Città metropolitane e liberi consorzi, ci mettiamo una croce sopra?

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Era partito per primo, ma come capita ai ciclisti che lanciano troppo presto la fuga, si è “piantato” a metà salita.
Alla trasmissione “L’Arena” condotta da Giletti, il presidente Rosario Crocetta si era alzato sui pedali ed aveva annunciato la fine delle province e la nascita di Liberi Consorzi e Città metropolitane.

A distanza di due anni, la disciplina della nuova architettura siciliana è ancora ferma a poco più della legge vessillo (L.r. n. 7/2012).
Nel frattempo sono stati nominati i Commissari Straordinari delle vecchie Province, trasformate solo nominalmente in Liberi Consorzi. E’ stata emanata la L.r. n. 8/2014 che ha sancito le elezioni di secondo livello, la gratuità delle cariche, le modalità di adesione a Città metropolitane e Liberi consorzi, diversi da quelli d’iniziale destinazione.

Qualche Comune ha votato per cambiare istituzione di riferimento e qualcun altro (Gela) ha provato a svolgere le consultazioni confermative (senza regole certe, visto che gli statuti trattano, quasi sempre, solo di referendum consultivi).
I Comuni erano chiamati a decidere senza conoscere quali funzioni avrebbero avuto le città metropolitane e quali i Liberi consorzi.
A contestarlo è stata Anci Sicilia, che ha abbandonato i tavoli tematici, voluti dall’Assessorato regionale alle Autonomie Locali.
Il Presidente dell’Associazione dei Comuni siciliani ha chiesto al Governo regionale di rinunciare al proprio eccesso di protagonismo e di attuare anche in Sicilia la normativa Delrio (L. 56/2014), essendo fermamente convinto che l’attuale utilizzo dell’autonomia speciale produce effetti perversi e rallenta lo sviluppo e l’attuazione delle riforme.

Per Orlando (sindaco di Palermo), la mancata attuazione della riforma della governance degli enti locali siciliani e la prolungata fase di commissariamento delle province hanno prodotto e continuano a produrre una situazione di caos sul piano politico-amministrativo ed un crescente senso di sfiducia dei cittadini verso le istituzioni.
A volere il recepimento della legge Delrio, non è solo l’Anci Sicilia ma anche parti consistenti della maggioranza che sostiene il governo Crocetta, conscia del fallimento del percorso finora seguito.

Nei giorni scorsi è stato formalizzato il deposito del ddl n. 819, recante “Disposizioni in materia di Liberi Consorzi di Comuni, Città Metropolitane e fusione di Comuni. Norme di attuazione della Legge Regionale 24 marzo 2014, n.8 e di adeguamento ai principi fondamentali dell’ordinamento della Repubblica.”
Il testo prevede, proprio, il recepimento delle norme della legge Delrio (n.56/2014) in materia di “enti di area vasta”.
Con l’approvazione del ddl, la Regione applicherebbe in toto le norme della legge nazionale, in materia di funzioni, organizzazione ed elezione dei vertici dei nuovi enti, superando l’impasse determinatosi dopo l’approvazione della L.R. 8/2014.
Non si tratterebbe solo di decretare il fallimento della linea Crocetta ma anche di perdere l’occasione per correggere la normativa nazionale, alla luce dell’esperienza maturata nel resto d’Italia e dei rilievi emersi.

Innanzitutto andrebbe chiarito se il recepimento della Delrio comporterebbe, anche in Sicilia, la coincidenza del territorio delle città metropolitana e dei Liberi consorzi, con quelli delle vecchie Province.
Il territorio di province, come quella Messina, è connaturato da discontinuità geomorfologiche, diversità culturali, scarsità d’interrelazioni socio-economiche (larghe fette di popolazione hanno maggiori interrelazioni con Palermo, anziché con la città dello Stretto).
“L’area metropolitana è una zona circostante un’agglomerazione (o una conurbazione) che per i vari servizi dipende dalla città centrale (metropoli) ed è caratterizzata dall’integrazione delle funzioni e dall’intensità dei rapporti che si realizzano al suo interno” (Carmelo Nigrelli).
Difficile immaginare l’intera provincia di Messina come un’unica area metropolitana.
Le elezioni di secondo livello degli organi provinciali, che si sono svolte nel resto d’Italia, hanno evidenziato uno strapotere delle segreterie di partito a discapito dei principi di rappresentatività e responsabilità politica.
In più sedi i presidenti sono stati scelti grazie a mega accordi tra centrodestra e centrosinistra (vedi, ad esempio, Taranto).
Una modalità che finisce con l’allontanare ancora di più i cittadini dalle istituzioni.

L’Assemblea Regionale Sicilia avrebbe la possibilità di correggere tale errore prevedendo l’elezione a suffragio universale, quanto meno dell’organo monocratico (sindaco metropolitano e presidente della provincia). Non è possibile confondere i costi della democrazia con i costi della politica.
La legge Delrio prevede, poi, rapporti inter-organici (tra sindaco, consiglio e conferenza metropolitani) inutilmente complicati e farraginosi. Basti pensare alla procedura per l’approvazione del bilancio: proposta del sindaco, passaggio al consiglio, bozza trasmessa alla conferenza che lo approva con doppia maggioranza, restituzione al consiglio per l’approvazione definitiva.
Il parlamento siciliano potrebbe disciplinare meglio anche le modalità di manifestazione della volontà della conferenza metropolitana.

La doppia maggioranza richiesta alla conferenza metropolitana per esprimere il parere sul bilancio (voti che rappresentino un terzo dei comuni e la maggioranza della popolazione complessivamente residente) rischia di generare una sorta di potere di veto da una parte del comune capoluogo (che vanta, in alcuni casi, un numero di abitanti superiore alla metà della popolazione complessiva della città metropolitana) e dall’altra da un raggruppamento di comuni.
Il rischio paralisi è reale, determinato da un contrasto di opinioni (e di interessi) tra i comuni più popolosi e quelli più piccoli, numericamente più consistenti.

In questo caso, la complicata procedura prevista dalla L. 56/2014 rischia di paralizzare l’approvazione del bilancio.
L’Assemblea Regionale potrebbe correggere la Delrio prevedendo un termine per l’espressione del parere da parte della conferenza, in assenza del quale lo stesso si ritiene acquisito.
La L. n. 56/2014, poi, rimanda agli statuti per la definizione delle competenze di ciascun organo.
L’A.R.S. potrebbe riproporre lo schema che da anni i Comuni hanno adottato, in maniera efficiente ed efficace: organo di vertice monocratico, esecutivo e consiglio (organo di vigilanza e controllo).

Applicando lo schema classico ed ampiamente sperimentato degli enti locali, con la stessa ripartizione di funzioni e competenze, si eviterebbero salti nel buio, conflitti e sovrapposizioni.

Luciano Catania

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