Su acqua e rifiuti i primi passi dell’Assembla Regionale Siciliana non convincono

Massimo Greco 03/01/13
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La nuova Assemblea Regionale Siciliana, ricostituita in seguito alle elezioni del 28 ottobre dello scorso anno 2012,  ha mosso i primi passi all’insegna dell’emergenza. I pochissimi provvedimenti legislativi approvati a fine anno hanno infatti riguardato l’adozione dell’esercizio provvisorio, la proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato dei cosiddetti “precari” della Pubblica Amministrazione e la proroga delle autorità d’ambito per la gestione sia delle risorse idriche che del servizio integrato dei rifiuti.

Sugli ultimi due disegni di legge si registra chiaramente l’impronta politica del nuovo Governo Crocetta che, fin dall’insediamento, non ha fatto mistero della sua avversità verso l’attuale modello di gestione dei due fondamentali servizi pubblici locali (acqua e rifiuti). In entrambi i disegni di legge è infatti prevista una specie di “retromarcia” attraverso l’inserimento nell’ordinamento regionale di norme che abilitano i Comuni degli attuali ambiti territoriali ottimali a gestire in maniera associata, o anche in autonomia, la gestione dei servizi che le leggi statali hanno fin qui trasferito alle autorità d’ambito.

Vale qui la pena riprendere fedelmente i passaggi dei due testi di legge che animano la presente riflessione:

Art. 1, comma 5, del disegno di legge su “Disposizioni in materia di servizio idrico integrato (n. 57/A)

Con successiva legge regionale, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le funzioni delle Autorità d’Ambito sono trasferite ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, con le modalità previste dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Con la medesima legge regionale sono disciplinate le modalità di successione nei rapporti giuridici attivi e passivi e le modalità di tutela dei rapporti di lavoro eventualmente in essere facenti capo alle Autorità d’ambito”.

Art. 1, comma 2 ter, del disegno di legge su “Norme di modifica alla gestione integrata dei rifiuti di cui alla legge regionale 8 aprile 2010, n. 9”. (n. 56/A)

Nel territorio di ogni ambito individuato  ai sensi dei commi precedenti, nel rispetto del comma 28, dell’articolo 14, del decreto legge  31 maggio 2010, n. 78 sostituito dall’articolo 19, comma 1 lettera b) del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, i Comuni, in forma singola o associata, secondo le modalità consentite dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, previa redazione di un piano di intervento, con relativo  capitolato d’oneri e quadro economico di spesa, coerente al Piano d’ambito e approvato dall’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità, Dipartimento regionale dell’acqua e  dei rifiuti, possono procedere all’affidamento, all’organizzazione e alla gestione del servizio di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti. L’Assessorato, che verifica il rispetto dei principi di differenziazione, adeguatezza ed efficienza tenendo conto delle caratteristiche  dei servizi di spazzamento, raccolta e trasporto di tutti i rifiuti urbani e assimilati, deve pronunciarsi entro e non oltre il termine di giorni sessanta dalla ricezione del piano di intervento……”.

Appare evidente il disegno del novello legislatore siciliano di consentire ai Comuni, work in progress, di riappropriarsi delle storiche prerogative che i medesimi si sono visti “strappare” in materia di acqua e rifiuti. Orbene, se sotto il profilo politico questa scelta non può essere censurata in Sicilia alla luce della evidente e, per alcun versi, drammatica e fallimentare gestione integrata per ambiti territoriali ottimali, ci incuriosisce la connessa questione giuridica. In disparte alcune doverose osservazioni su tutto l’impianto normativo che saranno oggetto di una più puntuale disamina ad avvenuta approvazione dei due testi di legge ad opera del Commissario dello Stato (assenza di coordinamento con le legislazioni statali e regionali, assenza di adeguata disciplina sui contratti in essere con i gestori privati, improprio richiamo a disposizioni normative del TUEL in luogo delle esistenti norme regionali ecc..), ci preme approfondire se la scelta di “abbandonare” la strada della gestione integrata e sovra comunale, restituendo ai Comuni questo tipo di funzioni amministrative rientri nella disponibilità di una Regione ancorchè a statuto differenziato comela Sicilia.

1. La normativa statale

La vigente legislazione statale in materia di gestione dei servizi pubblici locali, travagliata nell’ultimo biennio dai traumi provocati dal referendum popolare abrogativo prima e dalla Corte Costituzionale[1] dopo, conferma un modello di gestione per ambiti territoriali ottimali sotto la governance degli enti di governo dei medesimi ambiti.

L’art. 3-bis del decreto legge n. 138/2011, introdotto dall’art. 25, comma 1, della legge n. 27/2012 rubricato “Ambiti territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali” così dispone: “A tutela della concorrenza e dell’ambiente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio, entro il termine del 30 giugno 2012. La dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale. Le regioni possono individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalita’, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su proposta dei comuni presentata entro il 31 maggio 2012 previa lettera di adesione dei sindaci interessati o delibera di un organismo associato e gia’ costituito ai sensi dell’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Fermo restando il termine di cui al primo periodo del presente comma, e’ fatta salva l’organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali gia’ prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonche’ ai sensi delle discipline di settore vigenti o, infine, delle disposizioni regionali che abbiano gia’ avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensione non inferiore a quelle indicate nel presente comma. Decorso inutilmente il termine indicato, il Consiglio dei ministri, a tutela dell’unita’ giuridica ed economica, esercita i poteri sostitutivi di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio”.

Inoltre, l’art. 1-bis del decreto legge n. 138/2011, come convertito nella legge n. 148/2011, introdotto dal decreto legge n. 179 del 18/10/2012, come convertito nella legge n. 221 del 17/12/2012, così recita: “Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo”. Secondo i primi commentatori “insomma, esce dai singoli enti l’intera organizzazione dei servizi pubblici a rete, famiglia nella quale il decreto Sviluppo-bis fa rientrare anche la raccolta e smaltimento di rifiuti urbani superando così i dubbi interpretativi sollevati da molti operatori”[2].

Invero, la gestione sovra comunale dei servizi idrici e dei rifiuti non è venuta meno neanche a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 2, comma 186-bis, della legge n. 191/2009, come introdotto dall’articolo 1, comma 1-quinquies, del d.l. 2/2010, convertito con la legge n. 42/2010. Detta disposizione, infatti, prevede la soppressione delle Autorità di Ambito, ma dispone che, entro un anno, “le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza” In tale modo, “Il legislatore statale non ha voluto senz’altro ripudiare la scelta di gestire il servizio in un ambito sovraccomunale, ma soltanto consentire una ricollocazione delle funzioni (…) secondo le diverse esigenze dei territori e delle collettività regionali, prevedendo comunque (evidentemente, per ragioni di contenimento della spesa) l’eliminazione di un’entificazione autonoma del soggetto titolare delle funzioni”[3]. A compendio, come affermato anche dalla Corte Costituzionale[4], la gestione autonoma del servizio di raccolta dei rifiuti ad opera di un Comune socio di una società d’ambito si pone in manifesto contrasto col principio della unicità della gestione integrata dei rifiuti previsto dall’art. 200, comma primo, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui la gestione dei rifiuti urbani è organizzata, fra l’altro, sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti.

Secondo questa impostazione, la partecipazione obbligatoria degli enti locali ad un modello integrato ed associativo impedisce al singolo Comune di non aderirvi. Per i consorzi obbligatori la giurisprudenza amministrativa, chiamata a sindacare il comportamento di alcuni Comuni ostili ad aderire agli ambiti territoriali ottimali per la gestione integrata dei servizi ed ambientali, si era già espressa in questi termini: “Il principio di leale collaborazione tra gli enti è stato enucleato dalla Corte costituzionale con riferimento allo svolgimento dei diversi rapporti di rango costituzionale tra Stato e regioni, pur tuttavia la relativa applicazione non può condurre a situazioni di stallo decisionale che possano compromettere gli interessi pubblici oggetto delle decisioni da assumere, ed il rispetto di detto principio non può legittimare comportamenti che tendono a paralizzare la costituzione degli A.t.o.”[5]. Ancora, “Dal momento della costituzione dell’Ente di ambito tutte le funzioni in materia di servizi idrici dei comuni e delle province consorziati sono esercitati dall’ente di ambito medesimo, restando sottratta agli enti territoriali partecipanti al consorzio obbligatorio l’esercizio di un potere diretto sugli impianti e la possibilità di incidere, con propria autonoma delibera, sulla gestione del servizio”[6]. Più recentemente, è stato altresì affermato che “la normativa vigente, interna e comunitaria, esclude in radice ogni possibilità dei singoli comuni consorziati di sottrarsi unilateralmente alla gestione concentrata del ciclo rifiuti, quest’ultima essendo stata imposta dal legislatore in esito alla sua opzione vincolante per la determinazione di un ambito ottimale sovra comunale, cui gli enti coinvolti non si possono sottrarre”[7].

In sostanza, attraverso la più recente, e più volte modificata normativa, il legislatore statale autorizza le Regioni ad individuare i nuovi Enti a cui affidare le funzioni già esercitate dalle Autorità d’ambito ma non anche di ritornare su un modello di gestione di detti servizi per ambiti comunali a scapito di quelle economie di scala idonee a massimizzare l’efficienza dei servizi sottese al principio della unicità della gestione integrata. Seconda questa prospettiva, il tentativo del legislatore siciliano di ancorarsi all’art. 14, comma 28, del decreto legge  31 maggio 2010, n. 78 sostituito dall’articolo 19, comma 1 lettera b) del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non ci sembra corretto in considerazione che ”l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale”, quale funzione fondamentale riconosciuta ai Comuni, non contempla anche ”l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero…”, prevista invero espressamente ed autonomamente dalla successiva lettera f) del medesimo elenco delle funzioni fondamentali dei Comuni.  Detto tentativo, in disparte una buona dose di perplessità in ordine all’automatico ingresso di siffatta normativa statale nell’ordinamento siciliano degli enti locali, appare altresì tardivo, atteso che il legislatore statale, nella citata disposizione di cui l’art. 1-bis del decreto legge n. 138/2011, come convertito nella legge n. 148/2011, introdotto dal decreto legge n. 179 del 18/10/2012, come convertito nella legge n. 221 del 17/12/2012, ha espressamente annoverato il servizio di gestione dei rifiuti tra i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica da gestire secondo il modello degli ambiti territoriali ottimali.

2. Profili d’incostituzionalità

A questo punto non ci resta che verificare la compatibilità della scelta legislativa in questione con l’ordinamento costituzionale, argomento che verosimilmente sarà affrontato nei prossimi giorni dal Commissario dello Stato nell’esercizio della sua funzione di controllo governativo.

La materia dell’organizzazione dei servizi pubblici locali sia idrici che ambientali, al netto delle modalità di affidamento dei relativi servizi più facilmente riconducibile alla materia del mercato e della concorrenza di chiara competenza esclusiva dello Stato[8], non trova una collocazione univoca né nell’ambito delle competenze statali né in quelle della Regione Sicilia.

La Corte Costituzionale nel delineare i confini della materia “tutela ambientale” ha affermato in più occasioni che la relativa competenza legislativa, pur presentandosi “sovente connessa e intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti”[9],, rientra tuttavia nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera s, Cost.) “anche se ciò non esclude il concorso di altre normative regionali, fondate sulle rispettive competenze (quali quelle afferenti alla salute e al governo del territorio), volte al conseguimento di finalità di tutela ambientale” [10]. In questo contesto ordinamentale non sembra d’ostacolo una “incerta” competenza in materia presente nello statuto della Regione Sicilia. Si tratta infatti di un’impostazione che è stata ribadita anche con riferimento ad una Regione ad autonomia speciale come la Sardegna che, nel proprio statuto, al pari di quello siciliano, reca alcune competenze che orbitano attorno a quella più propriamente ambientale come l’edilizia e l’urbanistica, il governo del territorio, la salute pubblica e la protezione civile.

Invero, secondo il Giudice delle leggi, “le competenze previste dall’art. 14, lettere f), i) e n) e dall’art. 17, lettera b) dello Statuto riguardano importanti settori che afferiscono all’ambiente, ma non lo esauriscono. Né, al riguardo, più ampie forme di autonomia potrebbero derivare alla Regione dall’applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione)”[11].

3. Conclusioni

Fatte queste premesse ed esclusa una specifica competenza della Regione Sicilia in materia di organizzazione dei servizi idrici ed ambientali che le deriverebbe dalle disposizioni dello statuto speciale, si può ragionevolmente affermare che la scelta del legislatore siciliano di consentire ai Comuni anche una gestione autonoma di tali servizi, mentre contrasta con il più volte menzionato principio della unicità della gestione integrata dei rifiuti previsto dall’art. 200, comma primo, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, risulta manifestamente invasivo della competenza esclusiva dello Stato in materia.

Ad irrobustire questo convincimento basti evidenziare il recentissimo ingresso nell’ordinamento, ai sensi del citato art. 3-bis del decreto legge n. 138/2011, introdotto dall’art. 25, comma 1, della legge n. 27/2012,  del nuovo potere sostitutivo riconosciuto allo Stato, per organizzare lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio.


[1] Corte Cost. sent. n. 199/2012.

[2] Gianni Trovati, “Per gli affidamenti in house salta il limite di 200mila euro”, Il Sole 24Ore, 14/12/2012.

[3] TarUmbria sent. n. 402/2010.

[4] Corte Cost. sent. n. 373del 22/12/2010.

[5] Tar Catania, sez. I°, sent. n. 1974/2003.

[6] Tar Campania, Napoli, sez. I, 28/10/2008 n. 18797.

[7] C.G.A. parere n. 1053/2011.

[8] Corte Cost. sent. n. 26/2011.

[9] Corte Cost. sent. n. 32/2006.

[10] Corte Cost. sent. n. 247/2006.

[11] Corte Cost. sent. n. 380/2007.

Massimo Greco

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