Il Mes sostituirà i due fondi di salvataggio a cui finora hanno attinto i Paesi della zona euro in difficoltà (nell’ordine, Grecia, Irlanda e Portogallo): si tratta dell’Efsm (European financial stabilisation mechanism) e del più famoso ed operativo Efsf (European financial stability facility), che verranno gradualmente “pensionati” dal nuovo Meccanismo, la cui “potenza di fuoco” attualmente ammonta a 500 miliardi di euro.
Il nuovo Fondo Salva Stati avrà sede a Lussemburgo, sarà regolato dalla legislazione internazionale ed emetterà prestiti (a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria a quei Paesi dell’area euro che la richiederanno, ferme restando per quegli Stati condizioni di “commissariamento” e sanzioni nel caso di mancato rispetto delle scadenze di restituzione dei prestiti, i cui proventi andranno ad integrare lo stesso Mes. Il Meccanismo sarà gestito dal Consiglio dei Governatori, formato dai Ministri dell’economia e delle finanze dei Paesi membri dell’Unione europea, e, in veste di osservatori, dal Commissario Ue agli affari economico-monetari e dal Presidente della Banca centrale europea.
Il Mes potrà acquistare Titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona ed emettere a sua volta titoli simili a quelli dell’Efsf, garantiti dagli Stati dell’area euro, in proporzione alle rispettive quote di capitale stanziate presso la Bce. In particolare, riguardo alle quote di partecipazione al fondo, i primi quattro Paesi Ue contributori del Mes sono le prime quattro economie europee, con queste percentuali:
1) la Germania, con il 27,1%,
2) la Francia, con il 20,4%,
3) l’Italia, con il 17,9%,
4) la Spagna, con l’11%.
In caso di salvataggio di un Paese, il debito pubblico degli altri Stati finanziatori del Mes non lievita, perché i contributi da essi destinati al Meccanismo sono equiparati alle quote di capitale presso il Fondo monetario internazionale e quindi non gravano sul loro livello di indebitamento (cosa che, invece, avviene nel caso del Fondo Salva Stati transitorio, l’Efsf).
Attenzione però: a differenza dell’Efsf, il Meccanismo europeo di stabilità si distingue per un punto molto importante. Il Mes è “creditore privilegiato”, il che significa che, in caso di fallimento del Paese soccorso, ad essere rimborsato avrà diritto in primo luogo il Meccanismo e, solo in un secondo momento, gli altri soggetti investitori. Tale status è molto gradito ai Governi fiscalmente virtuosi del Nord Europa (Germania e Finlandia in primis), ma è un grave limite agli occhi degli investitori privati, spaventati dall’idea di non essere rimborsati (o di esserlo chissà quando) in caso di Paese in default. Inconveniente non da poco, se si pensa che il Mes avrà bisogno anche di capitali privati e che è proprio di questi giorni la discussione, in sede europea, sull’impiego o meno dei fondi del Meccanismo per ricapitalizzare le banche spagnole in difficoltà, con un’operazione pari a circa 100 miliardi di euro.
Il MES è parte integrante, assieme al Fiscal Compact (il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’unione economica e monetaria, sottoscritto il 2 marzo 2012), di un progetto di sempre maggiore integrazione economica dell’Ue. Le reti europee di salvataggio degli Stati più esposti all’attacco della speculazione internazionale ammontano a circa 750 miliardi di euro (250 circa dall’Efsf e 500 dal Mes). Se a questi si aggiungono i 456 miliardi di euro schierati attualmente dal Fondo monetario internazionale, si raggiunge una quota pari a circa 1200 miliardi di euro che il mondo, complessivamente, sarebbe è pronto a schierare a difesa dei debiti pubblici degli Stati sotto attacco.
Una cifra di per sé non piccola. Ma la speculazione ha il vantaggio di potersi muovere più velocemente dei vari fondi internazionali, che hanno bisogno di procedure di consultazione preventiva e di tempi tecnici per l’attivazione e lo stanziamento dei finanziamenti. Da questo punto di vista, in mancanza di nuove procedure più agili di intervento e definite da regole certe, la partita sarà sempre impari perché i fondi predisposti, per quanto ingenti, rischiano di apparire come più virtuali che reali.
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