Gli Istituti di credito cooperativo al tempo della crisi

Massimo Greco 27/11/12
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La celebrazione del 90° anniversario della fondazione della Banca di Credito Cooperativo La Riscossa di Regalbuto (EN), di cui mi duolgo per non avervi potuto partecipare, è un’occasione troppo ghiotta per non formalizzare alcune considerazioni, peraltro appositamente richiestemi dai suoi responsabili.

Il tema, implicito alla manifestazione che si è celebrata domenica 25 novembre, è “Il ruolo dell’Istituto di credito cooperativo nei processi di sviluppo delle comunità locali in tempo di crisi”.

Due sono gli elementi portanti su cui argomentare un ragionamento pertinente al tema: a) la mission statutaria sottesa alla natura giuridica e sociale della cooperativa (rectius, la prevalente mutualità; b) il perseguimento, tra gli altri scopi anch’essi statutari, della “coesione sociale e la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera”.

Siamo quindi in presenza di un soggetto giuridico privato che, ancorchè privo di finanziamenti pubblici, mira a perseguire finalità pubblicistiche, cioè d’interesse generale. Siffatta tipologia di enti è tradizionalmente annoverata all’interno di quegli spazi lasciati sempre più spesso da uno Stato spossato ed anemico e da un mercato sempre più concorrenziale e speculativo. Un soggetto intermedio alla società politica ed a quella civile a cui l’attuale contesto di crisi affida la motrice del più vasto “terzo settore”. O, ancora, per usare la terminologia della Corte Costituzionale coniata per le consorelle fondazioni bancarie, “soggetti organizzati delle libertà sociali”. Insomma per concludere con Norberto Bobbio, siamo in presenza di soggetti che gradiscono il motto “Né con Marx, né contro di Marx”.

In tempo di crisi, come quella che stiamo attraversando e di cui, con buona pace del Presidente del Consiglio Monti, non riusciamo ancora ad intravederne l’uscita, una “terza via” da scoprire insieme sembra essere il leit motiv di chi si è razionalmente rassegnato di fronte all’evidenza che lo Stato non è più in grado neanche di garantire i costituzionalizzati livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e il mercato è sempre più preda della seconda crisi finanziaria di dimensioni planetarie. Ma mentre alla crisi del ’29 gli Stati, pur disorientati e scoordinati tra loro, risposero con riforme strutturali tali da sovvertire il rapporto tra Stato e mercato redistribuendo redditi e lavoro ai ceti più deboli, l’odierna crisi seguita al fallimento della Lehman Brothers sta ricevendo risposte apparentemente coordinate ma prive di letture ed analisi interpretative adeguate.

In tale contesto, gli Stati-Nazione, soprattutto dell’Unione Europea, mentre hanno messo in atto politiche di rientro traumatiche della spesa pubblica che tengono conto solo dei giudizi della Banca Mondiale degli investimenti e dei suoi rapporti annuali (Doing Businnes), hanno finito per destabilizzare le già deboli architetture istituzionali.

Le ricadute sulle città e sulle comunità locali sono fisiologiche, tanto da richiedere urgenti analisi e nuove letture della metamorfosi dei territori sempre più in fibrillazione. Nel nostro Paese si è quindi aperta una vera fase di cambiamento e di conflitti dagli esiti tanto aperti quanto imprevedibili. I territori subiscono così un doppio strappo: uno dal basso verso l’alto in cui crescono per qualità e quantità i fabbisogni delle comunità locali; l’altro dall’alto verso  il basso ad opera di uno Stato (Leviatano?) che, nel tentativo di far subito cassa, ha travolto principi e regole democratiche sottese al valore di quell’autonomia politica dotata di copertura costituzionale. La prospettiva di avere nell’immediato futuro Città senza Municipi è tutt’altro che remota. Accorpamenti, fusioni, gestioni associate, ambiti territoriali ottimali, soppressione, razionalizzazione ed ottimizzazione sono infatti le formule che più comunemente, e con incantevole determinazione, vengono utilizzate dal legislatore statale, soprattutto attraverso l’uso disinvolto della decretazione d’urgenza, per stravolgere l’attuale impianto istituzionale all’insegna della spending review .

Le fibrillazione investono quindi tutto e tutti, dai sistemi di rappresentanza politica e sociale alle identità collettive, ai gruppi civici. Le fibrillazioni diventano vere turbolenze in quei territori comela Siciliadove l’Italia è meno Italia. Qui, la crisi generale contempla traumaticamente la crisi del grande erogatore pubblico che per tanti anni ha creato “benessere senza sviluppo”, “welfare dopato” ed “élite inadeguata”. Da qui la fisiologica emersione di insofferenti movimenti civici come i “forconi” ed il recente ingresso all’Assemblea Regionale Siciliana di 15 deputati eletti nelle liste di Grillo.  Peraltro, la cura fantasiosa proposta dal neo Governatore della Sicilia Crocetta nella formazione della propria giunta di governo appare inadeguata a curare le patologie croniche di cui soffrela Siciliae i siciliani. Al netto di due nomine assessoriali (il magistrato Marino all’energia ed ai servizi pubblici e l’esperto Caltabellotta all’Agricoltura) i restanti 10 assessori sembrano infatti scelti con l’obiettivo di non riuscire a muovere nulla dei rispettivi dipartimenti.

E tuttavia, oggi il territorio siciliano è anche questo magma partecipativo, in cui movimenti civici, questione giovanile e studentesca, proteste organizzate, coscienza collettiva e sostenibilità dello sviluppo si mixano per consegnarci un futuro diverso. Una prospettiva inedita, in cui la vecchia ricerca della coesione sociale viene sostituita dall’esigenza di trovare le coordinate di nuovi modelli di conflitto. In questo nuovo scenario, in cui è facile disorientarsi e/o scoraggiarsi, bisogna formare una nuova classe dirigente capace di riscrivere le regole del “contratto sociale” senza sottovalutare il “nuovo mondo” dell’Unione Europea ma, al contempo, senza perdere di vista il concetto secondo cui una politica senza territorio è come un insegnante senza scuola.

Tra gli attori locali precettati a fornire il proprio contributo al “cambiamento” vi sono gli Istituti di credito organizzati in fondazioni e in cooperative. Tali Istituti, in cui come abbiamo visto convive la natura giuridica privata, connotata dall’autonomia statutaria e gestionale, con gli scopi di utilità sociale che ne caratterizzano la funzione orientata ad attività di interesse generale, rappresentano l’espressione della sussidiarietà orizzontale: libere, indipendenti da condizionamenti esterni e dotati della capacità di autodeterminarsi.

Per recitare nel migliore dei modi la parte che il tempo che viviamo ha affidato loro, tali soggetti devono però avere capacità di ascolto ed analisi, attitudine ad individuare bisogni collettivi, impegno a selezionare con imparzialità quelli che possono soddisfare con la loro attività la crescita culturale, sociale ed economica dei territori di riferimento. L’obiettivo di svolgere la funzione di “catalizzatore delle risorse, delle politiche e delle competenze presenti sul territorio su specifiche problematiche di interesse comune” e di promuovere una “cittadinanza competente” implica che si sviluppi un contesto di collaborazione con gli altri soggetti di rilievo sociale ed istituzionale, nel rispetto dell’autonomia, delle distinte competenze e responsabilità di ciascuno.

In coerenza con questa metodologia di lavoro, un alleato chela Bancadi Credito Cooperativo “La Riscossa” di Regalbuto dovrebbe privilegiare è l’Università Kore, dotata della medesima autonomia statutaria e funzionale e protesa anch’essa alla crescita culturale, sociale ed economica del territorio.

Questa funzione di catalizzatore che raccoglie e suscita energie realizzatrici, configura gli Istituti di credito cooperativo quali soggetti animatori della sussidiarietà e del capitale sociale, intendendo per capitale sociale non quello tradizionalmente costituito dalle azioni nominali detenute dai soci, ma quello formato dalle dotazioni culturali e civiche di cui dispone la comunità locale di riferimento. Gli Istituti di credito cooperativo sono oggi, più che mai, chiamati non ad assumersi responsabilità politiche in luogo di chi ha con evidenza fallito, ma responsabilità sociali nei confronti non solo dei propri soci ma di tutti i cittadini che ambiscono ad elevare la qualità di vita del territorio in cui vivono. Tale responsabilità si misura con la considerazione che si ha dell’autorevolezza, della fiducia che suscita la trasparenza, l’imparzialità e l’efficacia della loro azione nei settori determinati dallo statuto, rendendo conto pubblicamente del modo d’essere e delle attività svolte.

In questo nuovo quadro di responsabilità multi level in cui ogni attore della buona società civile è chiamato a fare la propria parte bene ed in fretta,la Banca di Credito Cooperativola Riscossa di Regalbuto, forte dei suoi 90 anni, sembra avere l’ambizione di recitare a pieno il proprio ruolo nel rispetto di coloro che la fondarono nei primi anni del secolo scorso, con la fiducia di coloro che ancora oggi continuano a trasmettere i valori della mutualità e dell’appartenenza ad una comunità locale e con l’aspettativa di coloro che ostinatamente rimangono convinti che un futuro migliore è possibile anche in provincia di Enna.

 

Massimo Greco

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