I numeri e la carriera dei dipendenti pubblici. Lavoro pubblico ridotto a macchietta?

Luigi Oliveri 17/07/13
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Sergio Rizzo, ormai consapevole della popolarità estrema della sua firma, ha affinato la tecnica dell’inchiesta tendenziosa: un misto di dati corretti, altri sbagliati ma volutamente lasciati generici, soprattutto giudizi ed opinioni taglienti al punto giusto per rendere il caffè al bar più amaro.

Il giornalista ha superato se stesso sul Corriere della sera dello scorso 8 luglio nell’articolo “Una legge semplifica, quattro complicano”, il cui paragrafo finale è dedicato al numero ed alla carriera dei dipendenti pubblici.

Esaminiamolo punto per punto, per comprendere la tecnica furbetta ed ammiccante, volta non tanto ad informare, quanto a formare consenso populista.

Le statistiche ufficiali dicono che il numero dei nostri dipendenti pubblici è perfettamente in linea con la media europea. Ma pur avendo più o meno lo stesso personale del Regno Unito (tre milioni e mezzo), non abbiamo la stessa qualità dei servizi”.

La prima affermazione è vera: il numero dei dipendenti pubblici in Italia non è affatto eccessivo, ma appunto nella media europea. Guardiamo cosa dice in proposito non una statistica, ma la fonte ufficiale di riferimento, la Corte dei conti: la Relazione 2011 delle Sezioni Riunite in sede di controllo sul costo del lavoro pubblico spiega che la spesa pro capite dell’Italia si colloca in linea con la media dei paesi considerati (2.970 euro nel 2009). La spesa complessiva per il personale sostenuta dall’Italia ed i principali Stati competitori è piuttosto simile. Nel 2009, l’Italia ha incontrato una spesa di 171.905 milioni di euro (scesa a 163 milioni nel 2012), contro i 254.326 della Francia, i 177.640 della Germania, i 189.464 dell’Inghilterra ed i 125.164 della Spagna (solo quest’ultima è inferiore). La spesa pro capite italiana è di 2.863 euro, inferiore a quella francese (3.951), e a quella inglese (3.076), e superiore a quella tedesca (2.166) e spagnola (2.731).

La seconda affermazione di Rizzo, volutamente tenuta sul generico, è falsa: in Italia non c’è affatto, più o meno, lo stesso numero di dipendenti del Regno Unito, ma un numero largamente inferiore. Lo studio Eurispes su dati Ocse, rivela che nel 2007 Italia i dipendenti erano 3.500.000, in Francia c’erano 3.175.000 dipendenti, in Germania 3.250.000, inGran Bretagna 4.179.000 e in Spagna 2.202.000. Nel 2012 i dipendenti in Italia erano 3,2 milioni: largamente meno di quelli sudditi di sua maestà Elisabetta II.

Non pare che questi dati possano non essere noti al Rizzo. Spetta a ciascun lettore farsi un’idea sul perché divulghi, allora, notizie di tal fatta.

Prosegue l’articolo: “Quanto abbia contribuito nei decenni una certa politica sindacale priva di qualunque suggestione meritocratica è sotto gli occhi di tutti. In Italia i dipendenti pubblici ricevono un incentivo alla «presenza», cioè per il solo fatto di timbrare il cartellino. E poi le «progressioni orizzontali» (banalmente, gli aumenti di stipendio) uguali per tutti com’era regola anni fa alla Regione Campania, i giudizi sempre ottimi per tutti i dirigenti basati sulla valutazione di se stessi, quando non accordi sindacali che escludevano addirittura la possibilità di dare insufficienze ai subalterni. Il principio della deresponsabilizzazione ha letteralmente dilagato dai massimi gradi dirigenziali fino ai livelli inferiori. Né i tentativi di riforma sono stati in grado di imprimere una svolta”.

Anche qui, un intreccio di informazioni vere, altre parzialmente scorrette, considerazioni che, comunque, assorbendo le une e le altre non possono che essere condivise.

In quanto alla politica sindacale: è certamente corretto che, complice i politici al governo dei vari enti, abbia contribuito a far incrementare la spesa del personale pubblico, dal 2001 al 2009, di quasi 40 miliardi di euro. Ma questa responsabilità è della “burocrazia”, o del legame mortale tra sindacato e politica?

Dice Rizzo che in Italia i dipendenti pubblici ricevono un incentivo per il solo fatto di timbrare il cartellino. Questa affermazione in punto di diritto è totalmente falsa: non esiste un solo contratto collettivo nazionale di lavoro che disponga nel senso indicato da Rizzo. In punto di fatto, invece, è vero che presso molte amministrazioni l’incentivo si riduca sostanzialmente a questo. Ciò avviene molto di frequente presso i ministeri. Guardi Rizzo, per approfondire, cosa dispone chi dovrebbe controllare la “performance” dei dipendenti pubblici, cioè la Civit e l’interessantissima sua delibera n. 12/2010 “Determinazione del trattamento economico accessorio del personale in posizione di comando o fuori ruolo o con contratto a tempo determinato”, ove si introduce appunto un’indennità per la presenza. E’ bene, quando si danno informazioni, essere precisi, indicare chi è in torto, non estendere a tutto il sistema violazioni alle norme: piace al barista e all’avventore, ma lo scopo dell’informazione è un altro.

Vero è, invece, che le progressioni orizzontali sono state mal gestite ed estese a tutti, senza troppo badare ai costi: nel comparto regioni enti locali, dal 2001 al 2008, secondo la Corte dei conti, ogni dipendente ha ricevuto almeno (è la media) 2 aumenti di stipendio. Il ruolo delle progressioni orizzontali nell’aumento del costo del personale pubblico è stato determinante. Ma, nessuno ha rilevato che la causa di tutto questo è la dissennata “privatizzazione” del rapporto di lavoro pubblico, che ha sottratto per lunghi anni il controllo della spesa del personale alle logiche della finanza pubblica, per darlo, invece, al già visto abbraccio asfissiante politica-sindacati. Nessuno ha sottolineato a dovere che i giudici del lavoro, dal 1998 dotati della giurisdizione in materia di lavoro pubblico, applicano al peculiare mondo del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione i canoni del lavoro privato, portando a decisioni letteralmente assurde, come trasformazioni di rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato vietatissime dalla legge, oppure assurde ordinanze di condanna per comportamento anti sindacale nei riguardi delle ammininistrazioni che, resistendo alle sirene dei sindacati, hanno voluto proprio limitare progressioni orizzontali o comunque stipulare contratti senza le forzature verso spese incontrollate, reperite regolarmente dagli ispettori della Ragioneria generale dello Stato quando vanno a far visita agli enti.

Con la conseguenza che quegli enti e quei soggetti (e sono la stragrande maggioranza) che i principi di responsabilità e merito hanno inteso applicarli, si sono spesso anche visti condannati da una giurisdizione che non si è ancora preso atto essere totalmente inadeguata al sistema.

Ancora Rizzo: “In questo sistema tutto italiano si è trovato anche il modo per aggirare i blocchi alle assunzioni. Così sono nate migliaia di società controllate dagli enti locali, con moltiplicazione di competenze, sovrapposizione di funzioni, sprechi indicibili. Altre spese, altra burocrazia. Ma stavolta «societaria», e con un vantaggio: assumere senza concorso né incappare nel divieto del turnover”.

Verissimo. Ma da 3 anni non più. Le società controllate dagli enti locali possono assumere solo mediante veri e propri concorsi. Sarebbe interessante sapere da Rizzo quali siano quelle che si ostinino a violare la legge.

Prosegue Rizzo: “Nel 2008 la Corte dei conti calcolava che questa massa informe di imprese pubbliche occupasse 255 mila persone, oltre a 38 mila fra consiglieri di amministrazione, revisori contabili e alti dirigenti. Ciascuna con una media di 68 dipendenti e ben 12 persone in posizioni di comando. Per avere un’idea del peso di queste società, si consideri che il Comune di Roma ha 25 mila dipendenti e 37 mila stipendi pagati da municipalizzate o aziende partecipate. Totale, più di sessantamila. Sessantamila…”.

I costi del personale di simile “massa informe”, se si applicasse la media di 30.000 euro a dipendente propria del comparto del pubblico impiego, si aggirerebbero sui 7,650 miliardi; cifra analoga si spende per aato, consorzi di bonifica e imbriferi, enti parco, enti, entini ed entetti comunali e regionali.

Su questi soggetti gli strali di Rizzo, molto acuminati quando si tratta di colpire le province (costo del loro personale: 2,5 miliardi), appaiono fuori mira e spuntati.

Non serve la caricatura macchiettistica della burocrazia e del lavoro pubblico, al solo scopo di tenere desto il populismo. Servono notizie vere, responsabilità certe e idee. Ci aspettiamo che Rizzo ed eponimi aiutino in questo modo, senza indulgere in una brodaglia populistica e qualunquistica che dopo il moto di rabbia, non raggiunge alcuno scopo.

Luigi Oliveri

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