. 7329; Trib. Savona 06.08.12; Trib. Lecce Sez. II 02.01.13 n. 4), meritevole di tutela e fondante il diritto del mediatore alla provvigione, atteggiandosi l’incontro delle due manifestazioni di volontà come atto conclusivo dell’affare, soprattutto quando vi è stata una compiuta regolamentazione degli interessi in gioco, la cui effettiva ricorrenza va accertata sulla base della comune intenzione delle parti, ricavabile dal senso letterale delle parole e delle espressioni usate.

E’, ciò, come nel caso deciso dalla illuminante sentenza della Cassazione 2004/13067 in cui le parti vollero indicare il prezzo, le modalità di pagamento, la data di stipula del definitivo e la consegna dell’immobile. Parimenti nel caso di proposta irrevocabile d’acquisto, sottoscritta per accettazione dal promittente acquirente, può sostanziarsi quel perfezionamento del vincolo 6 giuridico idoneo a determinare il diritto alla provvigione da parte del mediatore (v. Cass. 21.07.04 n. 13590 e Trib. Savona 06.08.12). In definitiva, per gli effetti dell’art. 1755 c.c. non occorre necessariamente che le parti stipulino un vero e proprio contratto preliminare allorchè l’assetto dei loro interessi è chiaramente e compiutamente emergente dall’incontro delle volontà attraverso il meccanismo della proposta ed accettazione, che già di per sé sarebbe un preliminare eseguibile soprattutto, quando sono le parti a stabilirlo affermando, ad esempio (come nella pratica si legge in molti incarichi) “la presente proposta si perfezionerà in vincolo contrattuale (contratto preliminare) con la conoscenza della accettazione da parte del venditore”. Considerato che la condizione perché sorga il diritto alla provvigione è l’identità dell’affare proposto con quello concluso, può dirsi che essa non è “esclusa quando le parti sostituiscono altri a sé nella stipulazione conclusiva, sempre che vi sia continuità fra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale e sempre che la conclusione dell’affare sia collegabile al contratto determinato dal mediatore fra le parti originarie, che sono tenute al pagamento della provvigione” (Così Cass. 20.10.2004 n. 20549 e in senso conforme Cass. 07.08.2002 n. 11911). Spesso accade nella contrattazione immobiliare affidata al mediatore che il consenso delle parti risulta cadenzato in una serie di atti stipulati in vista del contratto definitivo. Così nella prassi e d’uso far sottoscrivere alla persona interessata all’acquisto una proposta su un modulo prestampato, predisposto dall’Agenzia e poi sottoposto al proprietario dell’immobile in vendita affinchè possa accettare o meno la proposta. Generalmente in questo documento viene previsto l’obbligo delle parti di concludere, entro un certo tempo, un contratto preliminare, poi in una terza fase segue la vendita vera e propria. Si parla, a tal riguardo, di un intesa definita “preliminare di preliminare” o “preliminare aperto” la cui validità è stata disconosciuta dalla dottrina maggioritaria prevalente giurisprudenza di merito e di legittimità (v. ex multis Appello Napoli 01.10.03; Cass. 02.04.09 n. 8038) nel senso che laddove le parti si 7 siano limitate a raggiungere un siffatto accordo di massima e si siano riservate di stipulare successivamente un vero e proprio contratto, deve escludersi che si possa configurare un affare che dà diritto alla provvigione. Ed infatti l’obbligo ad obbligarsi sarebbe privo di causa autonoma e quindi nullo. Tale conclusione è stata recentemente sottoposta dalla Cassazione ad un ulteriore e doveroso approfondimento, sollecitato da un caso in cui il “preliminare del preliminare” concluso dalle parti “non esauriva il suo contenuto precettivo nell’obbligarsi ad obbligarsi” ma conteneva anche l’obbligo ad addivenire alla conclusione del contratto definitivo. Ed allora la Cassazione, molto argutamente, ha ritenuto che “alla luce del principio generale di cui all’art. 1419 I° co. c.c., appariva difficile ritenere che la nullità dell’obbligo di concludere un contratto preliminare, riproduttivo di un contratto preliminare già perfetto, potesse travolgere anche l’obbligo, che si potrebbe ritenere finale, di concludere il contratto definitivo” rimettendo, quindi, la soluzione della questione (per contratto giurisprudenziale) alle Sezioni Unite (ordinanza interlocutoria 12.03.2014 n. 5779). Invece è sicuramente inidonea, per gli effetti di cui si discute, la così detta minuta o puntuazione che, secondo la dottrina e la giurisprudenza identificano un semplice documento ricognitivo di intese raggiunte, con mera funzione di fissare per scritto lo stato delle trattative, utile come memoria per il prosieguo delle stesse ma inidoneo a rappresentare quel vincolo giuridico capace di obbligare le parti ed eseguibile in forma specifica e, tutto al più sufficiente, per fordare una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. (così Trib. Genova 15.05.08; Trib. Salerno 05.02.13 n. 330; Cass. 14.05.13 n. 11539; Cass. 18.01.12 n. 667).

Il conferimento di un incarico formale per l’attività mediatoria, al contrario rileva solo agli effetti della misura della provvigione e sulla sua ripartizione a carico delle parti contraenti in quanto, solo in mancanza di un accordo tra le stesse, tale misura viene determinata facendo riferimento alle tariffe professionali o agli usi o, in via sussidiaria, dal Giudice secondo equità (così testualmente Cass. 06.01.79 n. 45).

Un ultima annotazione va fatta in ordine alla vexata quaestio del diritto alla provvigione nel caso di attività mediatoria svolta da una società ed in relazione al possesso dei requisiti richiesti dalla L. 1989/39 (iscrizione nell’apposito ruolo apposito ruolo). Orbene la Cassazione ha chiarito (da ultimo 27.10.14 n. 22778, in senso conforme v. Cass. 8708/2009), che i requisiti di iscrizione a ruolo debbono essere posseduti dal legale rappresentante pro-tempore ovvero da colui che è preposto a tale ramo di attività e non anche dagli ausiliari della società stessa purché essi svolgano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria mediazione e non risultino assegnati allo svolgimento di attività mediatizia , della quale compiono atti di rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediari, impegnativi per l’ente da cui dipendono. Una importante precisazione va fatta, per finire, in merito alla prescrizione del diritto alla provvigione che, come emerge dal combinato disposto degli artt.1755 e 2950 C.C., si estingue per effetto del mancato esercizio entro l’anno dalla conclusione dell’affare. Non sempre detto evento, però, coincide con quello da cui far decorrere il termine annuale, potendo accadere, come spesso avviene, che le parti, messe in contatto dal mediatore, non comunicano a quest’ultimo l’avvenuta conclusione dell’affare..In detta ipotesi il mediatore non potrebbe invocare la sospensione della prescrizione, ex art. 2941 C.C. in ragione della propria ignoranza per non essere stato, al riguardo, notiziato dalle parti, occorrendo che essa sia stata determinata dal comportamento doloso di quest’ultime, consistente in una loro attività intenzionale e fraudolenta (v. Trib Napoli 19/10/2004; Tribunale Reggio Emilia 29.01. 2009 ;Cass. 1998/11348 ; Cass.2002/2071 ; Cass. 2011/24444).

Antonio Arseni

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