La Legge 7 aprile 2025 numero 56 contenente “Abrogazione di atti normativi prerepubblicani relativi al periodo dal 1861 al 1946” ha messo la parola fine, tra gli altri, al Regio Decreto numero 1657/1923.
Il provvedimento in questione, a prima vista, può sembrare irrilevante se non fosse che, per una serie di rinvii normativi, l’attuale ricorso al lavoro intermittente è ammesso proprio per le tipologie di attività indicate nel regio decreto abrogato.
La novità ha generato numerosi dubbi tra gli addetti ai lavori, attorno alla possibilità di continuare o meno ad utilizzare legittimamente il contratto a chiamata per mansioni indicate in una norma oramai abrogata.
Fortunatamente il Ministero del lavoro ha fornito i chiarimenti tanto attesi con Circolare n.15 del 27 agosto 2025, che conferma quanto già espresso dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) con Nota protocollo 1180 del 10 luglio 2025.
Analizziamo la questione in dettaglio.
In quali casi si può ricorrere al job on call?
Il legislatore, attraverso il Decreto Legislativo 15 giugno 2015 numero 81, articolo 13 e seguenti, circoscrive il legittimo utilizzo del contratto a chiamata (detto anche job on call) ai datori di lavoro che abbiano effettuato la valutazione dei rischi ed esclusivamente a fronte di, in alternativa:
- ipotesi soggettive;
- ipotesi oggettive.
Ipotesi soggettive
Con riguardo al primo aspetto, il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato, per lo svolgimento di qualsiasi tipologia di attività, con soggetti di età, in alternativa:
- superiore a 55 anni (da intendersi come 55 anni compiuti);
- inferiore a 24 anni (al massimo 23 anni e 364 giorni), fermo restando che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro i 25 anni.
Ipotesi oggettive
A prescindere dall’età del lavoratore, il contratto a chiamata può essere utilizzato per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o aziendali stipulati dalle RSA / RSU) anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del job on call, chiarisce l’articolo 13, sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Al riguardo il D.M. 23 ottobre 2004 ha stabilito che “è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657”.
Come precisato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con Circolare 8 febbraio 2021, numero 1, la contrattazione collettiva non può stabilire il divieto di ricorrere al job on call.
In caso di inerzia o veto delle parti collettive resta comunque possibile stipulare i contratti nelle ipotesi stabilite dal decreto ministeriale del 2004.
I chiarimenti ministeriali
Alla luce dell’abrogazione del Regio Decreto numero 2657/1923, a decorrere dallo scorso 9 maggio, ad opera della Legge numero 56/2025, il Ministero del Lavoro ha ritenuto opportuno, sentito l’Ufficio legislativo ministeriale, fornire istruzioni in merito alle conseguenze che la citata abrogazione ha sulla disciplina del lavoro intermittente, tenuto conto anche delle “richieste di chiarimento pervenute dal settore turistico, ove il ricorso a tale tipologia di lavoro risulta particolarmente rilevante”.
Sul punto il Ministero conferma l’orientamento espresso dalla Nota INL numero 1180/2025 secondo cui la Legge numero 56/2025 non incide sull’attuale disciplina del lavoro a chiamata, poiché il rinvio operato dal D.M. 23 ottobre 2004 alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto numero 2657/1923 “è da considerarsi quale rinvio meramente materiale” che, in quanto tale, cristallizza nell’atto che effettua il rinvio le disposizioni richiamate, senza che “le successive vicende delle stesse abbiano alcun effetto giuridico sulla fonte che le richiama”.
In definitiva, le attività elencate nella tabella allegata al regio decreto, in quanto incorporate nel D.M. del 2004, devono “ritenersi tuttora in vigore nonostante l’avvenuta abrogazione del R.D. 2657/1923”.
Quali effetti sui contratti a chiamata?
Grazie ai chiarimenti forniti dall’INL prima e dal Ministero del Lavoro poi, nonostante l’abrogazione del Regio decreto le attività indicate nella tabella allo stesso allegata possono continuare ad essere utilizzate ai fini della stipula del contratto di lavoro intermittente “anche nel settore turistico”.
Casi in cui è vietato il ricorso al job on call
Al di là delle ipotesi oggettive o soggettive, è vietato utilizzare il lavoro a chiamata:
- per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
- presso unità produttive dove si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o presso unità produttive in cui sia operante una sospensione del lavoro o una riduzione di orario in regime di cassa integrazione guadagni (il divieto opera per i lavoratori adibiti alle medesime mansioni svolte da quelli licenziati o sospesi con orario ridotto);
- da parte di aziende che non hanno effettuato la valutazione dei rischi, secondo la normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
Stando alla Lettera Circolare INL del 15 marzo 2018, numero 49 in assenza del documento di valutazione dei rischi (DVR) il rapporto intermittente è automaticamente convertito in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di norma a tempo parziale.
Durata massima
Fermi restando i presupposti di instaurazione del contratto, il lavoro a chiamata è ammesso, per ciascun dipendente con lo stesso datore di lavoro, per un periodo non eccedente le 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari.
Fanno eccezione i settori turismo, pubblici esercizi e spettacolo.
In caso di superamento del periodo citato il rapporto si trasforma in contratto a tempo pieno e indeterminato.
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Foto copertina: istock/AlenaPaulus