Matrimonio gay. Questione politica o costituzionale?

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Lo scorso 8 luglio il Senatore democratico degli Stati Uniti d’America Barney Frank si è sposato con il suo compagno a Newton, in Massachusetts. E’ il primo membro del Congresso Usa che decide di sposare una persona dello stesso sesso e lo ha fatto nel Massachusetts: uno dei sei stati americani dove è possibile celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso. Il fatto poi è rimbalzato da continente a continente creando una discussione anche da noi. Ma in Italia che cosa prevede la legge sulla questione dei matrimoni gay?

Negli ultimi anni la giurisprudenza ha visto una mutazione, in particolare con la sentenza della Corte Costituzionale numero 138 del 14 Aprile del 2010. Nel 2009 il Tribunale di Venezia, di fronte a due coppie di uomini che volevano celebrare il rito, ha sollevato la questione di incostituzionalità degli articoli del Codice Civile 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis del codice civile in riferimento agli articoli 2,3,29 e 117 comma 1 della Costituzione.

Il Giudice di Venezia ha sollevato la questione di un mutamento sociale che oramai è impossibile far finta che non ci sia e, in riferimento all’articolo 2 Cost., quando si parla di “diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali dove svolge la sua personalità”, il diritto al matrimonio diverrebbe imprescindibile. Per quanto riguarda l’art.29 Cost., esso riconosce il matrimonio quale fondamento della società, ecco quindi che non può escludere una parte dei cittadini sulla base del sesso. Quando si cita la famiglia come “società naturale” non si può intendere come luogo di procreazione, se no, come ha scritto Andrea Puggiotto su l’Unità, “si sposano nozze eterosessuali prive naturalmente di figli: la coppia di anziani, la coppia sterile, le nozze in punto di morte, l’uomo che sposa la donna in menopausa”. Proprio il sesso poi non deve essere elemento di discrimine nella dignità sociale e di fronte alla legge, come da art. 3 Cost.

Di fronte a tutto ciò l’avvocatura di Stato ha chiarito la sua posizione chiedendo l’inammissibilità e infondatezza della questione. Sull’art. 2 gli avvocati dello Stato credono si sia adottata una forzatura perché si parla essenzialmente di libertà individuali e quando si fa riferimento alle formazioni sociali, queste vanno tenute distinte dalla famiglia che è cosa a se. Per questo non vi sarebbe contrasto con l’art. 107 c.c. dove la giurisprudenza annovera il requisito essenziale della diversità dei sessi per il matrimonio (si parla di marito e moglie). Per quanto riguarda l’art. 29 Cost. questo certo garantisce la fondatezza della società sul matrimonio ma con la diversità di sesso come elemento irrinunciabile. Infine sull’art. 3 la difesa dello Stato osserva che questo impone uguale trattamento per situazioni uguali e di fatto i due tipi di matrimoni non sono condizioni uguali. Lo Stato pone poi l’accento sul fatto che la mancanza di una normativa costituzionale sul matrimonio gay non viola assolutamente nessuna legge europea (Carta di Nizza): dappertutto la decisione si rimanda alla discrezionalità degli Stati Membri.

L a Corte Costituzionale si è espressa il 14 Aprile 2010, dicendo nel punto 8: “Ne deriva, dunque, che, nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni (come è avvenuto per le convivenze more uxorio: sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988). Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.

La Corte dunque invita il legislatore ad una regolamentazione politica del riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso e si riserva di intervenire direttamente ove sarà chiamata in causa, anche se lo farà valutando i singoli casi. Questa non è dunque una sconfitta per le coppie gay. L’avvocatura di Stato dalla sua non vuole porre un vincolo a norme in favore delle coppie gay, solo non crede sia una questione costituzionale perché si andrebbe a modificare la famiglia come concepita dai nostri padri costituenti, piuttosto è il legislatore che dovrebbe agire in tal senso. Resta il fatto che suona un po’ paradossale l’idea dell’inviolabilità della Costituzione in nome della difesa del concetto di “vecchio matrimonio” ideato dai costituenti. Per due motivi: primo perché è strano pensare a tutto ciò e poi ricordarsi che in Italia si possono sposare i transessuali, una volta ottenuta la rettifica dell’attribuzione di sesso; secondo perché questo matrimonio di modifiche ne ha subite in passato (aborto, divorzio, diritti dei figli nati al di fuori del matrimonio) e non si vede perché non si possa fare ancora.

Stefano Pagliarini

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