Adesso, dopo lo scandalo, si fanno i conti e ci si leccano le ferite. I quotidiani di oggi, 22 febbraio 2012, riportano alcune rilevazioni dell’Annuario statistico del ministero della Salute elaborati da Quotidiano sanità: è la Caporetto dello Stato, inteso come insieme di enti, anche territoriali, intenti a garantire alla collettività servizi, non diciamo di qualità, ma almeno “minimi”.
10 anni ininterrotti di “tagli” ai posti letto, hanno alleggerito le corsie di ben 45mila posti, pari al 15,1% del totale. Sicchè, il rapporto posti letto per ogni mille abitanti è passato dal 5,1 di 12 anni fa al 4,2 di oggi: sotto la media europea, che è di 5,5 per mille.
Secondo l’indagine, il maggior numero dei tagli è avvenuto nelle strutture pubbliche, nelle quali la riduzione dei posti letto ha toccato il 17,2%, oltre il triplo dell’incidenza dei tagli disposti dalle strutture private accreditate, che hanno rinunciato al 5,3% dei letti.
Il pronto soccorso, che rappresenta il primo contatto del malato con la struttura sanitaria, di conseguenza supplisce all’impossibilità sostanziale di gestire in maniera corretta i ricoveri, che si fanno direttamente al pronto soccorso stesso, alla bell’e meglio, su una barella o per terra, finchè non si liberi un posto in corsia. E le attese per i codici verdi o gialli durano, ormai, ore ed ore.
Le rilevazioni e le inchieste scaturite adesso dai fatti di cronaca accertano, anche, la carenza “cronica” di personale, in particolare medici specializzati per la medicina di emergenza e di medici di famiglia operanti nel territorio per prevenire i ricoveri e le ricadute, in modo da evitare il sovraffollamento delle strutture.
Cosa è accaduto in questi 10 anni di tagli? Si è affermata e radicata la convinzione che il “pubblico” è male organizzato, costa troppo, è inefficiente e che occorresse ridurre la spesa pubblica, per ridurre le tasse e puntare sui servizi privati, ritenuti per loro stessa natura maggiormente capaci di offrire servizi di qualità e di affrontare la concorrenza.
I risultati veri di questa politica si vedono soprattutto nella sanità e nella scuola, due tra i fondamentali servizi che una Nazione deve organizzare per garantire la convivenza ordinata e lo sviluppo della sua comunità. Nonostante la Costituzione chiami la Repubblica ad organizzare direttamente i servizi della sanità e della scuola, permettendo in via subordinata e solo sussidiaria (suppletiva, aggiuntiva) ai privati di svolgere servizi in questi ambiti, negli ultimi 3 lustri il “taglio” e la magnificazione del privato ha fatto sì che le istituzioni pubbliche abbiano ridotto e sensibilmente i propri indici di funzionamento, mentre importanti risorse sono state spostate dal finanziamento degli enti pubblici a quello dei privati. Che hanno potuto contare anche sulle tariffe o rette dei clienti e, dunque, come nel caso della sanità, hanno ridotto in maniera meno impattante i servizi erogati, avvantaggiandosi ulteriormente delle inefficienze del pubblico. Inefficienze, però, non solo endemiche al sistema del “pubblico”, ma anche indotte dalla politica dei tagli indiscriminati.
Alla fine del percorso, quando si taglia il personale o, comunque, non se ne consente il ricambio, quando si tagliano i posti letto, i docenti, le classi (e ci fermiamo ai soli due esempi di sanità e scuola), oltre le medie europee, il risultato non può che essere la rinuncia ad attuare obiettivi e valori previsti dalla Costituzione, abbassando così il livello delle prestazioni essenziali. Ma, contestualmente, aumentando il livello della piccola corruttela o dei “favori”: con la “conoscenza” si possono evitare le forche caudine di un ricovero di ore, se non di giorni, sulla barella (e va già bene…) di un pronto soccorso. Ma, quella “conoscenza” richiede poi un contraccambio, spesso in termini di consenso politico, se non anche molto più materiale.
Non si è ancora preso del tutto atto che il personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni in Italia non è affatto in sovrannumero, né superiore a quello presente in altre nazioni con le quali vogliamo competere (il paragone andrebbe fatto con Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna; se in Moldavia o in Islanda ci sono meno dipendenti pubblici, non dovrebbe francamente interessare). E che se la pressione fiscale è alta quasi quanto in scandinavia, ma con servizi pubblici scadenti, è perché il peso del fisco incide molto sui pochi, troppo pochi, che le tasse le pagano. Oltre un terzo, quasi la metà della popolazione, evade allegramente, ancora oggi. E si lamenta, poi, dei servizi che non paga.
In questo frangente, appare francamente risibile che ancora il legislatore si copra gli occhi con le fette di prosciutto e con leggi sulla “semplificazione” pensi di migliorare la vita dei cittadini imponendo sanzioni nel caso in cui i termini dei procedimenti non siano rispettati, come previsto con le modifiche all’articolo 2, commi 9 e seguenti, della legge 241/1990. Va bene, certo, sanzionare le amministrazioni ed i dipendenti improduttivi. Ma, oggettivamente, la situazione fotografata dall’indagine del Ministero della Salute ci fa capire che ottenere puntualissimamente, entro 30 giorni, anzi 20, anzi 10, anzi prima ancora di chiederlo, il “provvedimento” finale è bellissimo, giustissimo e doverosissimo. Ma, avere una scuola con docenti che non cambiano ogni trimestre, senza controsoffitti che crollano addosso, alla quale sia possibile accedere con una rete di servizi di trasporto pubblici efficiente e che rispetti gli orari, oppure reparti di pronto soccorso che in un’ora esaminano il caso, corsie con posti letto sufficienti, medici ed infermieri capaci di assistere un adeguato numero di degenti, è la base. Mancando quella, operazioni di maquillage, che fanno credere alla “semplificazione” o all’ammodernamento della società, lasciano solo il tempo che trova.
Un tempo che, nei pronto soccorsi, si misura in giorni, giorni di legatura ad una barella, mentre si aspetta l’intervento del medico.
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