Imu alla Chiesa, il Consiglio di Stato boccia il decreto del Tesoro

Redazione 08/10/12
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Imu alla Chiesa, il Consiglio di Stato dice no al regolamento ministeriale. Con un parere del 4 ottobre scorso (qui il testo), palazzo Spada ha bocciato le disposizioni del dicastero in materia di Imposta municipale unica sugli immobili degli enti non commerciali, e dunque anche quelli appartenenti alla Chiesa.

Secondo i magistrati amministrativi “non è demandato al Ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell’esenzione Imu per gli immobili degli enti non commerciali“.

A parere di palazzo Spada, dunque, con il provvedimento il Ministero dell’Economia avrebbe travalicato la delega al Governo contenuta nel decreto liberalizzazioni, dove, appunto, si disponevano i criteri di identificazione per le attività soggette a esenzione dall’Imu, nello specifico per gli enti di natura non commerciale.

Questa la ragione di fondo del parere negativo del Consiglio di Stato sull’Imu a Chiesa ed enti non commerciali. Poi, però, il Tribunale è andato più nello specifico della questione, indicando ulteriori punti critici del testo firmato dal Tesoro.

In primis, i giudici hanno ricordato i principi su cui si basava la linea del governo in materia di Imu a Chiesa, fondazioni, associazioni, attività sportive o didattiche e via dicendo: dal regolamento attuativo sarebbe dovuta solo arrivare la casistica per  riconoscere il diritto all’esenzione, non già la sua generale attuazione.

Il Ministero, insomma, avrebbe dovuto diramare una lista di quegli immobili, o parti di essi, per i quali non era possibile stabilire con assoluta certezza la natura non commerciale dell’occupazione.

Inoltre, spiega il Consiglio di Stato, alcune decisioni contenute nel decreto attuativo ministeriale, oltre che andare oltre il potere conferito dal governo, sono indicate “in assenza di criteri o altre indicazioni normative” che chiariscano la “non-commercialità” dell’ente.

In parallelo, il Consiglio di Stato ha bocciato sonoramente anche la parte stessa del provvedimento che identifica i caratteri generali per sottolineare la provenienza non commerciale tra attività di natura o ambito differente: una scansione che oltretutto “esula dalla definizione degli elementi rilevati ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale“.

Non vanno esclusi, a questo proposito, anche i fabbricati utilizzati con finalità miste, tipologia di usofrutto dell’immobile molto frequente, per la quale il Ministero avrebbe dovuto fare “nomi e cognomi” degli enti non sottoposti a regime tributario, con conseguente istruzione sulle possibilità che non sia riconducibile con assoluta sicurezza un edificio alla sua finalità ultima.

Dovrebbe essere il proprietario, infatti, tramite apposito modello compilabile, a dichiarare quanto dell’edificio è sfruttato come finalità di tipo commerciale e viceversa.

Secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato, insomma, per dare validità giuridica piena all’esenzione, serve qualcosa di più solido di un blando regolamento ministeriale, anche in virtù, ricordano i giudici amministrativi, della procedura dell’Unione europea volta a verificare se l’esenzione dell’Ici – finché è rimasta in vigore – non sia da qualificare come “aiuto di Stato”.

Redazione

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