Tutela lavoratrici post partum: vietati lavori pesanti e trasporto pesi. Le regole

Paolo Ballanti 21/04/21
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Le lavoratrici addette al trasporto e al sollevamento pesi hanno diritto alla tutela prevista per le donne in gravidanza e post partum a prescindere da qualsiasi ulteriore valutazione del rischio da parte dell’azienda. A dirlo è l’Ispettorato nazionale del lavoro con la nota del 2 aprile scorso.

L’ente, al fine di dare indicazioni uniformi a livello nazionale, ha sottolineato che il divieto di adibire le lavoratrici a talune attività dannose per la salute, dall’inizio della gravidanza sino al settimo mese di vita del bambino, è riconosciuto a coloro che svolgono mansioni di trasporto e sollevamento pesi, per il semplice fatto di rendere tali prestazioni.

Un chiarimento importante, posto che la tutela citata prevede di assegnare mansioni alternative alla lavoratrice. Nel caso in cui ciò sia impossibile, l’interessata ha diritto all’interdizione anticipata o posticipata dal lavoro.

Analizziamo la disciplina nel dettaglio.

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Tutela lavoratrici post partum: congedo obbligatorio

La lavoratrice è tenuta ad astenersi dal lavoro nel periodo che intercorre tra:

  • Due mesi precedenti la data presunta del parto (cui si somma l’eventuale periodo tra la data presunta e quella effettiva del parto avvenuto oltre il termine);
  • Tre mesi successivi al parto.

Il calcolo dei due mesi deve avvenire a ritroso, senza considerare la data presunta del parto, indicata nel certificato di gravidanza.

Altresì è possibile:

  • Lavorare nel corso dell’ottavo mese di gravidanza, fruendo così dell’astensione obbligatoria per il mese precedente il parto e i quattro successivi;
  • Posticipare i cinque mesi di astensione esclusivamente dopo il parto.

Tutela lavoratrici post partum: astensione anticipata

La lavoratrice può non prestare attività lavorativa, prima dell’inizio del periodo obbligatorio, in presenza di:

  • Gravi complicazioni della gravidanza o persistenti forme morbose che possono essere aggravate dalla gravidanza stessa;
  • Condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della lavoratrice e del nascituro;
  • Attività lavorative faticose o insalubri ovvero che espongono la lavoratrice ad un rischio per la sicurezza e la salute (e la stessa non possa essere spostata ad altre mansioni).

Nelle ipotesi appena citate, l’organo competente (ITL o ASL in caso di gravi complicazioni della gravidanza o persistenti forme morbose) dispone l’astensione dal lavoro sino all’inizio del periodo obbligatorio.

Tutela lavoratrici post partum: interdizione posticipata

Una volta terminata la maternità obbligatoria è possibile prorogare l’astensione dal lavoro sino a sette mesi dopo il parto, in presenza di condizioni di lavoro pregiudizievoli alla salute della lavoratrice ovvero lavori pericolosi, faticosi o insalubri, con impossibilità di adibizione dell’interessata ad altre mansioni.

Il provvedimento di interdizione post partum è adottato dall’Ispettorato territoriale del lavoro, anche su richiesta della lavoratrice, sulla base di:

  • Eventuale accertamento medico da parte dell’ASL;
  • Verifica circa l’impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni.

Tutela lavoratrici post partum: trattamento economico

I periodi non lavorati a seguito di astensione anticipata, obbligatoria e posticipata, sono coperti con un’apposita indennità economica erogata dall’INPS, calcolata in misura pari all’80% della retribuzione, relativa al periodo di paga precedente l’inizio dell’assenza.

Di norma le somme vengono anticipate dal datore in busta paga per conto dell’Istituto di previdenza. Eccezion fatta per una serie tassativa di ipotesi in cui il pagamento avviene direttamente dall’INPS, tra cui si citano:

  • Lavoratori agricoli;
  • Addetti ai servizi domestici e familiari;
  • Lavoratori disoccupati o sospesi dal lavoro senza Cassa integrazione;
  • Lavoratori dipendenti di aziende in procedura concorsuale (ad esempio fallimento e concordato preventivo).

Tutela lavoratrici post partum: condizioni lavorative

Al datore di lavoro, nel periodo che intercorre dall’inizio della gravidanza sino ai sette mesi di età del bambino, è fatto divieto di adibire la lavoratrice a:

  • Trasporto e sollevamento pesi;
  • Lavori pericolosi, faticosi e insalubri.

In queste ipotesi l’azienda è tenuta a modificare temporaneamente le condizioni o l’orario di lavoro. Qualora ciò non sia possibile, il datore, con comunicazione contestuale all’Ispettorato territoriale del lavoro, può:

  • Assegnare alla lavoratrice mansioni inferiori, mantenendo inalterata qualifica e retribuzione;
  • In alternativa, attribuire mansioni superiori.

A fronte dell’impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni, la stessa ha diritto all’interdizione anticipata e / o posticipata dal lavoro.

Tutela lavoratrici post partum: trasporto e sollevamento pesi

La lavoratrice addetta a mansioni che prevedono il trasporto e il sollevamento pesi, ottiene la tutela appena citata a prescindere da qualsiasi valutazione del rischio, riportata nell’apposito documento aziendale.

Questa la posizione dell’Ispettorato nazionale del lavoro espressa nella nota del 2 aprile scorso.

In particolare, continua l’INL, anche laddove il rischio alla salute, riguardante il trasporto e il sollevamento pesi, non sia stato contemplato dall’azienda nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), la semplice adibizione della lavoratrice a mansioni che prevedono il trasporto ed il sollevamento pesi, costituisce requisito sufficiente per ottenere le tutele di legge ed eventualmente il provvedimento di interdizione al lavoro.

Resta comunque salva la valutazione circa l’impossibilità di adibire l’interessata ad altre mansioni.

Tutela lavoratrici post partum: termine da riportare nel provvedimento di interdizione

La nota INL affronta altresì il tema relativo alla durata dell’interdizione posticipata. In tal senso, nelle ipotesi di parto avvenuto in data antecedente quella presunta, l’Ispettorato, sulla falsariga di quanto precisato dall’INPS con la circolare numero 69/2016, sottolinea che:

  • Il provvedimento di interdizione dovrà riportare la data effettiva del parto e da questa far decorrere sette mesi;
  • Lo stesso documento aggiungerà al termine appena citato i giorni compresi tra la data effettiva e quella presunta del parto.

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