La riforma della PA di Renzi

Luigi Oliveri 18/02/14
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Sul Corriere della Sera del 18 febbraio, Sergio Rizzo parla dell’urgente riforma della pubblica amministrazione e dei Tar che Renzi ed i “tecnici” del suo staff stanno preparando. L’idea è: assoggettare il pubblico impiego alle regole del privato ed eliminare o ridurre di molto l’ingombro dei Tar.

Si legge testualmente nell’articolo di Rizzo, del resto confermato da altre notizie pubblicati lo stestesso giorno dai quotidiani: “Il passaggio chiave (dell’idea di riforma che starebbe apprestando lo staff di Renzi nda) sarebbe la fine della giurisdizione dei Tar sulle controversie nel pubblico impiego, che passerebbe così al giudice ordinario“.

Peccato che questo “passaggio chiave” sia già avvenuto, precisamente nel 1998, per effetto del d.lgs 80/1998, che ha privatizzato il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, e tolto ai Tar la giurisdizione sulle controversie, per attribuirla ai giudici del lavoro. Sono passati 16 anni. Nel corso dei quali, evidentemente, per un verso Renzi ed il suo staff erano troppo affaccendati nell’immaginazione delle mirabilie che ci avrebbero preparato. Sergio Rizzo, invece, pensava a costruirsi la sua immagine di giornalista “anti-casta”, evidentemente senza il tempo di approfondire le norme giuridiche, sulla base delle quali, tuttavia, dovrebbe basare le sue filippiche, prima di intingere il pennino acuminato nel curaro anti-burocrazia.

A completamento di quanto detto, va affermato che i Tar ancora possiedono giurisdizione per parte dei lavoratori pubblici, quelli non contrattualizzati: prefetti, personale diplomatico, militari, alcune forze di polizia, docenti universitari, magistratura.

E’, però, una ristretta minoranza. Il 90% dei dipendenti pubblici è da anni “contrattualizzato”, cioè regolato, come stabilisce il d.lgs 165/2001, dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi del lavoro nell’impresa, oltre che dalle norme speciali del medesimo d.lgs 165/2001, da ben 16. All’insaputa di Rizzo.

Il quale, ovviamente, non ha verificato l’informazione sapientemente passatagli dagli “ambienti dello staff renziano”, cadendo nel grave errore di ignorare che proprio la già avvenuta contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, con conseguente attribuzione al giudice del giudice del lavoro di ogni controversia riguardante il rapporto di impiego, costituisce una delle fonti dei mali dell’amministrazione pubblica.

Infatti, dal 2001, primo anno della contrattualizzazione totale del rapporto di lavoro pubblico, al 2011, a causa dell’incapacità delle amministrazioni di porsi con i sindacati come “controparte”, risultando piu’ conveniente l’intesa alla ricerca del “consenso”, sono stati stipulati contratti collettivi nazionali ed aziendali scellerati, che hanno fatto crescere la spesa per stipendi di 40 miliardi, passando da 120 a 160 miliardi.

Tanto che la riforma-Brunetta ha dovuto compiere moltissimi passi indietro per tornare ad una normativa del lavoro alle dipendenze della PA di stampo piu’ pubblicistico; e dalle manovre Tremonti del 2010 in poi si è dovuto imporre il congelamento degli stipendi, per tornare ad avere una spesa di personale pubblico di nuovo sotto controllo.

Non solo: i giudici del lavoro si sono dimostrati, spessissimo, piuttosto inadeguati. Hanno molte volte ignorato le peculiarità comunque esistenti nell’ordinamento del lavoro pubblico, sfornando condanne per le PA datori di lavoro davvero insensate, come nella prima stagione di applicazione della riforma-Brunetta, quando non avevano assolutamente preso atto degli incrementati poteri unilaterali dei datori pubblici, continuando a sancire condanne per comportamenti antisindacali insistenti e costringendo all’adozione di norme di interpretazione autentica per bloccarli e correggerne il tiro. Ancora oggi, i giudici del lavoro combattono la “guerra santa” per estendere anche al lavoro pubblico la condanna dei datori all’assunzione dei lavoratori a tempo determinato con contratto a tempo indeterminato ex tunc, nonostante una norma speciale del d.lgs 165/2001 espressamente lo vieti e la corte di giustizia europea abbia ripetutamente affermato che non vi sia un contrasto con la disciplina europea stessa.

Una seconda idea dello staff di Renzi, già annunciata nella sintesi del Jobs Act è la configurazione di una dirigenza solo a tempo determinato. Anch’essa magnificata da Rizzo. Ma anch’essa una non riforma. La dirigenza dei massimi vertici ministeriali e delle aziende pubbliche in particolare è in grandissima maggioranza cooptata con reclutamenti intuitu personae a tempo determinato, da parte della politica. Se, poi, personaggi come Scaroni restino al comando delle aziende pubbliche per decenni, ciò non è frutto del rio destino o di qualche legge che lo imponga, ma scelta precisa e consapevole degli organi di governo.

Una dirigenza solo a tempo determinato, per altro, per quanto Rizzo e stampa generalista si guardino bene dal dirlo, è contraria alla Costituzione, come la giurisprudenza della Consulta chiarisce unanime almeno a partire dalla sentenza 107/2003. I media, forse non a caso, informano che l’idea renziana è di far sì che “comunque” gli incarichi dirigenziali non superino la durata di 6 anni. Qui l’apoteosi della “non riforma”: oggi, infatti, sempre ai sensi del d.lgs 165/2001, vigente ad insaputa dei “tecnici” del premier, la durata massima degli incarichi è di 5 anni.

Ecco, se le inchieste giornalistiche “generaliste”, invece di soffermarsi sugli aspetti demagogici che danno popolarità e suscitano applausi, approfondissero davvero i dati giuridici, i lettori risulterebbero davvero informati.

La cosa piu’ grave sarebbe, però, se fosse vero quanto Rizzo afferma e, cioè, che i collaboratori di Renzi stiano davvero lavorando per una riforma, quella delineata da Rizzo, che esiste da una vita. Vogliamo credere che ciò non sia vero e che si tratti di notizie sfuggite in modo impreciso, riportate così, senza corretto approfondimento, per l’urgenza di dimostrare che lo staff del nuovo presidente del consiglio è già al lavoro. A conferma che la fretta e la velocità sono ottimi viatici per la popolarità a buon mercato, ma pessime consigliere.

Luigi Oliveri

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