Sallusti e il quarto grado di giudizio

Angela Bruno 16/11/12
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La Conferenza dei capigruppo del Senato dice sì al carcere per i cronisti con la lingua tagliente e menzognera. Ma ha bisogno di una pausa di riflessione: deve capire se il ddl sulla diffamazione deve traghettare per il purgatorio o bruciare all’inferno. Ed è meglio spedirlo all’inferno, dice Vita del Pd, perché «sbagliare è umano ma perseverare è diabolico». E certamente «Non ci sono più le condizioni politiche per andare avanti», aggiunge la Finocchiaro. Anche il Pdl è inquieto, ma il “segreto dell’urna” gli nasconde almeno i rossori di fronte a parenti e amici. E sì, «tutto sommato sarebbe meglio che restasse la legge che c’è» si avrebbero «meno complicazioni e meno polemiche».

Mazzatorta, vicepresidente del gruppo del Carroccio, in aula dice parole sensate: “Stiamo dicendo che l’onore di una persona è di scarsa importanza e merita una mera pena pecuniaria… la cosa più grave, e mi rivolgo ai colleghi del Pd, è che stiamo facendo una legge ad personam. Ma ancora più grave è che è una legge ad personam che annulla una sentenza della Cassazione con cui è stata confermata la decisione dei giudici d’appello sul caso Sallusti… è una sentenza che chiarisce in maniera ineccepibile perchè sia giustificata la pena detentiva“. Con questa legge “facciamo il quarto grado di giudizio“.

Non posso dargli torto, Mazzatorta ha proprio ragione.

Il buon Gasparri invece vuole fare il sarto. Vuole cucire un emendamento su misura per Sallusti: un emendamento che esclude il carcere per il direttore responsabile che non ha scritto l’articolo diffamatorio. Più preciso di così! L’amico è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un articolo non scritto da lui. E certo, «Il Parlamento deve farsi carico del caso del direttore Sallusti che finisce in carcere». Ma questa rivendicazione , che farebbe meritare a Gasparri l’onore delle armi, è una vera e propria peste: è quella vecchia malattia che ha ammorbato chi ha problemi con la giustizia e anche chi ha problemi con chi ha problemi con la giustizia. Intanto Berselli annuncia: «Sto studiando due proposte di modifica da presentare all’emendamento della Lega già votato. Sto cercando di capire se si può fare». Ma che studia a fare? Forse ha ragione Li Gotti: «Può studiare quello che vuole… Non è il punto, ma il “puntone”. C’è un grosso rischio di incostituzionalità». E così anche chi sta studiando, proprio perché sta studiando, davvero non ha scienza della giustizia di tutti. E il diritto diventa un patto tra persone di miserabile potere che edificano principi e princìpi al di fuori e al di sopra del popolo. E non ci raccontino più, per favore, la storiella dell’arbitrio del giudice. Ci raccontino, per favore, dell’oscuro intrigo e delle pericolosissime leggi cecate che guardano solo alla spocchiosa superiorità di pochi.

La ministra Severino spera e spera, ma spera in una discriminazione: «Il mio auspicio è che possa riprendere il dibattito parlamentare che porti a un consolidamento della linea dell’esclusione del carcere e un miglioramento delle misure a garanzia sia del diritto-dovere di informare, sia del diritto di riparazione, come la rettifica». E con lei sperano molti senatori di maggioranza, convinti come sono che il il testo che potrebbe sfornare il Senato «sarebbe meglio della legge attuale» dato che rende il carcere alternativo ai soldi e riduce la pena fino a un anno piuttosto che da uno a sei anni. Basta sentirli per capire in quale misero confine ci hanno relegato.

E penso alle parole di Sciascia, che di cose di giustizia si intendeva, “Tutti i nodi vengono al pettine. Sì, quando c’è il pettine“. E noi non abbiamo un pettine. E noi abbiamo tanti nodi.

Angela Bruno

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