Concordato preventivo: i nuovi requisiti per l’ammissione alla procedura

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Come è noto, il governo in data 7 agosto 2012 ha convertito in legge il cosiddetto “Decreto sviluppo”.

Diverse le novità introdotte, ma ad ogni modo con questo breve articolo, si andrà ad analizzare una singola modifica legislativa in ambito fallimentare che risulta essere di particolare interesse.

Invero la riforma ha modificato i requisiti richiesti per l’ammissione alla procedura del concordato preventivo. Nello specifico, ora il debitore può limitarsi a depositare il ricorso contenente la mera domanda concorsuale, riservandosi il diritto di presentare la proposta, il piano di concordato e la documentazione necessaria successivamente al deposito del ricorso. Il termine per tale deposito è viene fissato dal giudice ed è compreso tra 60 e 120 gg. Si ricorda inoltre che detto termine ed è prorogabile, ma di non oltre 60 gg.

Circa gli effetti della presentazione del ricorso, si ricorda che a seguito della pubblicazione dello stesso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori non possono iniziare o proseguire esecuzioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, sotto pena di nullità. Inoltre, qualora nei 90 giorni che precedono la pubblicazione del ricorso siano state iscritte ipoteche giudiziali, esse sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.

In pratica è sufficiente depositare presso il Tribunale competente una richiesta di ammissione alla procedura concordataria, al fine di produrre gli effetti ex art. 168 L.F., ossia il blocco azioni esecutive. Il piano industriale, invece, potrà essere presentato nei mesi successivi.

Tale riforma è stata posta in essere al fine di tutelare le imprese in crisi, data la situazione di difficoltà economica riscontrata da molte società.

A seguito di questo nuovo dettato normativo sarà, quindi, superato l’utilizzo della tecnica impiegata dalle società concordatarie al fine di schermare il patrimonio del debitore, ossia quella di costituire sul patrimonio un vicolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., a favore dei creditori del concordato, nel periodo necessario a predisporre il piano e a depositare il ricorso. Si ricorda, infine, che detta tecnica era stata ultimamente resa più incerta, soprattutto a seguito di un provvedimento del 13.3.2012 del Tribunale di Verona, con cui lo stesso ha dichiarato che “non può ritenersi fattibile il piano di concordato preventivo qualora il debitore, prima di depositare la domanda, abbia costituito sui propri beni immobili un vincolo di destinazione ai sensi dell’articolo 2645 ter c.c. allo scopo, dichiarato, di evitare che l’aggressione disordinata del patrimonio dell’impresa in crisi possa comportare una dispersione di valore in danno dei creditori ed impedire un’equa distribuzione degli effetti dell’insolvenza”.

Francesco Gozzo

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