Oplologi e dintorni

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Chi sa cosa fa un oplologo alzi la mano.

Ammetto la mia ignoranza, ma con tutta probabilità non avrei mai saputo dell’esistenza di questo professionista né del tipo di attività svolta  se non avessi fatto parte recentemente di una commissione interistituzionale per la costituzione di un Museo delle armi.

OplitaL’oplologo è lo studioso di armi dal punto di vista tecnico.

Quindi, non tanto lo studioso del modo di usarle, ma del loro funzionamento e della loro composizione.

Questo esperto svolge, come consulente,  la sua attività anche per il Ministero per i Beni e le Attività culturali, pur non essendone prevista la presenza nei ruoli del personale.

In particolare, l’adempimento che realizza per il MiBAC è quello previsto dall’articolo 32  della Legge 18 aprile 1975, n.110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi).

Le armi antiche  artistiche comunque versate all’autorità di pubblica sicurezza o all’esercito non possono essere distrutte senza un preventivo consenso di un esperto (l’oplologo) nominato dal sovrintendente per le gallerie (oggi soprintendente per i beni storico artistici) competente per territorio.

Fin qui la norma in base alla quale le armi versate non possono essere distrutte senza un preventivo consenso di un esperto.

In questo modo, si cerca di “salvare il salvabile” consentendo ad un certo numero di armi di evitare la distruzione perché interessanti dal punto di vista della memoria storica.

Molte delle armi destinate a ricostruzioni storiche o ad esposizioni particolari – come nel caso delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità di Italia – si sono conservate proprio grazie a questi adempimenti.

Ma che fine fanno queste armi?

La stessa norma contenuta nell’articolo 32 citato dispone che le armi riconosciute di interesse storico artistico siano destinate alle raccolte pubbliche indicate dalla Soprintendenza.

In realtà, queste armi restano dove sono, nei depositi dove vengono versate, in quanto non vi sono strutture adeguate per ospitare tali oggetti.

E’ il destino comune di molti “beni culturali”, che soffocano nei depositi e magazzini dei Musei, fino a quando non viene organizzata  una mostra ad hoc per farli conoscere al grande pubblico.

Resta il fatto che l’oplologo, pur rivestendo una sua chiara importanza ai fini del riconoscimento dell’arma come oggetto culturale, non fa parte dei ruoli del Ministero, impedendo di fatto una effettiva attività di tutela di oggetti, comunque aventi potenziale valenza di memoria storica.

Questa  anomalia si ripete anche per situazioni più ampie e che fanno riferimento ad altre figure professionali che ad oggi non sono rappresentate all’interno del Ministero o che sono ampiamente sottovalutate.

Si pensi ad esempio agli etnoantropologi che risultano fondamentali per l’individuazione del carattere di testimonianza di civiltà di riti e tradizioni  popolari – quindi della tutela immateriale – e che non sono rappresentati affatto all’interno del Ministero con quello che ne consegue.

Sia sufficiente pensare che per poter individuare un bene etnoantropologico ai fini del riconoscimento dell’interesse culturale, l’Amministrazione preposta a tale attività non è autonoma, dovendosi rivolgere al mondo dell’università  per individuare le professionalità adeguate.

Così è successo ad esempio nel recente caso relativo alla tutela dei “Ceri di Gubbio” in Umbria.

Non sembri  problema di poco conto né limitato (in situazioni analoghe versano i restauratori del Ministero alla ricerca di un’identità professionale e gli archeologi, privati della originalità della loro professione a fronte di una burocratizzazione della loro attività).

In realtà, l’assenza o la sottovalutazione del ruolo di professionalità specifiche comporta una diminuzione della qualità dell’attività necessaria per la conoscenza del patrimonio culturale e per la sua effettiva tutela.

Si tratta ormai di un problema la cui soluzione non può essere più rinviata se si vuole garantire la salvezza  e la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese.

Alessandro Ferretti

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