Redditometro illegittimo; c’è la sentenza e il contribuente sorride

Redazione 19/04/13
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Dopo il grosso sospiro di sollievo che la proroga dello spesometro ha fatto tirare ai contribuenti italiani, pur lasciandoli nell’incertezza di quando sarà fissata la nuova scadenza, è il turno del redditometro di dare una gioia; infatti la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, seconda sezione, presieduta da Crotti, con la sentenza n. 74.02.13 Ctpdepositata ieri ha stabilito che il decreto sul nuovo redditometro è illegittimo quindi deve essere disapplicato.

I giudici emiliani, dunque, hanno disapplicato il provvedimento tramite cui è stato deciso il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva (Dm 65648 del 24 dicembre 2012). In pratica, questa sorprendente sentenza si sussegue ad un’altra, sentenza Ctp Reggio Emilia n. 172.01.2012 con cui la medesima sezione aveva avuto modo di chiarire che il nuovo redditometro pur essendo più favorevole al contribuente, trovava applicazione anche prima del 2009, il periodo d’imposta preso in esame, proprio come già accadeva per gli studi di settore più evoluti.

La controversia nasce dall’impugnazione di due avvisi di accertamento emessi per gli anni di imposta 2007 e 2008 sulla base del vecchio redditometro. La Ctp, innanzitutto, ha specificato che la revisione dell’accertamento sintetico, realizzata con il Dl 78/2010 rappresenta un intervento di natura procedimentale e non sostanziale visto che non inserisce nuove impositive particolari. Ne deriva, quindi, che il contribuente può sostenere l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni, se più favorevoli, anche per le annualità precedenti al 2009.

I giudici emiliani, tuttavia, vanno oltre dal momento che hanno recepito in pieno l’ordinanza del Tribunale di Napoli, sezione civile distaccata di Pozzuoli, del 21 febbraio 2013, considerano illegittimo e totalmente nullo il decreto ministeriale del 24 dicembre 2012. Questo perché il nuovo redditometro sarebbe stato emanato al di fuori del perimetro fissato dalla normativa primaria e dei suoi presupposti al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria.

Il decreto, infatti, analizza le spese medie delle famiglie, seguendo le stime dell’Istat in merito anche se invece la norma che regola l’accertamento sintetico (art. 38 del Dpr 600/73) si rivolge al singolo contribuente, inoltre il provvedimento, contemplando la raccolta di tutte le spese effettuate ( tra cui anche quelle farmaceutiche e per eventuali iscrizioni ad associazioni culturali) lascia il contribuente senza il diritto di avere una vita privata, violando così quanto stabilito dagli articoli 2 e 13 della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali della Ue, art. 1,7 e 8. 

In ultimo il Dm infrange anche il diritto alla difesa, articolo 24 della Costituzione e articolo 38 del Dpr 600/73, in quanto rende impossibile dare conto di aver speso meno rispetto a quanto risulta dalle medie Istat; infatti pur volendo prevedere in modo quasi comico una conservazione di tutti gli scontrini e ricevute che comporterebbe un’altrettanto comica contabilità domestica da parte del contribuente, è chiaro che questa documentazione non permetterebbe di dimostrare che non è stata realizzata una spesa maggiore.

Si arriva così, per i giudici emiliani, all’irragionevole ricostruzione di spese imposte artificialmente dal Ministero delle Finanze che è l’ente che ha emanato il Decreto. Viene, infine, dato rilievo anche alla superficialità, per stabilire quale sia il reddito presunto, della localizzazione territoriale del contribuente e del proprio nucleo famigliare, partendo dal presupposto che non vi è nessuna differenziazione precisa tra la grande metropoli ed il piccolo centro.

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