Raddoppio dei termini per l’accertamento e IRAP: giurisprudenza tributaria disallineata

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Come noto l’art. 37, comma 24, D.L.  4  luglio  2006,  n.  223, convertito dalla L. 4 agosto  2006,  n.  248 ha apportato l’inserimento nell’art. 43 del DPR 600/1973 – che regola il termine per l’accertamento – del terzo comma, a mente del quale “In caso di  violazione  che  comporta  obbligo  di  denuncia  ai  sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini  di  cui  ai  commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta  in  cui  è stata commessa la violazione”.

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Come evidenzia la migliore dottrina “rimangono ovviamente escluse dal campo d’azione del dlgs 74/2000, come chiarisce già il titolo di tale provvedimento le imposte diverse da quelle dei redditi e sul valore aggiunto, quale ad es. l’IRAP, che non colpisce i redditi, trattandosi di un’imposta reale”[Lanzi-Aldovrandi, Manuale di diritto penale tributario, Cedam 2011, p.99]. Gli Uffici finanziari nel formulare gli avvisi di accertamento, elevati in presenza di reato che comporta obbligo di denuncia all’A.G., dunque in presenza di raddoppio dei termini, generalmente non seguono tale direttrice interpretativa, per cui la sfera patrimoniale del soggetto accertato viene incisa, non solo dalle imposte sui redditi e IVA, ma anche dall’IRAP.

Giova puntualizzare che al 31.12.2014 risulta ancora accertabile, a mente della predetta norma qualora ricorran i presupposti per il raddoppio dei termini,  il p.i. 2005 (notifica dell’accertamento entro l’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione).

Sotto il profilo normativo non si dimentichi che l’art. 8 del DL 16/2012 ha determinato, una svolta epocale, nella qualificazione dei costi del reato; l’indeducibilità dei costi da reato viene delimitata ai soli oneri relativi a beni o prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di attività delittuose, non colpose, a condizione che a) il Pm abbia esercitato l’azione penale; b) il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio, ovvero ancora sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato. Rispetto alla previgente normativa si è passati, quindi, da una generica «riconducibilità» a fatti qualificabili come reato, a spese e costi «direttamente» utilizzati per il compimento di delitti non colposi. Si tratta, in buona sostanza di un restringimento dell’ambito dell’indeducibilità.

In particolare il comma 3 dell’art. 8 dispone “Resta ferma l’applicabilità  delle  previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per  la  determinazione del valore della produzione  netta  ai  fini  dell’imposta  regionale  sulle attività produttive”.

Sul punto si sono formati due schieramenti giurisprudenziali contrapposti: da un lato, parte della giurisprudenza tributaria, ritiene inapplicabile il raddoppio alle imposte diverse da quelle specificatamente individuate nel predetto dlgs 74/2000 (CTP Roma, Sent. 531/35/2011, CTP Milano, sentenza 6464/47/14), mentre altre decisioni, del giudice di primae curae, motivano l’estensione del raddoppio anche all’IRAP,  interpretando il comma 3 dell’art. 8,  “con ciò dimostrando la volontà del legislatore di trattare in maniera omogenea le imposte sui redditi e l’Irap” (CTP Treviso sentenza n. 211 dell’ 11 marzo 2014).
Personalmente preferisco allinearmi al primo filone interpretativo, in quanto nel comma 3 dell’art. 8, ad avviso di chi scrive, il legislatore formula un’integrazione di quanto previsto al primo comma  che dispone “Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di  cui  al  decreto  del  Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in  deduzione  i costi  e le spese dei beni  o  delle  prestazioni  di  servizio  direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili  come  delitto non colposo”, per cui non sarebbe applicabile in via analogica ad altri tributi, se non fosse stato inserito il comma 3.  La norma richiamata però sembra non modificare l’impianto normativo originario del D.lgs 74/2000, rubricato “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi  e  sul  valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205”.

Piero Bertolaso

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