Lotta al terrorismo, la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la Svizzera

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Con sentenza definitiva del 12 settembre 2012, la Grande sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Svizzera per violazione degli articoli 8 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) in virtù di provvedimenti interni adottati per implementare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in materia di lotta contro il terrorismo (ECHR [GC], Nada C. Switzerland, 12.09.2012, n° 10593/08).

Si ricorderà brevemente che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha istituito un regime di sanzioni personali che gli Stati sono tenuti ad adottare contro le persone od entità associate ad Al Qaeda e ha creato un apposito Comitato delle sanzioni incaricato di controllarne l’applicazione. Tali misure consistono, in particolare, nel congelamento di beni, nel divieto di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato e nell’embargo sulle armi. L’iscrizione e la radiazione del nominativo di presunti terroristi e la conseguente applicazione delle sanzioni richiamate sollevano importanti questioni sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo. Sul punto ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Giustizia dell’Unione europea nel noto caso Kadi, in cui i giudici di Lussemburgo si sono ritenuti competenti per sindacare la liceità di un regolamento comunitario con il quale veniva disposto il congelamento di beni personali in attuazione delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza; nella specie la Corte ha considerato che la mancata previsione di ricorsi contro simili provvedimenti comportasse una violazione dei diritti fondamentali della persona (Sentenza della Corte (Grande Sezione), 3 settembre 2008, Yassin Abdullah Kadi, Al Barakaat International Foundation c. Consiglio dell’Unione europea, Commissione delle Comunità europee, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, cause riunite C-402/05 P et C-415/05). In un altro caso, il Comitato dei diritti umani ONU ha constatato la violazione degli articoli 12 e 17 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 da parte del Belgio nonostante la mancanza di competenza di tale Stato per rimuovere autonomamente il nominativo del ricorrente dalla lista stabilita dal Comitato delle sanzioni (Comitato dei diritti umani, decisione del 22 ottobre 2008, Sayadi et Vinck c. Belgio, comunicazione no 1472/2006).
La sentenza in esame costituisce l’occasione di ritornare sul tema del difficile, ma necessario contemperamento fra tutela dei diritti fondamentali e garanzia della sicurezza internazionale e nazionale, nonché sul rapporto tra fonti sul piano internazionale.

Un cittadino italo-egiziano, Sig. Nada, residente nell’enclave italiana di Campione d’Italia, era stato iscritto su iniziativa statunitense nella lista del Comitato delle sanzioni ONU e successivamente si era visto opporre un divieto prolungato di ingresso e transito in territorio svizzero in attuazione della risoluzione 1390(2002) del Consiglio di Sicurezza. Il Sig. Nada adiva il Tribunale Federale svizzero per ottenere la radiazione del suo nominativo dal provvedimento interno recante attuazione di detta risoluzione, ma il Tribunale riteneva che l’interpretazione dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite conducesse ad assegnare preminenza alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sugli altri obblighi internazionali relativi alla protezione dei diritti dell’uomo assunti dalla Svizzera. Il ricorrente adiva la Corte europea dei diritti dell’uomo deducendo la violazione del diritto al rispetto della sua vita privata, professionale e familiare (art. 8 CEDU), ad un ricorso efficace (art. 13 CEDU), alla libertà e alla sicurezza (art. 5, par. 1) e a che un giudice decida entro breve termine sulla liceità di un provvedimento di detenzione (art. 5, par. 4). Il 30 settembre 2010 la Camera declinava la propria competenza a favore della Grande sezione, conformemente all’art. 30 CEDU e alla regola 72 del Regolamento di procedura della Corte che prevedono l’intervento della grande sezione in via eccezionale qualora la causa sollevi questioni importanti relative all’interpretazione della Convenzione o vi sia il rischio di contraddizione con la giurisprudenza precedente.

Sussistendo un’evidente ingerenza nella vita privata e familiare del ricorrente, i giudici di Strasburgo hanno evidenziato due elementi: da un lato, la mancata considerazione, da parte dello Stato convenuto, delle specificità del caso, segnatamente la situazione geograficamente isolata del luogo di residenza del ricorrente, l’età e le precarie condizioni di salute di quest’ultimo, nonché la durata prolungata della sanzione disposta; dall’altro, la possibilità delle autorità svizzere di influire, in misura certo limitata ma pur sempre effettiva, sulla scelta delle modalità concrete di implementazione sul piano interno delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Nonostante la natura vincolante di tali risoluzioni, la Svizzera avrebbe infatti dovuto approfittare del margine di manovra a disposizione per adottare tutte le misure possibili in vista di un adeguamento del regime delle sanzioni disposto sul piano internazionale alla specifica situazione del ricorrente; le autorità svizzere avrebbero potuto incitare lo Stato nazionale, l’Italia, ad avviare una procedura di radiazione dinanzi il Comitato delle sanzioni e/o fornire concreta assistenza al ricorrente, anziché limitarsi a indirizzare quest’ultimo alla missione permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite.

La natura vincolante delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non esime dunque gli Stati membri della CEDU dall’obbligo di agire in modo appropriato per addivenire ad un’armonizzazione fra i loro obblighi internazionali risultanti dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e quelli discendenti dalla CEDU, ogniqualvolta si profili un conflitto fra gli stessi in ordine alla loro concreta implementazione sul piano interno.

 

Claudia Nannini

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