Cassazione: la relazione via web di un coniuge non vale l’addebito

Letizia Pieri 15/04/13
Scarica PDF Stampa
La Corte di Cassazione, tramite la sentenza 8929 depositata ieri, respinge il ricorso di un marito che attribuiva alla moglie la responsabilità del fallimento del rispettivo matrimonio, dovuta a una relazione via internet intrattenuta per oltre due anni, con un uomo residente in una distinta località. L’uomo aveva ottenuto esito soddisfacente dal verdetto in primo grado e, in parte, anche da quello in appello. Il tribunale di prima istanza non aveva avuto dubbi: gli assidui contatti via telematica e via telefonica protratti tra la moglie e l’amante configuravano una violazione dei doveri di fedeltà coniugale, anche in mancanza di rapporti sessuali.

Parzialmente simile il parere espresso dalla Corte d’Appello, che aveva confermato l’addebito a carico della consorte, attribuendo tuttavia sulle spalle del ricorrente, l’onere economico di versamento nei confronti della ex di un assegno tarato sul tenore di vita tenuto durante il periodo coniugale. La Suprema Corte, invece, rimescola le carte in gioco: la violazione degli obblighi coniugali va sanzionata, decreta la Cassazione, soltanto qualora vengano a configurarsi casi in cui “la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione, ai sensi dell’articolo 151 del Codice civile quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà, e quindi, anche se non si sostanzi in adulterio, comportano comunque offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge”.

L’amore platonico sul web, dunque, se mantiene un profilo di non pubblico dominio, non fa scattare alcun addebito. La sentenza pronunciata in Cassazione confuta i verdetti espressi in primo e secondo grado, recriminando ai giudici di merito di aver assegnato un eccessivo peso alla testimonianza della consorte dell’’amante internauta’ allineando dunque un illogico “parallelismo” sulle conseguenze che la relazione via web avrebbe riportato su entrambe i legami coniugali coinvolti. Relegata come ininfluente dalla Cassazione anche la deposizione rilasciata dalla figlia maggiore del ricorrente, la quale aveva dichiarato come la madre, a seguito dell’avvio del rapporto online, avesse ripetutamente manifestato la necessità di ottenere maggiore indipendenza dal matrimonio.

Degno di considerazione più rilevante da parte dei giudici supremi, è stato invece il comportamento tenuto dal marito, il quale per ben due anni aveva sostenuto la situazione senza intervenire, ad eccezione di qualche episodica ingerenza fatta per contattare la consorte del rivale in amore al fine di informarla sulla relazione intercorrente tra i rispettivi coniugi. Alla base del verdetto della Cassazione risulta, però, la completa assenza di “congressi carnali” congiuntamente all’evidenza che la relazione non fosse stata portata a conoscenza di soggetti esterni. Rispetto al dovere di lealtà tra marito e moglie, imposto dalla Corte in occasione di altre sentenze, con la pronuncia di ieri si inverte completamente la rotta: non sono dunque più punibili con l’addebito né l’infatuazione né l’amore platonico originatosi in chat, e tanto meno i cosiddetti casi di adulterio apparente.

Letizia Pieri

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento