Dal 10 luglio 2025 l’assegno ordinario di invalidità dev’essere sempre integrato al trattamento minimo mensile pari nell’anno corrente a 603,40 euro mensili.
A stabilirlo la Corte Costituzionale con sentenza numero 94/2025 (scaricala nel box qui sotto), con cui è stata dichiarata l’illegittimità con la Carta fondamentale della cosiddetta Riforma Dini (Legge numero 335/1995) nella parte in cui esclude l’adeguamento all’importo minimo degli assegni calcolati interamente con il sistema contributivo.
La Consulta ha posto l’accento sulle peculiarità del sostegno economico riservato a quanti hanno una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo, tali da renderlo meritevole di un trattamento diverso rispetto alle pensioni calcolate interamente con il regime contributivo, come tali escluse dall’integrazione al minimo.
Analizziamo la questione in dettaglio.
Indice
- La questione di legittimità costituzionale
- Sistema retributivo e contributivo: quali differenze?
- Cos’è l’assegno ordinario di invalidità?
- Un importo diverso a seconda del sistema di calcolo
- L’assegno di invalidità non dev’essere assimilato alle pensioni
- La decisione della Consulta
- Quali effetti dalla sentenza della Corte Costituzionale?
- A quanto ammonta il trattamento minimo?
La questione di legittimità costituzionale
La sentenza della Consulta prende le mosse dall’ordinanza del 16 settembre 2024 con cui la Cassazione, sezione lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale sull’articolo 1, comma 16, Legge 8 agosto 1995, numero 335 (in materia di riforma del sistema pensionistico) nella parte in cui non prevede il meccanismo dell’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, nell’ipotesi in cui operi esclusivamente il sistema di calcolo contributivo.
Il contrasto con la Carta fondamentale interessa gli articoli:
- 3, per il quale tutti i “cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” ed è altresì compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini;
- 38, secondo comma, secondo cui i lavoratori “hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
La Corte di Cassazione è stata investita del ricorso proposto dall’INPS contro una sentenza di secondo grado con cui la Corte di Appello di Firenze ha accolto l’originaria domanda di un cittadino al fine di ottenere l’integrazione al minimo di un assegno ordinario di invalidità.
La richiesta era stata rigettata in primo grado in quanto l’assegno stesso risultava liquidato con il solo sistema contributivo e, come tale, rientrava nella previsione di cui al citato articolo 1, comma 16 che esclude l’adeguamento a tale tipologia di pensioni.
Sistema retributivo e contributivo: quali differenze?
Nel sistema di calcolo retributivo della pensione si assume come importo di riferimento la media delle retribuzioni percepite in un periodo di riferimento predeterminato dalla legge, anteriore alla data del pensionamento.
Nel calcolo contributivo, al contrario, la pensione è determinata in base alla contribuzione totalizzata dall’interessato nel corso dell’intera vita lavorativa, rivalutata periodicamente e rapportata alla speranza di vita media residua, mediante l’applicazione di un coefficiente di trasformazione che tiene conto dell’età del pensionando.
L’applicazione, sottolinea la Consulta, dell’uno o dell’altro criterio di computo è “suscettibile di restituire risultati diversi, di norma ben più favorevoli nell’ambito del regime retributivo, ormai in via di definitivo superamento”.
Cos’è l’assegno ordinario di invalidità?
Riconosciuto previa domanda telematica all’INPS (“inps.it – Pensione e Previdenza”) l’assegno ordinario di invalidità spetta (articolo 1, Legge numero 222/1984) al lavoratore che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, vede diminuita a meno di un terzo la sua capacità di prestare un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini.
Dipendenti e autonomi
La prestazione è riservata a quanti sono:
- Dipendenti iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
- Autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri);
- Iscritti alla Gestione Separata.
Trasformazione in pensione di vecchiaia
L’assegno è attribuito senza alcun limite di età ma, al raggiungimento del requisito anagrafico per la vecchiaia, sussistendo i relativi requisiti di assicurazione e contribuzione, il sussidio si trasforma d’ufficio in pensione di vecchiaia.
I requisiti
Oltre alla riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo, è necessario che l’interessato abbia maturato almeno cinque anni di contribuzione e assicurazione di cui tre nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda all’INPS.
Il calcolo
L’assegno è calcolato (articolo 1, comma 3, Legge numero 222/1984) secondo le norme in vigore nell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, ovvero nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi.
Qualora la prestazione risulti inferiore al trattamento minimo delle singole gestioni, la somma è integrata, nel limite massimo del trattamento minimo “da un importo a carico del fondo sociale pari a quello della pensione sociale” (articolo 1, comma 3).
Un importo diverso a seconda del sistema di calcolo
Alla luce della normativa appena descritta la Consulta precisa che il sistema di computo dell’assegno di invalidità può portare a risultati diversi a seconda che si utilizzi il meccanismo retributivo o contributivo, in base alle varie riforme succedutesi nel tempo.
Tra queste, la Legge numero 335/1995 ha comportato il graduale passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo, introducendo distinzioni tra i lavoratori in virtù dell’anzianità assicurativa maturata dai medesimi al 31 dicembre 1995.
In particolare, ad oggi sono interamente soggetti al regime contributivo quanti:
- hanno iniziato l’attività lavorativa dal 1° gennaio 1996;
- hanno optato per il sistema contributivo.
Al contrario, per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni l’applicazione del calcolo contributivo è limitata ai soli periodi successivi al 31 dicembre 1995.
L’assegno di invalidità non dev’essere assimilato alle pensioni
Secondo la Consulta il trattamento riservato dalla Legge numero 335/1995 all’assegno ordinario di invalidità calcolato con il sistema contributivo che, di fatto, viene assimilato agli altri trattamenti pensionistici in termini di esclusione dell’integrazione al minimo, viola l’articolo 3 della Costituzione.
La prestazione in argomento è infatti legata a uno stato di bisogno del tutto peculiare, in cui “la persona che la richiede ha perso in larga parte la capacità lavorativa”. Prospettiva, quest’ultima, che non si rileva negli altri trattamenti pensionistici.
Non a caso, alla luce di tale peculiarità, prosegue la Corte Costituzionale, in un contesto governato dalle regole retributive di liquidazione di tutte le pensioni, la Legge numero 222/1984 aveva già previsto, per il diritto all’assegno, il regime agevolato per cui è sufficiente aver totalizzato un quinquennio di contribuzione. Requisito, quest’ultimo, confermato anche in occasione del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.
La decisione della Consulta
Per i motivi poc’anzi descritti la Consulta ha dichiarato dal giorno successivo la pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale (10 luglio 2025) l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 16, Legge numero 335/1995 nella parte in cui non esclude dal divieto di applicazione delle disposizioni sull’integrazione al minimo, l’assegno ordinario di invalidità liquidato interamente con il meccanismo contributivo.
Quali effetti dalla sentenza della Corte Costituzionale?
La sentenza numero 94/2025 della Consulta riconosce di fatto a tutti i soggetti destinatari dell’assegno ordinario di invalidità, quale che sia il metodo di calcolo utilizzato (se retributivo o contributivo), la possibilità di integrare l’importo al trattamento minimo, annualmente rivalutato.
Per espressa previsione della sentenza, gli effetti dell’adeguamento economico non sono retroattivi ma decorrono dal 10 luglio 2025, giorno successivo la pubblicazione del dispositivo in Gazzetta Ufficiale.
A quanto ammonta il trattamento minimo?
Stando a quanto reso noto dall’INPS con Circolare 28 gennaio 2025, numero 23 per l’annualità corrente (alla luce della rivalutazione provvisoria pari ad un +0,80%) il trattamento minimo si attesta a 603,40 euro mensili, rispetto ai 598,61 euro del 2024.
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Foto copertina: istock/deepblue4you