Supplenti e reiterazione dei contratti a termine: decide la Corte Ue

Redazione 23/07/13
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La normativa inerente il reclutamento dei supplenti, che autorizza la reiterazione dei contratti a termine senza obbligo di immissione in ruolo o di risarcimento del danno, è compatibile con l’ordinamento comunitario? A rispondere al quesito toccherà alla Corte di giustizia europea la quale sarà appunto chiamata a spiegare alla Corte costituzionale le motivazioni dell’acconsentita, o viceversa negata, conciliabilità. Questo è quanto si apprende da un’ordinanza di rimessione emanata il 3 luglio scorso (207/2013) dalla Consulta con cui si chiede esplicitamente alla Corte di Lussemburgo di esprimere un parere nel merito della questione a seguito di un giudizio di legittimità costituzionale sostenuto dal Tribunale di Roma e da quello di Lamezia Terme. I giudici rimettenti, infatti, in opposizione all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, hanno ritenuto che la normativa comunitaria, vietante la reiterazione dei contratti a termine, non riscontri un’immediata applicabilità. Il motivo, chiarisce la Corte di Giustizia, si basa sulla natura “non incondizionata né sufficientemente precisa” della legislazione, la quale di conseguenza non può “essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale”.

Gli stessi giudici, pertanto, dinanzi all’impossibilità appurata di poter applicare la normativa comunitaria per poter risolvere le questioni al centro dei giudizi basilari, hanno optato per la rimessione degli atti direttamente alla Consulta. Se la legge interna italiana, che legittima la reiterazione dei contratti di supplenza, per effetto dovesse risultare contraria alla disciplina comunitaria, allora è da giudicarsi anche avversa alla Costituzione? E qualora, inoltre, la stessa dovesse essere considerata come realmente incostituzionale, soltanto la Corte costituzionale potrebbe deciderne o meno l’abrogazione. Ciò nonostante, la Consulta non si è sentita in grado di agire direttamente considerando come unico titolare, peraltro più competente, della definizione o meno della compatibilità normativa tra legislazione interna e comunitaria proprio la Corte di giustizia europea. I 15 magistrati di cui si compone il ‘sommo’ collegio hanno dunque sospeso il giudizio di merito e contestualmente fatto appello al responso di Lussemburgo.  Al centro del giudizio, il giudice delle leggi ha chiesto al giudice comunitario di esprimere parere sulla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999 n. 1999/70/CE, e sulla rispettiva interpretazione.

In maniera specifica, la Consulta chiede se l’interpretazione da intendere vada nel senso ostativo all’applicazione dell’articolo 4, commi 1 (ultima proposizione) e 11, della normativa n. 124 del 3 maggio 1999, e cioè se le norme che regolamentano le supplenze e che altresì consentono il ricorso a contratti a tempo determinato senza segnalare tempi precisi per l’espletamento concorsuale e a prescindere dal diritto al risarcimento del danno risultino effettivamente compatibili con l’ordinamento comunitario. La Corte costituzionale ha inoltre rimesso alla Corte di giustizia europea la questione attinente alle necessità di organizzazione dell’intero apparato scolastico nazionale, fondato sull’assunzione dei supplenti per evitare il pericolo-esuberi, e la correlata verifica che queste ultime costituiscano motivazioni tali da poter oggettivamente giustificare la reiterazione contrattuale senza alcuna sanzione così come sancito dalla clausola 5, punto 1 del citato accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

Nel caso in cui, poi, la disciplina di reclutamento dei supplenti nostrana non dovesse risultare compatibile con l’ordinamento dell’Unione Europea, il giudice delle leggi ha chiesto al proprio omologo comunitario se risulti o meno possibile applicare la deroga prevista dalle norme comunitarie qualora subentrino “ragioni obiettive” tali da avallare un’eccezione. Da un lato della barricata troviamo quindi, fermi nella rispettiva posizione, i precari della scuola che congiuntamente alla prevalente magistratura di merito continuano a supportare la tesi secondo cui la reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi debba almeno configurare un risarcimento danni. Dall’altro, invece, sono schierati il legislatore e la Corte di Cassazione che, considerando la scuola come ‘luogo’ dotato di esigenze particolari, sostengono la tesi opposta.

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