Tam Quam: l’infermiere e il boss

Angela Bruno 18/02/12
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Per la Suprema Corte, è colpevole, per associazione mafiosa, l’infermiere che presta aiuto a un boss ammalato di tumore. Che il giudice di secondo grado non abbia tenuto conto del punto di vista dell’imputato – vale a dire che somministrare un farmaco tumorale , pur essendo astrattamente riconducibile al favoreggiamento personale, non era in concreto punibile perché rivolto a tutelare la salute – non è cosa di poco conto, nell’economia della decisione, per il semplice fatto che la Corte ha fatto proprio il pensiero del giudice territoriale.

Questo, in sintesi, il giudizio che accomuna le due Corti: l’imputato ha fornito un aiuto importante nei confronti, non di qualunque componente, ma al massimo esponente di vertice di “cosa nostra”, con le ovvie conseguenze che ne derivano per l’attività dell’organizzazine criminale. E siccome, le iniezioni e i prelievi non sono stati fatti su un piano di doverosa assistenza sanitaria, dato che detto compito non è di pertinenza di un qualunque infermiere professionale, non si può tirare in ballo la finalità di tutela del bene della vita. Per detta ragione, il numero 60 (i numeri indicano i sostenitori di Provenzano), dev’essere punito per associazione mafiosa.

Ma… E di nuovo ma…

Ho sempre visto gli infermieri, quasi mai i medici, somministrare farmaci ed effettuare prelievi.

Ho sempre saputo che rientrano nelle loro mansioni, previste dalla legge e dai contratti: assistenza completa dell’infermo; somministrazione dei medicinali; effettuazione di esami di laboratorio semplici e raccolta, conservazione ed invio in laboratorio del materiale per le ricerche diagnostiche. E’ anche vero che i medicinali deve prescriverli il medico.

Bene, se non c’è un medico dietro le quinte, l’infermiere è colpevole di avere strafatto, se il medico c’è, la Corte in proposito tace, l’infermiere ha svolto esattamente le mansioni che gli competono.

Vista la formazione giuridica, non si capisce su quali basi si possa distinguere tra aiuto e aiuto. Su quali basi si possa affermare che l’aiuto di un infermiere, in quanto tale, non debba rientrare tra quelli finalizzati alla tutela della salute.

Quello che più indigna, però, è l’avere affermato, a sostegno del proprio convincimento, che l’aiuto è stato fornito, non a un qualunque componente, ma a un pezzo da novanta.

Cosa vuole dire il giudice con questa distinzione? Forse che, con quel marchingegno della comparazione e del bilanciamento, la salute retrocede perchè il boss pesa troppo?

Tra gli uomini, tra tutti gli uomini della terra esiste una parità ontoassiologica… Tra tutti gli uomini della terra, il comparativo di uguaglianza tam quam. Non magis quam, né minus quam“. Sono le parole potenti di un nostro compagno di viaggio, sperimentato, il Professore Domenico Corradini H. Broussard, che ci aiutano a capire quando perdiamo la bussola.

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Qui il testo integrale della sentenza n. 5909/2012 della VI sez. pen. della Corte di Cassazione

Angela Bruno

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