La sentenza della Corte costituzionale numero 94/2025 nel dichiarare in parte illegittima la normativa che esclude dall’adeguamento al minimo l’assegno ordinario di invalidità calcolato interamente con il sistema contributivo, ha riacceso i riflettori su un istituto, introdotto nel 1983, il cui obiettivo è assicurare alle pensioni di importo ridotto la soddisfazione delle esigenze minime di vita.
Ci riferiamo, in particolare, all’integrazione al trattamento minimo delle pensioni a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni sostitutive ed esclusive della medesima, nonché delle gestioni previdenziali per commercianti, artigiani, coltivatori diretti, coloni e mezzadri, della gestione speciale minatori e dell’ENASARCO (articolo 6, comma 1, Decreto – Legge 12 settembre 1983, numero 463).
Analizziamo in dettaglio cos’è, a quanto ammonta e a chi spetta l’integrazione al minimo.
Indice
Cos’è l’integrazione al minimo?
Disciplinata dal Decreto – Legge numero 463/1983 (articolo 6) l’integrazione al minimo prevede, in presenza di determinati requisiti reddituali e dell’applicazione (come vedremo) del sistema di calcolo retributivo, l’adeguamento della pensione se quest’ultima si attesta su un importo mensile inferiore ad una soglia annualmente rivalutata in ragione dell’evoluzione del costo della vita, quest’ultimo rilevato dall’ISTAT.
Il trattamento mensile di riferimento è, pertanto, da intendersi convenzionalmente come un minimo vitale a beneficio del pensionato.
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A chi spetta l’integrazione al minimo?
A norma della cosiddetta Riforma Dini (approvata con Legge 8 agosto 1995, numero 335), articolo 1, comma 16, alle pensioni di lavoratori dipendenti e autonomi liquidate esclusivamente con il sistema contributivo non si applicano le disposizioni sull’integrazione al minimo.
Tali si intendono i pensionati che:
- Hanno iniziato l’attività lavorativa dal 1° gennaio 1996 in poi;
- Optano per l’applicazione del sistema contributivo.
La misura, pertanto, è riservata a coloro i quali sono interessati dall’applicazione del sistema di calcolo della pensione con il metodo retributivo. Nello specifico i lavoratori:
- Con anzianità contributiva di almeno diciotto anni al 31 dicembre 1995 (per i periodi di contribuzione anteriori al 31 dicembre 2011);
- Con anzianità contributiva inferiore a diciotto anni al 31 dicembre 1995 (per i periodi di contribuzione anteriori al 31 dicembre 1995).
A quanto ammonta l’integrazione al minimo 2025?
L’importo minimo della pensione è annualmente rivalutato applicando a inizio anno un indice ISTAT provvisorio, salvo conguaglio da effettuarsi in sede di perequazione (adeguamento) per l’anno successivo.
Stando alla Circolare INPS 28 gennaio 2025, numero 23 dal 1° gennaio 2025 il trattamento minimo per le pensioni di lavoratori dipendenti e autonomi si attesta ad euro 603,40 mensili (valore provvisorio), in aumento dello 0,80% rispetto al valore (definitivo) 2024 di 598,61 euro.
Pertanto, la soglia minima di pensione corrisponde a 603,40 * 13 mensilità = 7.844,20 euro annui.
Il valore dell’integrazione al minimo per l’anno corrente diventerà pertanto definitivo in occasione della consueta circolare INPS di fine anno sul rinnovo delle pensioni.
I limiti di reddito
Possono beneficiare dell’integrazione al minimo quanti sono in possesso di redditi non eccedenti i limiti citati in tabella, in vigore per l’annualità corrente:
Decorrenza del trattamento pensionistico | Limiti reddituali | Importi anno 2025 (in euro) |
Dal 1° gennaio 1995 | Soggetto non coniugato o legalmente ed effettivamente separato: possesso di redditi assoggettabili ad IRPEF per un importo non eccedente due volte il trattamento minimo annuo (importo mensile * 13 mensilità) | 15.688,40 |
Soggetto coniugato: possesso di redditi propri per un importo superiore quello indicato al punto precedente o cumulati con quelli del coniuge per una somma non eccedente quattro volte il trattamento minimo | 31.376,80 | |
Dal 1° gennaio 1994 al 31 dicembre 1994 | Soggetto non coniugato o legalmente ed effettivamente separato: possesso di redditi assoggettabili ad IRPEF per un importo non eccedente due volte il trattamento minimo annuo (importo mensile * 13 mensilità) | 15.688,40 |
Soggetto coniugato: possesso di redditi propri per un importo superiore quello indicato al punto precedente o cumulati con quelli del coniuge per una somma non eccedente cinque volte il trattamento minimo | 39.221,00 | |
Fino al 31 dicembre 1993 | Possesso di redditi propri assoggettabili ad IRPEF per un importo non eccedente due volte l’ammontare annuo del trattamento minimo | 15.688,40 |
Si precisa che:
- Il reddito di riferimento è quello totalizzato dal beneficiario e dal coniuge nell’anno solare precedente il 1° luglio di ciascun anno. Il valore è assunto per l’erogazione dell’integrazione al minimo sino al 30 giugno dell’annualità successiva;
- Dalla determinazione dei redditi sono esclusi i trattamenti di fine rapporto comunque denominati e il reddito della casa di abitazione, oltre all’importo della pensione stessa da integrare al minimo.
Come funziona l’integrazione al minimo?
Ipotizziamo il caso del pensionato Tizio il quale ha una pensione teorica (nel 2025) di 250,00 euro mensili. Grazie alla disciplina sull’integrazione al minimo, a Tizio spetta un compenso aggiuntivo di 353,40 euro in modo da adeguare la pensione alla soglia di 603,40 euro mensili.
La maggiorazione sociale
I titolari di trattamenti pensionistici il cui ammontare annuo non superi l’integrazione al minimo (euro 7.844,20 per il 2025) hanno diritto ad un importo aggiuntivo a titolo di maggiorazione sociale (Legge numero 388/2000).
La somma, pari a 154,94 euro annui, è riconosciuta dall’INPS in sede di erogazione della tredicesima mensilità o dell’ultima mensilità riconosciuta nell’anno e spetta a patto che l’interessato:
- Non possieda un reddito complessivo individuale soggetto ad IRPEF (relativo all’anno stesso) superiore a una volta e mezza il trattamento minimo;
- Non possieda, se coniugato, un reddito complessivo individuale imponibile ai fini fiscali (relativo all’anno stesso) eccedente una volta e mezza il trattamento minimo, né tantomeno redditi cumulati con quelli del coniuge per un importo superiore a tre volte il trattamento minimo.
La sentenza della Corte costituzionale
La sentenza della Consulta numero 94/2025 nel dichiarare in parte l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 16 della Riforma Dini, decreta, dal 10 luglio scorso, l’estensione dell’integrazione al trattamento minimo anche all’assegno ordinario di invalidità liquidato integralmente con il sistema contributivo.
La sentenza, i cui effetti non sono tuttavia retroattivi, riconosce l’assegno di invalidità come meritevole di un trattamento diverso rispetto alle pensioni, in termini di esclusione dall’integrazione al minimo.
La disciplina speciale che dev’essere riservata all’assegno di invalidità è infatti giustificata dalle particolari circostanze per cui spetta la prestazione, nello specifico la perdita considerevole della capacità lavorativa. Fattispecie, quest’ultima, che non ricorre invece per gli altri trattamenti pensionistici, per cui continua ad operare la citata esclusione dall’integrazione al minimo.
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