Decreto Fare e l’indennizzo per ritardo nei procedimenti: la sublimazione del populismo

Luigi Oliveri 18/06/13
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L’indennizzo nel caso di ritardo nell’emanazione dei provvedimenti amministrativi sarà una causa certa di caos amministrativo, altro che “semplificazione”.

E’ da anni che l’Esecutivo covava l’idea bislacca dell’indennizzo, almeno dal 2006, quando l’allora Ministro della Funzione Pubblica, Nicolais, la introdusse in un disegno di legge di riforma della legge 241/1990. Non se ne fece nulla, ma periodicamente il fascino dell’indennizzo ritornava in auge.

Finchè, con le misure approvate dal Governo, finalmente la previsione ha visto la luce. A ben vedere, la norma appare molto farraginosa e di complessa applicazione, presentandosi, come troppo spesso avviene, più come una mossa mediatica, che come disposizione di sostanza.

L’indennizzo, infatti, scatterebbe se il titolare del potere sostitutivo previsto dall’articolo 2, commi 9-bis e 9-ter[1] della legge 241/1990 non concludesse a sua volta la procedura nel termine fissato.

Ricordiamo che:

a) in generale, l’ufficio ha il dovere di concludere i procedimenti amministrativi con un provvedimento espresso, entro il termine fissato dalla legge o dai regolamenti (se non previsto, esso è di 30 giorni);

b) scaduto il termine, l’interessato ha il diritto di chiedere l’intervento sostitutivo al soggetto individuato dall’organo di governo, che avrà a disposizione metà del tempo originariamente previsto, per concludere il procedimento.

Ebbene, l’indennizzo scatterà non a conclusione della fase a), ma laddove il ritardo si manifesti nel corso della fase b).

Sembra proprio di poter affermare che più che di un indennizzo sanzionatorio, si tratti di un indennizzo canzonatorio: infatti, esso indennizza il ritardo sul ritardo già determinatori, visto che colpisce la seconda fase, quella, cioè, che si determina quando già i termini iniziali sono scaduti. Vi sarà, dunque, un lasso di tempo nel quale il destinatario del provvedimento non potrà avvalersi di alcun indennizzo. Visto che il legislatore ha inteso introdurre questa discutibile misura, c’è da chiedersi il perché di simile scelta, che appare francamente insensata.

Ma, i problemi operativi che apre la norma sono moltissimi e passarli in rassegna tutti non risulta nemmeno semplice.

Salta all’evidenza, ovviamente, la questione della responsabilità erariale derivante dal pagamento dell’indennizzo. Su chi ricadrebbe?

I soggetti in gioco sono fin troppi:

a) il responsabile del procedimento della fase iniziale;

b) l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale;

c) il responsabile del procedimento della seconda fase, quella di competenza dell’autorità dotata del potere sostitutivo;

d) l’autorità dotata del potere sostitutivo.

Ora, ai sensi dell’articolo 2, comma 9, della legge 241/1990 “La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonchè di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.

Dunque, esiste già la previsione di una responsabilità da risultato, amministrativa e disciplinare in capo al dirigente e al funzionario (dovrebbe intendersi il responsabile del procedimento), che abbiano cagionato il ritardo nella prima fase del procedimento.

Il pagamento dell’indennizzo pare una fattispecie di responsabilità amministrativo/contabile che si aggiunge a quelle già previste dall’articolo 2, comma 9. Anche perché ricade su due soggetti diversi: il nuovo responsabile del procedimento, nonché il soggetto dotato del potere sostitutivo. Nel caso di ulteriore ritardo, dovrebbero essere questi chiamati a responsabilità. Ma, è da chiedersi, se si tratta di una responsabilità esclusiva loro, oppure se non sia il caso di riconnettere il ritardo anche nella seconda fase ad un nesso di causalità col ritardo accumulatosi nella prima fase “ordinaria”.

Rimettere integralmente tutto questo intrico di responsabilità, verifica della causalità, determinazione del peso dell’intervento di ogni soggetto alle decisioni della magistratura contabile appare francamente paradossale. Occorrerebbe una determinazione estremamente chiara dei soggetti chiamati a rispondere, anche per consentire alle amministrazioni di apprestare le necessarie misure organizzative, sapendo esattamente dove mirarle.

Vi è, poi, il tema dell’ambito di applicazione dell’indennizzo, che coincide, del resto, con l’ambito di applicazione del ritardo.

Resta, infatti, senza una precisa risposta sul piano normativo una domanda: quali sono i procedimenti amministrativi ai quali si potrà applicare l’indennizzo?

Una risposta indirettamente la forniscono gli articoli 19 e 20 della legge 241/1990. Il primo, come noto, regolamenta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (Scia). In questo caso nessun ritardo può manifestarsi per la semplice ragione che, ai fini dell’avvio dell’attività produttiva, non viene emesso alcun provvedimento amministrativo. La Scia determina la formazione implicita di un titolo abilitativo ad iniziativa privata ed avente natura giuridica privatistica, come ha accertato l’ormai unanime giurisprudenza amministrativa. Pertanto, le recenti riforme alla legge 241/1990, quelle specificamente dedicate all’accelerazione dei tempi per l’avvio delle attività imprenditoriali da tempo hanno costruito un sistema “anti ritardi”, la Dia, prima, la Scia, poi, che rimette l’iniziativa esclusivamente in capo al cittadino, saltando qualsiasi fase amministrativa che possa costituirne ostacolo. Una parte rilevantissima, dunque, dei “contatti” tra cittadini ed amministrazioni resta certamente esclusa dall’ambito di applicazione dell’indennizzo.

Vi è, poi, tutta la tipologia dei procedimenti contemplati dall’articolo 20 della legge 241/1990, secondo il quale “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego” o non indìca una conferenza di servizi.

Dunque, con l’eccezione dei procedimenti ad istanza di parte che specifiche disposizioni regolamentari escludano dall’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso, la grandissima maggioranza dei procedimenti amministrativi attivati su domanda dei cittadini non potrà essere attratta dalla disciplina dell’indennizzo. La ragione è molto semplice: il silenzio-assenso, meglio dire il provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza, si forma automaticamente allo scadere dell’ultima ora dell’ultimo giorno a disposizione dell’amministrazione per emanare il provvedimento finale.

Mentre la formazione del silenzio assenso potrebbe non escludere la responsabilità quanto meno disciplinare e da risultato dei dirigenti e dei responsabili del procedimento, poiché comunque essi lasciando decorrere il termine violerebbero comunque l’obbligo di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento espresso e motivato, certamente il silenzio assenso impedisce in radice la sanzione dell’indennizzo monetario.

Infatti:

a) né subentra l’attività dell’autorità dotata del potere sostitutivo di cui all’articolo 2, commi 9-bis e 9-ter, della legge 241/1990, visto che il provvedimento si forma comunque, sia pure in modo tacito, nel termine e per di più a contenuto favorevole;

b) né può determinarsi, di conseguenza, il minimo ritardo nella fase di intervento dell’autorità dotata del potere sostitutivo.

Di conseguenza, il perimetro di applicazione della norma sull’indennizzo si restringerebbe ai soli procedimenti ad iniziativa d’ufficio ed a quelli ad iniziativa di parte esclusi, per disposizioni normative espresse, dal silenzio assenso. La portata effettiva della norma, dunque, è molto ma molto meno ampia di quanto non facciano credere le strombazzature.

Vi è, poi, il problema di come computare i termini. A tale proposito, occorre una rivisitazione della normativa sulla sospensione del termine contenuta nel non chiarissimo articolo 2, comma 7[2], della legge 241/1990, ma soprattutto la precisazione che la sospensione non possa computarsi nel termine. Ancora più urgente è una revisione dell’articolo 10-bis della legge 241/1990, che se interpretato in senso letterale, determina l’interruzione del termine (cioè l’azzeramento della cronologia ed il suo riavvio dall’inizio) ogni qualvolta venga trasmesso all’interessato il preavviso di rigetto dell’istanza, con tanti saluti alla certezza dei termini ed alla abbreviazione dei provvedimenti.

Vi è, poi, da comprendere cosa accada nell’ipotesi in cui competente all’adozione del provvedimento finale sia l’organo di governo, nel caso dell’ente locale consiglio o giunta. I termini sono fortemente influenzati, in questi casi, dai complessi sub procedimenti di convocazione dei collegi e di formazione delle loro deliberazioni. In ogni caso, sarebbe da fissare con certezza se il nesso di causalità coinvolga responsabile del procedimento e dirigente competenti a presentare la proposta entro un termine congruo, oppure se la responsabilità (che non potrebbe certo essere né disciplinare, né da risultato) sia appannaggio esclusivo dell’organo di governo.

Rilevato questo, occorre chiedersi se il gioco, quello di sembrare molto efficienti e moderni, valga davvero la candela.

L’indennizzo comporterà una non irrilevante attività di natura amministrativa: accertamento dei presupposti, impegno di spesa, liquidazioni. E si presenta già chiaro l’incremento non quantificabile del contenzioso: infatti, il cittadino potrà rivolgersi ai Tar per pretendere la liquidazione della “multa”. Ma è evidente che i cittadini saranno spinti a pretendere l’indennizzo anche senza titolo, sulla base magari di mal interpretati diritti, senza tenere conto, magari, di sospensioni, interruzioni, interventi sostitutivi e tutte le altre complesse fattispecie che rendono abbastanza complicato comprendere se e quando si sia in effetti in presenza del ritardo che dia presupposto alla liquidazione dell’indennizzo.

Il contenzioso davanti ai Tar potrebbe esplodere. Come anche quello davanti alla Corte dei conti, competente a decidere del danno erariale (magari per soli 50 euro) derivante dal pagamento dell’indennizzo.

Insomma, l’indennizzo alla fine crea un’immensa partita di giro: soldi pubblici che pagano i dipendenti, che pagano con soldi pubblici per il ritardo, che viene sanzionato con soldi pubblici che finanzierebbero il contenzioso.

Come sempre, slogan, fretta, volontà di “dare un segnale”, e una dose non piccola, anzi da elefante, di populismo, caratterizzano le decisioni dei governi.


[1] Se ne riporta il testo:

9-bis. L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell’ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione.

9-ter. Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il privato può rivolgersi al responsabile di cui al comma 9-bis perchè, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario.

[2] Se ne riporta il testo.

7. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2

Luigi Oliveri

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