La riforma Delrio comma per comma. Nuovo patto per la Repubblica

Redazione 09/06/14
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La riforma che riguarda città metropolitane, province e unioni e fusioni dei comuni è una riforma semplice. Nasce su alcuni principi base: condurre a due pilastri, regioni e comuni, le istituzioni locali a elezione diretta, dare il via alle città metropolitane attese da trent’anni, chiedere ai sindaci responsabilità che superino i campanili.

Il presente articolo è uno stralcio della presentazione firmata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio al volume “Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni. La legge Delrio – 7 aprile 2014, n. 56 – commentata comma per comma” (Maggioli, 2014) di Luciano Vandelli con la collaborazione di Pietro Barrera, Tiziano Tessaro e Claudia Tubertini (NdR)

Nello spirito della legge c’è infatti una profonda fiducia nella capacità delle comunità locali di pensarsi in un Paese unito, che sappia superare le difficoltà con coesione tra le comunità, che sappia vedere al di là degli interessi specifici per abbracciare gli interessi collettivi: i comuni che si troveranno a lavorare insieme nelle città metropolitane, nelle province riformate o nelle unioni di comuni dovranno avere la capacità di pensarsi come attori dell’area vasta a cui appartengono.

L’approvazione della legge ha segnato il primo passo nel percorso di ridisegno complessivo dell’architettura istituzionale repubblicana, di cui il sistema di governo delle autonomie è parte fondamentale, con pari dignità rispetto agli altri livelli istituzionali.

Quello che sta prendendo forma è un nuovo patto per la Repubblica in piena armonia con il dettato costituzionale nell’ottica di un autonomismo cooperativo e non competitivo, un percorso oggi più che mai necessario, volto a modernizzare Stato ed enti locali, eliminare le sovrapposizioni nello svolgimento delle funzioni fondamentali e dotare le amministrazioni di stru- menti di governo adeguati, con l’auspicio, tra l’altro, di corroborare quel rap- porto fiduciario tra cittadini e rappresentanza politica che anni di mancate riforme, uniti al declino economico e sociale, hanno purtroppo logorato.

L’obiettivo primario del riordino delle autonomie locali è dunque ren- dere più efficiente e trasparente il loro assetto e il loro funzionamento, in modo che siano chiare e riconoscibili dai cittadini le responsabilità delle singole amministrazioni e che queste possano svolgere al meglio i compi- ti loro affidati dalla Costituzione e dalla legge.

Alla base del nuovo sistema amministrativo, dalle nuove province alle città metropolitane, la riforma delle autonomie pone al centro l’efficacia dei servizi pubblici e la semplificazione della vita per imprese, famiglie e cittadini. Le istituzioni e la politica potranno riacquistare la fiducia del popolo italiano solo se contribuiranno a risolvere i problemi della vita quotidiana.

Uno degli elementi caratterizzanti la riforma è il superamento sostanziale delle province, che si concretizza nella abolizione del livello elettivo già dalla tornata elettorale 2014, e nella trasformazione in organi di se- condo grado specificamente dedicati al coordinamento e supporto all’attività dei comuni. Le funzioni delle vecchie province vengono riattribuite in parte ai nuovi enti di area vasta, in parte alle regioni, con la relativa dotazione di risorse e personale.

In attesa che il Parlamento affronti la cancellazione costituzionale delle province, la conseguenza più immediata è l’eliminazione di un livello politico e di intermediazione amministrativa: i consigli provinciali e le nuove assemblee vengono infatti composti direttamente dai sindaci e consiglieri comunali dei comuni rappresentati.

Sindaci e consiglieri per questo incarico non percepiscono compensi aggiuntivi. È il primo risparmio sensibile in un percorso che è anche orientato, come sta avvenendo in tutta la macchina pubblica, al recupero di risorse e al miglior utilizzo della spesa, ma che soprattutto vuole pro- durre semplificazione negli atti e nelle scelte, permettere di dare risposte certe in tempi brevi riorganizzando i servizi. A questo proposito, di fonda- mentale importanza è la riorganizzazione territoriale degli enti periferici con piani da comunicare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

Nella riforma diversi passaggi chiave riguardano il rafforzamento del Sistema Paese e la sua capacità attrattiva e di iniziativa. Dopo un’attesa durata trent’anni, arriva l’istituzione delle città metropolitane, vocate alla competitività del Paese, al coordinamento dei servizi di rete e più dedicate alla promozione dello sviluppo economico. Nelle città metropolitane europee e mondiali si sviluppa il 70 per cento della ricerca e dell’innovazione, più del 30 per cento del Pil e gli investimenti maggiormente legati allo sviluppo futuro, quelli relativi alla economia innovativa. In Italia, quasi 20 milioni di persone vivono nelle grandi aree metropolitane, che già oggi generano il 35 per cento del Pil.

Si tratta di dar modo a queste città di competere con quelle globali, che hanno capacità organizzativa, governance leggera e poteri cooperativi e non competitivi, com’è invece purtroppo nella tradizione del sistema italiano, in cui i poteri comunali, provinciali e regionali sono troppo spesso stati posti in competizione, se non addirittura in contrapposizione. In tutta Europa, tra l’altro, le diverse aree metropolitane hanno mo- delli gestionali e organizzativi differenti, che si danno autonomamente, secondo i differenti contesti.

La autonomia statutaria concessa alle città metropolitane, compresa la facoltà di disciplinare l’elezione diretta del sindaco metropolitano, dev’essere interpretata proprio nel senso del raggiungimento degli obiettivi condivisi.

Un ruolo fondamentale sarà rivestito dai comuni, le cui funzioni amministrative, vecchie e nuove, rappresentano un elemento di forza e di coerenza con lo spirito costituzionale. Come recita l’articolo 118, comma 1, della Costituzione, infatti, “Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. Proprio questo spirito, sancito nella legge fondamentale dello Stato, insieme alla volontà di rafforzare l’autonomia locale, ha dato l’impronta al testo della riforma.

Valorizzare le identità locali, attraverso la partecipazione in prima persona dei sindaci eletti, nelle scelte di programmazione dei territori, significa portare direttamente al cuore delle decisioni le istanze più concrete e reali delle comunità.

Infine, ma non ultime, le nuove norme semplificano le procedure previste per le unioni di comuni. Mentre infatti l’80 per cento della popolazione francese e il 90 per cento della popolazione tedesca e di quella spagnola vivono all’interno di unioni di comuni, cioè comuni che lavorano in maniera associata, in Italia ciò accade solo per il 10-11 per cento. Anche in questo caso, la legge va nella direzione di dare ai cittadini servizi migliori a costi più contenuti e con modalità più trasparenti.

Si dà inoltre la facoltà di mantenere, ad invarianza di spesa quasi a livello volontaristico, un numero di consiglieri comunali sufficiente per poter svolgere attività nelle realtà più disperse e difficili, restando pur sempre al di sotto dei numeri e della spesa del 2010. La legge incoraggia inoltre la via della fusione, percorso già intrapreso da un numero crescente di realtà in vista dell’entrata in vigore, quindi il numero di personale politico è comunque destinato a scendere sensibilmente.

Il processo di trasformazione a cui il Governo ha dato il via crea quindi le condizioni perché si possano ripensare i processi reali di funzionamento dei territori. Per questo, alle regioni sono stati volutamente lasciati ampi spazi per guidare i processi di riordino dell’assetto istituzionale o di ripensamento degli ambiti ottimali di gestione dei servizi, e per lo stesso motivo non si prevede più la coincidenza dell’organizzazione periferica dello Stato con il tessuto provinciale e si è data agli enti locali la possibilità di riconsiderare i distretti sociosanitari, le forme consortili tra comuni e tutti i livelli intermedi tra regioni e comuni.

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