Carne di cavallo nei cibi surgelati, Findus sott’accusa

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Il prodotto surgelato è da sempre sinonimo di comodità: specialmente le mamme con famiglie numerose sanno bene quanto sia più pratico scongelare e mettere in tavola, piuttosto che dedicare ore ai fornelli, attività per la quale si dispone sempre di minor tempo.

Forse anche per questa ragione ha destato particolare indignazione e preoccupazione la notizia che una nota casa produttrice di surgelati è stata messa sotto accusa dal governo britannico – e in subordine, da quello francese – dopo la scoperta che il ripieno dei cannelloni e lasagne surgelate messi in commercio non era a base di carne bovina, come pubblicizzato, bensì di carne equina! L’azienda si è affrettata a dichiarare la propria estraneità agli addebiti, ribaltando le accuse sul fornitore (romeno) di materia prima, autore della subdola mistificazione.

Ora, le riflessioni che si aprono a seguito di questa vicenda sono molteplici, a parere di chi scrive.

Prima di tutto, la faccenda non ha – o non dovrebbe avere – ripercussioni di natura sanitaria: la carne di cavallo, infatti, è oggetto da decenni di campagne di informazione, che la raccomandano in quanto ricca di ferro e altre sostanze ottime per l’alimentazione. Questo a patto di ricavarla da esemplari sani, si intende! Quello che è in gioco è la credibilità, sul mercato, di un’azienda che commercia prodotti (lasagne, cannelloni, spaghetti al ragù) tipici della cucina italiana, con evidenti danni all’immagine del cosiddetto made in italy, peraltro già al centro di polemiche dovute alla tendenza a etichettare con tale marchio anche prodotti realizzati e confezionati all’estero, il che appare una clamorosa contraddizione. Il senso di raggiro potrebbe suggerire all’animo del consumatore – già sufficientemente esasperato dalla crisi economica – che l’azienda in questione non è la sola a praticare simili furberie e, pertanto, che è il caso di diffidare dell’intero comparto-alimenti surgelati, con le conseguenze immaginabili in termini di mercato. Le rassicurazioni della filiale nostrana, circa la correttezza del proprio operato, sono giunte repentinamente, tuttavia il cliente italiano non ha molte altre garanzie : qualora volesse svolgere accertamenti non ne avrebbe gli strumenti idonei, in quanto l’obbligo di certificare la provenienza della carne è limitato (a partire dal caso “mucca pazza” del 2001) a quella di origine bovina, con esclusione di altre specie animali, quali appunto i cavalli. Probabilmente le maglie legislative sono ancora troppo larghe in tale ambito, e qui entra in ballo la vigilanza dell’ UE che in questi anni non ha evidentemente saputo (o voluto ?) trovare adeguate contromisure..

Troppo facile, poi, scaricare la colpa sull’indisciplinato e truffaldino fornitore romeno, che pure ha la sua responsabilità: la globalizzazione, per un’industria, ha senz’altro i suoi vantaggi, tra cui quello di potersi servire di manodopera e materie prime provenienti da altri paesi che li forniscono a prezzi concorrenziali. Questo però non esonera l’imprenditore dall’accertarsi della bontà e – in questo caso – dell’autenticità di ciò che viene fornito. Un’azienda non può pretendere di usufruire dei soli benefici della globalizzazione, scaricandone poi i costi sull’ignaro consumatore che, nella migliore delle ipotesi, viene “solamente” truffato: chiunque frequenti un minimo il banco della macelleria sa benissimo che differenza di prezzo c’è fra una bistecca di manzo ed una equina!

Infine, viene da chiedersi come avrebbe reagito il governo italiano, qualora lo scandalo si fosse verificato anche nel nostro paese: francesi e inglesi (questi ultimi soprattutto, visto che in terra d’Albione il cavallo è idolatrato – vedi Gran Premio di Ascot – più che servito in tavola !) si sono indignati non poco ed hanno chiesto e imposto provvedimenti sanzionatori severissimi, a tutela della salute e del diritto del consumatore a non esser truffato. Noi sapremmo fare altrettanto ?

 

Federico Urbinati

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