Dal meeting di Rimini, la sfida del Terzo Settore

Redazione 30/08/12
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Bisogna superare una visione meramente utilitaristica che vede nel mondo del volontariato e del non profit un semplice strumento con cui vengono chiesti soldi alle Pubbliche Amministrazioni ed ai privati. Al contrario, dalla piena valorizzazione delle enormi potenzialità del Terzo Settore può venire quella risposta umanistica che, sola, può gettare le basi per un nuovo modello di convivenza civile ed evitare il ripetersi di rovinose crisi economiche come quella in corso.

Di questo si è discusso al Meeting di Rimini appena concluso, nell’incontro “Il non profit, motore dell’Europa”, tenutosi con la collaborazione della Commissione europea. Monica Poletto, Presidente della Compagnia delle Opere – Opere Sociali, ha introdotto il dibattito cui hanno partecipato Giuseppe Guerini, Presidente di Federsolidarietà e membro del Comitato Economico Sociale Europeo (CESE), Marco Morganti, a.d. di Banca Prossima e membro del GECES (gruppo di esperti della Commissione europea sull’Imprenditoria sociale), e Antonio Tajani, Vicepresidente della stessa Commissione e responsabile per l’Industria e l’Imprenditoria.

Etica ed economia sono ormai da lungo tempo abituate a non viaggiare di pari passo ma, quando ciò avviene, le ricadute sulla società sono generalmente positive e, pur non presentando i tratti di grandi “balzi in avanti” (caratteristici del cosiddetto “turbocapitalismo”), tendono ad incoraggiare uno sviluppo sostenibile. Uno sviluppo che trova il suo spazio nel contesto di quell’“economia sociale di mercato altamente competitiva” che la Commissione europea ha recentemente inserito tra i propri obiettivi e che ha come fine ultimo non il mercato in sé, ma la comunità dei cittadini e la centralità della persona.

Dal Terzo Settore, dunque, può venire un fondamentale contributo a ripensare la dimensione della crescita e della ricchezza, richiamando l’attenzione non solo sul quanto si cresce ma anche, e soprattutto, sul come lo si fa, e con quali ricadute sociali, ambientali, generazionali.

Ha per primo preso la parola Giuseppe Guerini, con un intervento incentrato soprattutto sulla dimensione generale della fiducia, “un bene che si è smarrito”, generando quella perdita (già denunciata anche dal Premier Monti) di orizzonti e di prospettive che ha infine portato anche “al blocco dell’economia”. In questo senso, il non profit agisce quotidianamente nella società, anche se lontano dalle luci della ribalta, per rendere tangibile, presente e vivo un clima di fiducia. “Nell’Unione europea a 27 ci sono 15 milioni di persone che lavorano nell’ambito dell’economia sociale”, un’economia che esprime sussidiariamente le potenzialità del non profit, che genera attività produttiva e lavoro e che, oltre alla ricchezza, crea un valore aggiunto molto forte in termini sociali e culturali. Al centro c’è la volontà di andare oltre la dimensione strettamente utilitaristica del denaro, pur fondamentale motore dell’agire umano, per aprirsi a relazioni ed ideali non monetizzabili. La fiducia, strettamente connessa alla legalità, ha importanti ricadute positive anche sul settore “profit” e sulla società nel suo complesso, aiutando a ritrovare quelle prospettive che si erano perdute.

Guerini ha quindi ricordato la legge n. 381/1991 sulla disciplina delle cooperative sociali (per cui ancora oggi l’Italia è un modello nel mondo) ed il loro ruolo capitale nello strutturare un sistema di welfare capillare e complementare a quello ufficiale (pubblico e privato) nel nostro Paese, concludendo con la richiesta alle istituzioni di riconoscere questo contributo allo sviluppo.

Antonio Tajani ha elencato una serie di misure prese in sede europea per sostenere l’economia sociale, soprattutto negli ambiti di una sua maggiore visibilità, dell’accesso ai finanziamenti, della predisposizione di un contesto giuridico favorevole e del microcredito. Ha concluso il suo intervento sottolineando il contributo del non profit alla crescita dell’economia, dovuto al fatto che grazie ad esso persone marginalizzate vengono sottratte all’assistenzialismo, reinserite a pieno titolo nella società ed aiutate a riscoprire una dignità anche lavorativa.

Marco Morganti ha aperto il suo intervento con dati, a ben vedere, impressionanti: in Italia il Terzo Settore occupa 6 milioni di persone (di questi, solo 1 è salariato, i restanti 5 sono esclusivamente volontari) ed offre i suoi servizi a ben 37 milioni di nostri concittadini. È, di fatto, secondo per raggio di intervento al solo sistema pubblico. Ha quindi spiegato che l’istituto di credito di cui è amministratore delegato, Banca Prossima (Gruppo Intesa-San Paolo), riceve e presta denaro solo da e per organizzazioni del Terzo Settore. Lungi dall’essere un’economia di “serie B” (come viene spesso a torto considerata), quella del Terzo Settore è fondata sulla realizzazione di utili non monetari o, almeno, non esclusivamente monetari. La sua forza sta nel fondamento posto su un vincolo di sentimento. Ma come si fa a pesare il sentimento, l’anima, “quale ne è l’algoritmo”?

Il modello messo in campo da Banca Prossima è, finora, unico al mondo, anche se l’auspicio di Morganti è quello che esso funga da apripista per progetti analoghi messi in campo dal sistema creditizio italiano ed europeo. La banca valuta la sostenibilità di un certo tipo di finanziamento a vantaggio di un’organizzazione del Terzo Settore e, in caso positivo, ne eroga una parte, lasciando per l’altra che sia la stessa organizzazione a ricercare fondi tra cittadini ed imprese. L’organizzazione può così beneficiare di un notevole sconto sul costo del denaro, in quanto (oltre al prestito a tassi agevolati della banca) i cittadini possono decidere anche di non richiedere interessi, trovando la loro convenienza in fattori (sociali, ambientali, culturali, ecc.) che vanno oltre la logica del guadagno monetario ed incidono complessivamente sul miglioramento qualità della vita di una comunità. D’altra parte, c’è la garanzia che il denaro prestato non andrà perduto, in quanto assicurato da Banca Prossima.

Ecco spiegato perché è di fondamentale importanza “guardare all’anima” dell’organizzazione non profit e alla serietà delle sue intenzioni prima di finanziare un certo progetto, per valutare quella “presa”, quella capacità di suscitare partecipazione e consenso nella società che, sola, può garantire il buon ritorno dell’investimento.

Morganti ha quindi ricordato che, se il ritardo nei pagamenti da parte del settore pubblico italiano ammonta a 40 miliardi di euro, ben 25 di essi sono attesi dal Terzo Settore, ed il fatto che ciò passi troppo spesso sotto silenzio dipende anche da “un suo problema di rappresentanza”: esso non ha ancora, purtroppo, quel peso e quella voce che meriterebbe la sua diffusa presenza.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Anche il mondo del volontariato e del non profit ha le sue responsabilità ed i suoi peccati da scontare, in primo luogo quello di essere stato a lungo spesso co-protagonista di un “cattivo abbraccio” con la Pubblica Amministrazione, tale per cui essa finisce per “usare il Terzo Settore come una sua appendice clientelare. Quest’ultimo non è per sua natura più efficiente del sistema pubblico e servono su di esso più controlli, per smascherare quelle organizzazioni solo di facciata o di comodo. Per questo anche la selezione del Terzo Settore deve avvenire sulla base dell’efficienza: “non è, infatti, più tempo di sprechi”, né di risorse pubbliche né di risorse private.

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