Un medico può farsi pubblicità tramite un volantino?

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Il dottore Tizio viene sottoposto a formale procedimento disciplinare da parte dell’Ordine dei Medici del luogo in cui esercita la professione, in relazione alla diffusione di un volantino ove risultano pubblicizzate le prestazioni offerte dalla Cooperativa ‘’X’’ di dentisti, della quale lo stesso Tizio risulta direttore sanitario. L’accusa iniziale che viene formulata nei confronti del dottore è quella di avere tenuto un comportamento non conforme rispetto a quanto disposto dal codice deontologico. All’esito del procedimento disciplinare, la Commissione incaricata pronuncia a carico dell’incolpato la sanzione della sospensione (pari a 3 mesi) dall’esercizio della professione. Secondo la Commissione la diffusione dei volantini pubblicitari effettuata dal dentista risulta essere scorretta sul piano deontologico, in quanto lesiva del decoro e della dignità professionale ed, ulteriormente, ispirata ad una realtà di esclusiva natura commerciale. La Commissione sostiene, inoltre, che il messaggio diffuso, mediante volantino, sia falso nella parte in cui postula l’esistenza di una tariffa minima nazionale, oramai abrogata. Secondo la Commissione il mero richiamo a quei minimi tariffari risulta essere ‘’biasimevole’’ (…).

Tizio, per contrastare quanto affermato in sede disciplinare ricorre presso la Corte di Cassazione formulando differenti motivi a sostegno della sua correttezza professionale: nel primo motivo, denuncia espressamente l’avvenuta violazione del diritto comunitario originario (Trattato UE), la violazione della Direttiva 2006/123/CE (diritto comunitario derivato), nonché rilevanti vizi motivazionali; nel secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione della Legge interna nr. 248/06.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del dentista e la decisione impugnata viene cassata.

Ebbene, le disposizioni comunitarie, richiamate da Tizio in sede di ricorso, risultano ispirate alla massima liberalizzazione delle prestazioni di servizi. In tal senso, una nota sentenza della Corte di Giustizia UE, 05 aprile 2011, causa C-119/09, segna un importante ‘’punto a favore’’ verso la liberalizzazione delle comunicazioni commerciali dei professionisti, a sostegno del convincimento che la pubblicità sia utile per tutelare i consumatori. La Corte di Giustizia mediante quest’ultima pronuncia sottolinea, soprattutto, l’obbligo sancito, per gli Stati Membri della Comunità, dall’art. 24.1 della Direttiva 2006/123/CE di sopprimere tutti i divieti in materia di comunicazioni commerciali delle professioni regolamentate. Nello specifico, la Direttiva 2006/123/CE, conosciuta come ‘’Direttiva Servizi’’, mira ad agevolare nel mercato interno all’Unione la libertà di stabilimento dei prestatori di servizi e mira altresì ad allargare la scelta offerta ai destinatari dei servizi, migliorandone la qualità in favore dei consumatori e delle imprese utenti. Focalizzando l’attenzione al panorama domestico, è semplice ricostruire l’evoluzione normativa concretizzatisi nell’ambito della pubblicità professionale. Ab origine, la Legge nr. 175 del 1992 non conteneva, in realtà, un divieto di pubblicità ma ne regolava l’esercizio, limitando ‘’il mezzo’’ pubblicitario e ‘’l’oggetto’’ della comunicazione pubblicitaria. Il Decreto ”Bersani”, convertito in Legge, nr. 248/2006, in sintonia con il panorama normativo comunitario, ha rimosso tutto ciò che può intendersi come divieto, ‘’liberalizzando, per l’appunto, la pubblicità, anche in ambito sanitario’’. La novella in quaestio ‘’ha ampliato’’ l’oggetto della comunicazione pubblicitaria, consentendo anche di comunicare le peculiarità del servizio offerto e il prezzo delle relative prestazioni. In tal senso, è essenziale evidenziare la funzione riconosciuta alla deontologia professionale e il ruolo che possono svolgere gli Ordini professionali. Al riguardo, la Direttiva 2006/123/CE invita gli Stati Membri a ‘’favorire’’ l’elaborazione di regole e quindi di codici di condotta da parte di Ordini, organismi o associazioni professionali. Per tali ragioni, in merito al controllo sulla pubblicità, l’Ordine non può esimersi dall’intervenire nel caso in cui rilevi forme di pubblicità ingannevole, ossia ‘’qualsiasi pubblicità che in qualunque modo induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente’’, ex art. 20 D.lgs. nr. 206/2005 (in tal senso, si rinvia ai D.lgs. nr. 145/07, 146/07). In combinato disposto, l’art. 21 del medesimo Codice del Consumo stabilisce che ‘’per determinare se la pubblicità sia ingannevole se ne devono considerare tutti gli elementi (…)’’. Per completare la sintetica analisi normativa, è bene evidenziare che ‘’il Decreto Bersani trova applicazione anche per le strutture sanitarie gestite da società’’. Oggi, ‘’si rileva totale equiparazione tra professionisti e società sotto il profilo pubblicitario e nuova spinta per la concorrenza, sempre all’interno dei canoni di trasparenza e veridicità’’ (in tal senso, Cass. nr. 3717/12).

Secondo la Corte di Cassazione, III sezione civile, sentenza nr. 11816 del 2012, nella fattispecie in esame, i differenti motivi proposti da Tizio appaiono fondati: ‘’le argomentazioni addotte dalla Commissione disciplinare risultano infatti speciose e tautologiche. L’assunto dell’ambiguità e del carattere ingannevole del riferimento ad una tariffa oramai abrogata è all’evidenza viziato da un’insopprimibile insofferenza verso il ricorso al messaggio pubblicitario da parte dell’esercente la professione sanitaria. Non si vede, infatti, come quel richiamo, che necessariamente presuppone, piuttosto che smentire, il carattere puramente orientativo della tariffa, possa confliggere con la trasparenza e la veridicità della comunicazione. Ne ha troppo senso la valorizzazione, in chiave di addebito, della genericità della promessa riduzione, in quanto non riferita a singole prestazioni, potendo ciò incidere solo sulla capacità di persuasione del messaggio, che è profilo certamente estraneo alla sfera di intervento degli organi disciplinari’’. Pertanto, prosegue la Corte, ‘’le ragioni addotte dalla Commissione a sostegno della negativa valutazione formulata al riguardo sono giuridicamente scorrette e logicamente inappaganti’’.

Insomma, grazie all’avvenuta evoluzione normativa ‘’i prezzi delle prestazioni’’ sono oggi liberi: ogni dentista può applicare il prezzo che meglio crede, ogni dentista tramite la pubblicità può informare quali servizi offre, in quale modo li offre e a quale prezzo. In sintonia, gli Ordini professionali vigilano sul rispetto delle regole di correttezza affinchè la pubblicità avvenga secondo criteri di trasparenza e veridicità delle qualifiche professionali e di non equivocità, a tutela dell’interesse dell’utenza. Ma ci si chiede: nonostante si attui una concreta concorrenza-liberalizzazione ed un parallelo controllo su di essa, oggi la pubblicità risulta ‘’compiutamente’’ regolamentata? Attualmente, esistono disposizioni specifiche relative alla pubblicità sanitaria online o vengono applicate norme generali valide per tutti i media?

…‘’La tecnologia avanza più velocemente rispetto agli aspetti legislativi’’: tutto ciò potrebbe comportare una mera ‘’sovrapposizione-contrasto’’ tra etica medica ed etica di marketing!

Giovanna Cuccui

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