Sentenza Consulta su riforma Madia ininfluente sui furbetti del cartellino

Luigi Oliveri 01/12/16
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La stampa italiana si conferma abilissima nell’ampliare la cortina fumogena che, tutto sommato legittimamente, il Governo sta cercando di creare sulla sentenza della Corte costituzionale 251/2016, che ha azzoppato la riforma Madia.

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DECRETO FISCALE 2017

Il 24 novembre 2016 è stato definitivamente convertito, con modificazioni, il Decreto-Legge n. 193 del 22/10/2016 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili” (cd. Decreto fiscale 2017). Il provvedimento introduce importanti novità sulla riscossione delle entrate locali (soppressione di Equitalia, rottamazione del ruoli, ecc.) e in materia di comunicazioni IVA. L’e-book fornisce una prima lettura delle norme di maggior interesse per gli Enti Pubblici.

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Il Governo sta cercando, come lecito aspettarsi, di utilizzare la sentenza come strumento di propaganda per il sì al referendum, offrendo alcune argomentazioni principali (clicca qui per lo SPECIALE REFERENUDM 4 DICEMBRE):

  1. se la Costituzione fosse già stata riformata, non vi sarebbe stata la possibilità di pretendere l’intesa da parte delle regioni (cosa non vera: la potestà legislativa concorrente delle regioni resta anche dopo la riforma, così come resta l’operatività della Conferenza Stato-regioni);
  2. la Corte costituzionale è stata poco accorta nel pubblicare la sentenza un giorno prima che scadessero le deleghe sulla riforma della dirigenza e dei servizi pubblici locali; avrebbe fatto meglio a consentire che venissero sottoscritti dal Presidente della Repubblica e pubblicati i decreti attuativi, così da farli, intanto, entrare in vigore: una riedizione della “giustizia a orologeria”;
  3. si compromette, ora, la funzionalità di riforme già adottate e vigenti, come in particolare quella relativa ai “furbetti del cartellino”. Soffermiamoci su questo punto specifico.

Prendiamo, ad esempio, l’articolo scritto da Valentina Conte per La Repubblica del 27 novembre 2016, titolato I furbetti del cartellino salvati da quel no alla riforma degli statali Rischio pioggia di ricorsi”. Un titolo ad effetto, che intende far vedere quanto “cattive” siano state regione Veneto e Corte costituzionale nel pretendere il rispetto della Costituzione, mentre si gestiscono gli iter legislativi e, dunque, si deve tenere conto dei “pesi e contrappesi” all’esercizio del potere decisionale.

Lo “scotto” per questa difesa della Costituzione, ridotta nella narrazione a “burocrazia” è il “liberi tutti” per i furbetti del cartellino, che, quindi, secondo la propaganda, grazie alla sentenza ora potranno tranquillamente fare la spesa in orario di lavoro. Leggiamo l’articolo citato prima: “Sorpresi a fare shopping per le vie del centro, in visite mediche, dediti a lavoretti di giardinaggio o semplicemente a casa. 6.800 ore di pedinamenti e videoregistrazioni della Guardia di Finanza.

Poi per 29 dipendenti assenteisti del Libero consorzio comunale di Siracusa è scattato il reato di truffa aggravata. I colleghi passavano il badge per attestarne la presenza, ad inizio e fine turno. Nessuno controllava. «Assenteismo, 29 dipendenti colti sul fatto a Siracusa. Si applica la riforma della Pa: licenziamento rapido a tutela di tutti i dipendenti onesti», twittava la ministra Madia. Era il 7 settembre, la legge sui furbetti del cartellino fresca di stampa, entrata m vigore il 13 luglio. E ora? Cosa succede dopo che la Consulta venerdì ha bocciato, dichiarandone l’incostituzionalità, quattro articoli di quella riforma?

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La riforma della trasparenza

La riforma della normativa sulla trasparenza, il D.Lgs. 33/2013 riscritto in parte dal D.Lgs. 97/2016, mira ad introdurre in Italia un vero e proprio Freedom of Information Act (FOIA), in analogia a quanto fatto nei Paesi del Nord Europa ed anglosassoni, richiedendo un profondo ripensamento delle modalità operative e mettendo la trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione al centro della propria attività.L’elemento più rilevante della riforma, tale da indurre le amministrazioni a modificare organizzazione e comportamenti, amplia l’accesso civico, che divienediritto di ogni cittadino di pretendere la pubblicazione nei siti istituzionali degli atti e delle informazioni da rendere obbligatoriamente pubblici e ottenere gratuitamente dati, informazioni e documenti prodotti. L’eventuale rigetto delle domande di accesso dovrà essere sempre molto ben motivato.La riforma punta anche alla semplificazione dei troppi adempimenti richiesti dalla normativa: viene eliminato il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità, essendo sufficiente il Piano triennale della prevenzione della corruzione; alcuni adempimenti non saranno più richiesti, come la produzione dell’elenco semestrale dei provvedimenti in tema di appalti e concorsi; alcune pubblicazioni sui portali, nella sezione “Amministrazione trasparente”, potranno effettuarsi tramite link già presenti nei siti, evitando duplicazioni; i comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti saranno esentati da una serie di adempimenti su cui si attendono le linee guida che emanerà l’Anac; vengono estesi gli obblighi di pubblicità incombenti sugli organi politici anche ai dirigenti pubblici.   Luigi Oliveri Dirigente amministrativo della Provincia di Verona, collaboratore del quotidiano “Italia Oggi”, autore di molteplici volumi sul Diritto amministrativo e degli Enti locali, docente in corsi di formazione.

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Il furbetto licenziato può fare ricorso, vincerlo e tornare al suo posto

Questo perché lo tsunami della sentenza 251 della Corte Costituzionale ha travolto pure il decreto legislativo 116 del 2016, diventato legge. Quello che prevede la sospensione in 48 ore del dipendente pubblico colto in flagrante, il taglio immediato dell’indennità e il licenziamento sprint entro 30 giorni. Insomma, è incostituzionale come la legge madre da cui deriva (la legge delega della riforma Madia)”.

La giornalista, presa dall’impeto di mostrare gli esiti nefasti della sentenza 251/2016, però, trascura un piccolissimo particolare: il comune di San Remo, presso il quale si verificò il caso di estesissimo assenteismo che diede la stura proprio all’approvazione del d.lgs 116/2016, ha licenziato decine e decine di dipendenti infedeli, applicando la normativa precedente alla riforma.

Questa è la prova ultima, senza alcuna necessità di ulteriori valutazioni, che, come sempre sostenuto da chi scrive, che le disposizioni sul procedimento disciplinare contenute nel d.lgs 165/2001 prima della novellazione apportata dal d.lgs 116/2016 consentivano, hanno sempre consentito, di licenziare i dipendenti assenteisti. Non è mai mancato lo strumento per procedere; si può dubitare che sia sempre stata presente la volontà di farlo.

Dunque, l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità del d.lgs 116/2016, perché adottato senza la preventiva intesa con le regioni, non determinerebbe per nulla l’effetto di “salvare” i furbetti del cartellino. Essi potrebbero tranquillamente continuare ad essere perseguiti e licenziati, applicando la normativa precedente alla riforma, appunto come avvenuto nel caso di San remo.

Una disposizione che si limita a regolare il procedimento disciplinare

Del resto, si deve ricordare che il d.lgs 116/2016, pur avendo meglio precisato il caso dell’assenteismo, è una disposizione che si limita a regolare il procedimento disciplinare, accorciando drasticamente i termini procedurali: così tanto, oltre tutto, da mettere a serio rischio la possibilità di licenziare lecitamente i dipendenti infedeli. Proprio nel caso di San Remo, tanti erano i furbetti del cartellino che nel brevissimo termine di 30 giorni disponibile, non sarebbe stato possibile garantire a tutti l’audizione preventiva all’adozione del licenziamento, né istruire in modo completo le pratiche, così da avere chance di successo nei ricorsi proposti al giudice del lavoro.

La situazione, dunque, è totalmente diversa da quella raccontata dalla stampa: l’illegittimità costituzionale del d.lgs 116/2016 è sostanzialmente ininfluente.

Il problema consisterà nella circostanza che finchè tale norma non sia eliminata dalla Consulta, con una nuova sentenza, le amministrazioni dovranno comunque attivare la sospensione dal lavoro entro 48 ore e rispettare gli strettissimi tempi procedurali. Così stretti, c’è oltre tutto da notare, che mettono a repentaglio in modo evidentissimo il diritto alla difesa. Tanto che il d.lgs 116/2016 era comunque esposto a rischi di incostituzionalità, anche senza la sentenza 251/2016 della Consulta, per il “merito” del suo contenuto, cioè l’eccessiva compressione dei tempi, tale da non consentire la piena garanzia del contraddittorio. E’ da ricordare che il Governo col decreto sui furbetti del cartellino ha inteso accelerare una procedura, quella disciplinare per il licenziamento, già brevissima, in sé e soprattutto per i tempi medi dei procedimenti amministrativi complessi: 120 giorni soltanto, che si è voluto abbreviare a 30, più per immagine che per necessità reali di celerità.

Vi sarebbe, inoltre, da osservare che tra i decreti legislativi attuativi della riforma Madia, proprio il d.lgs 116/2016 appare uno tra quelli meno a rischio di illegittimità costituzionale.

Come ha spiegato la stessa Consulta, per i decreti già entrati in vigore, la sentenza 251/2016 non dispiega immediatamente i propri effetti: occorrerebbe un’impugnazione specifica relativa al singolo decreto, per attivare un giudizio sulla legittimità costituzionale specifica del decreto.

Non si deve, tuttavia, dimenticare su cosa poggia la sentenza 251/2016. Non si tratta della difesa circa di un potere di interdizione delle regioni derivante dal Titolo V della Costituzione, come in molti stanno raccontando per portare acqua alla campagna referendaria. La Consulta ha considerato illegittime alcune disposizioni della legge 124/2016 perché le materie trattate connettono inestricabilmente la potestà legislativa esclusiva dello Stato con quella concorrente delle regioni; sicchè, in questi casi, non è possibile chiedere un mero parere non vincolante alle regioni, ma occorre una vera e propria intesa.

Il licenziamento disciplinare dei dipendenti pubblici infedeli

Ora, nel caso della materia del licenziamento disciplinare dei dipendenti pubblici infedeli, si può lecitamente dubitare che le regioni dispongano di una potestà legislativa concorrente. Non si tratta, infatti, in questo caso di regolamentare l’organizzazione del lavoro. La materia del licenziamento disciplinare rientra pienamente e totalmente nella regolamentazione del rapporto di lavoro, sorretta dal diritto civile: del resto, la sanzione disciplinare è tipicamente conseguenza di un inadempimento ad obbligazioni contrattuali, quelle in capo al lavoratore.

Pertanto, non è affatto così scontato come molti stanno raccontando in queste ore che il d.lgs 116/2016 possa davvero andare incontro ad un giudizio di illegittimità costituzionale conseguente alla sentenza 251/2016 della Consulta. I rischi di illegittimità costituzionale del d.lgs 116/2016, come visto sopra, sono altri: quelli legati all’eccessiva compressione del diritto alla difesa.

La conclusione corretta da trarre, allora, è che la sentenza 251/2016 della Consulta non produce alcuno sconquasso, né tanto meno “salva” i furbetti del cartellino. Purtroppo, c’è da scommettere che la stampa generalista continuerà a cavalcare l’onda emotiva della propaganda.

Luigi Oliveri

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