Jobs act, demansionamento: i diritti del lavoratore

Redazione 19/09/15
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Con l’approvazione degli ultimi 4 decreti attuativi della riforma del lavoro (Jobs Act) è stato introdotto anche il cosiddetto demansionamento. Di che cosa si tratta? In sostanza, il dipendente non può essere adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto. L’obiettivo dell’introduzione del divieto vuole evitare di ledere la professionalità acquisita dallo stesso lavoratore. In assenza di un’indicazione precisa, al momento dell’assunzione, da parte del datore di lavoro circa categoria e qualifica da assegnare al lavoratore bisogna fare riferimento alle mansioni che sono svolte dal lavoratore in maniera concreta e continuativa. Il demansionamento, tuttavia, può essere disposto qualora intervengano alcune eccezioni:

  • una modifica degli assetti organizzativi aziendali tale da pesare sulla posizione del lavoratore;
  • ipotesi previste dai contratti collettivi.

In entrambi i casi, le mansioni attribuite possono, all’interno della classificazione contrattuale, spettare al livello di inquadramento inferiore a patto però che rientrino nella stessa categoria legale. Il Jobs Act, invece, con gli ultimi interventi ha reso possibile modificare la categoria in caso di rilevante interesse del lavoratore, come conservazione dell’occupazione, acquisizione di una diversa professionalità o miglioramento delle condizioni di vita.

Sul datore di lavoro grava l’obbligo di comunicare al lavoratore l’assegnazione a mansioni inferiori in forma scritta, pena la nullità. In materia di onere della prova e risarcimento del danno, poi, è intervenuta la giurisprudenza. In particolare, il demansionamento viene escluso dai giudici nei casi di:

  • adibizione del lavoratore a mansioni inferiori marginali ed accessorie rispetto a quelle di competenza, purché non comprese nella competenza specifica di altri lavoratori di professionalità meno elevata e a condizione che l’attività prevalente del lavoratore rientri tra quelle previste dalla categoria di appartenenza;
  • riclassamento del personale (riassetto delle qualifiche e dei rapporti di equivalenza tra mansioni) da parte del nuovo CCNL. In tale ipotesi le mansioni devono rimanere immutate;
  • intervenuta infermità permanente, a patto che tale diversa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo stabilito dall’imprenditore.

Tra i suoi diritti, il lavoratore può conservare il livello di inquadramento e il trattamento retributivo riconosciuto prima dell’assegnazione alle mansioni corrispondenti al livello inferiore. Si escludono, però gli elementi retributivi connessi a peculiari modalità di esecuzione della prestazione lavorativa svolta in precedenza dal lavoratore (come indennità di cassa), che il datore di lavoro non è obbligato a mantenere.

Come difendersi allora? Se il datore di lavoro adibisce il lavoratore a mansioni inferiori in ipotesi diverse da quelle indicate, il demansionamento si considera illegittimo; il lavoratore può dunque agire in tribunale, tramite una causa di lavoro, e chiedere il riconoscimento della qualifica corretta (anche in via d’urgenza). Inoltre il lavoratore, qualora il demansionamento presenti una gravità tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro, anche provvisoria, ha facoltà di recedere dal contratto per giusta causa. Accertata la violazione, il giudice del lavoro a tutela del lavoratore può disporre:

  • la condanna del datore di lavoro alla reintegra del lavoratore nella posizione precedente o in una di tenore  equipollente;
  • la condanna al risarcimento del danno patrimoniale, attinente alle retribuzioni eventualmente maturate medio tempore (ad esempio  nel caso di attribuzione di mansioni inferiori con derivante trattamento economico più basso);
  • la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale cagionato dal demansionamento subito.

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