La questione è ormai nota per tutti: nel corso di un procedimento penale pendente dinanzi alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, sono state captate conversazioni del Capo dello Stato nel corso di intercettazioni telefoniche disposte su utenza privata di un’altra persona.
Premettendo che la comunicazione del Presidente è stata valutata dalla procura come irrilevante, tanto da esserne stata disposta la distruzione, ciò che afferma il Capo dello Stato è che la questione non attiene alla “ irrilevanza” o meno della conversazione rispetto alle indagini in corso, quanto ad una ipotesi di “illegittimità” della stessa intercettazione.
Infatti, ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione e dell’articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219
“salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione”.
Il presidente può, quindi, essere intercettato solo nei casi di incriminazione per alto tradimento o attentato alla Costituzione, e solo se la Corte Costituzionale lo abbia prima sospeso dalle funzioni, e se un apposito comitato parlamentare bicamerale lo abbia richiesto.
Quindi, l’avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni agli atti del procedimento e addirittura l’intento di attivare una procedura camerale, comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica.
Sulla base di queste considerazioni, il Presidente solleva la questione dinanzi alla Suprema Corte, affinché eserciti i suoi poteri ex articolo 134 della Carta costituzionale.
Di seguito riportiamo il testo del decreto di Napolitano (si segnala anche il commento di Valerio Onida).
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Decreto del Presidente della Repubblica
PREMESSO che, nell’ambito di procedimento penale pendente dinanzi alla procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica nel corso di intercettazioni telefoniche effettuate su utenza di altra persona;
PRESO ATTO che il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in risposta a richiesta di notizie formulata il 27 giugno 2012 dall’Avvocato Generale dello Stato, ha riferito, il successivo 6 luglio, che, “questa procura, avendo già valutato come irrilevante ai fini del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo dello Stato non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l’osservanza delle formalità di legge”;
PRESO ATTO altresì che, con nota diffusa il 9 luglio 2012 e con lettera al quotidiano “la Repubblica” pubblicata l’11 luglio 2012, il procuratore della Repubblica ha ulteriormente affermato tra l’altro, sempre con riferimento alle indicate intercettazioni, che “in tali casi alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede esclusivamente previa valutazione della irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti”;
CONSIDERATO che la procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dopo aver preso cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il profilo della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del procedimento perché esse siano dapprima sottoposte ai difensori delle parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel contraddittorio tra le parti stesse, sottoposte all’esame del giudice ai fini della loro acquisizione ove non manifestamente irrilevanti;
RITENUTO che, a norma dell’articolo 90 della Costituzione e dell’articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 – salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa – le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione;
OSSERVATO che comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione, l’avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l’intento di attivare una procedura camerale che – anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto – aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte;
RILEVATO che “E’ dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce” (Luigi Einaudi);
ASSUNTA, conseguentemente, la determinazione di sollevare formale conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione, avverso la decisione della procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza di conversazioni del Presidente della Repubblica e di mantenerle agli atti del procedimento penale perché, nel contraddittorio tra le parti, siano successivamente sottoposte alle determinazioni del giudice ai fini della loro eventuale acquisizione,
DECRETA
la rappresentanza del Presidente della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione indicato nelle premesse è affidata all’Avvocato Generale dello Stato.
Roma, 16 luglio 2012
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