Lo ha stabilito il Giudice del lavoro di Milano, in un ricorso proposto da un giovane pakistano (che aveva presentato domanda di ammissione al servizio civile presso la Caritas di Milano) affiancato in giudizio dalle associazioni “Avvocati per niente onlus” e “Associazione studi giuridici sull’immigrazione“. CISL Milano e CGIL Milano erano intervenute nel giudizio chiedendo anch’esse l’accoglimento delle domande.
Il giudice ha reputato discriminatorio il “bando per la selezione di 10.481 volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all’estero” pubblicato il 20 settembre 2011 dall’Ufficio nazionale per il servizio civile. Tra i requisiti, come sempre, c’era la cittadinanza italiana e questo aveva tagliato fuori Syed S., ventiseienne milanese di origine pakistana che vive in Italia da quando aveva undici anni.
La decisione del Tribunale conferma che il servizio civile rappresenta una forma di partecipazione alla vita civile e al progresso della collettività, dalla quale non possono essere esclusi coloro che, indipendentemente dalla loro cittadinanza formale, appartengono stabilmente ad una comunità e condividono diritti e doveri con tutti coloro che vivono su un territorio. Del resto, se tali giovani non si sentissero parte integrante della comunità, non deciderebbero di dedicarle dieci mesi della loro vita.
Un’azione “pilota”, quella promossa dal giovane pakistano, che, alla luce della recente sentenza, aprirà la strada a tante altre seconde generazioni. Il giudice Carla Bianchini ha infatti dichiarato “il carattere discriminatorio” del bando e ha ordinato ”alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Ufficio nazionale per il servizio civile di sospendere le procedure di selezione, di modificare il bando (…), consentendo l’accesso anche agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e di fissare un nuovo termine per le domande”.
Resta così confermato che le divisioni anacronistiche ancora previste dal nostro ordinamento (dall’accesso al pubblico impiego, a una distribuzione non egualitaria delle prestazioni assistenziali e così via) devono essere superate assumendo come riferimento il diritto-dovere di solidarietà fissato dall’art. 2 della Costituzione e il principio di uguaglianza fissato dall’art. 3.
La recente pronuncia conferma anche l’esigenza di superare l’attuale normativa sulla cittadinanza, come proposto qualche mese fa dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, riconoscendo la piena cittadinanza, in particolare, a tutti i giovani che, o perché nati in Italia o perché hanno qui condiviso un percorso di studio e di lavoro, sono ormai pienamente parte della nostra collettività.
Le organizzazioni promotrici invitano pertanto il governo da un lato, a dare pieno e immediato adempimento alla decisione del Giudice, riaprendo i bandi di concorso per garantire la possibilità di accesso anche agli stranieri; dall’altro, ad assumere e proporre in Parlamento i contenuti della proposta di modifica della legge sulla cittadinanza oggetto della campagna.
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