L’intero articolo presenta singoli fatti di specifici comportamenti di malcostume, come fossero, invece, caratteristica generale delle province di tutta Italia, per altro prendendo a riferimento prevalentemente province regionali della Sicilia. Non proprio l’archetipo della buona amministrazione (duole dirlo, da siciliano).
Inoltre, l’articolo attribuisce alle province, come fossero soltanto loro, tendenze a tipologie di spesa riscontrabili, purtroppo, in tutte le amministrazioni, da quelle statali a quelle comunali. Trascurando di evidenziare che la sommatoria delle spese di analoga natura (come quelle di “rappresentanza” presso Stato, regioni e comuni, sono incommensurabilmente di maggiore portata).
Un vero e proprio attacco contro le province, allo scopo malcelato di tenere desta l’attenzione e la volontà di perseguire la folle strada del “riordino”, che sta presentando già problemi irresolubili in sede di Cal per la determinazione dei nuovi confini e ancora maggiori ne comporterà, quando ci saranno da redistribuire le funzioni e, soprattutto, le risorse finanziarie.
La stampa quotidiana non riesce a non magnificare le “prodezze”di interventi “riformatori”, nonostante l’evidenza della loro inefficacia e dannosità. Ai tempi delle riforme-Bassanini ci furono solo applausi. Gli scrosci aumentarono quando si riformò il Titolo V “in senso federale”.
Dopo quasi 20 anni, ci si è drammaticamente accorti che si trattava di riforme completamente sbagliate, fuori dalla realtà, che hanno eliminato i controlli preventivi, attribuito poteri immensi alle regioni (anche di politica estera…), contribuito in modo decisivo all’incremento senza controllo della spesa pubblica e alla creazione, presso gli enti locali, soprattutto i comuni, di tante enclavi poco propense all’applicazione delle norme, in nome di un’autonomia molto male interpretata.
Adesso, stiamo raccogliendo i cocci della devastazione che quelle riforme hanno comportato, ma contestualmente si insiste su un attacco inutile alle province.
Guardiamo agli argomenti dell’articolo tanto enfatizzato da Repubblica, per convincerci che si tratta solo di una spinta precostituita ad insistere su una strada che tra 15 si confermerà devastante.
Spese di rappresentanza. L’articolo informa che per l’attività istituzionale i consiglieri della provincia di Catania hanno speso 215 mila euro, tra vocabolari e calendari e non si sa cos’altro.
Sicuramente si tratta di spese difficili da comprendere e condividere. Pare, tuttavia, inaccettabile il passaggio dell’articolo nel quale si invita il lettore a moltiplicare questa spesa per le 107 province.
Le cose non stanno per nulla in questo modo. I gruppi consiliari delle province non hanno alcuna dotazione, a differenza di quelli delle regioni. In provincia non si esercita la potestà legislativa, i consigli sono organi amministrativi. La regola è vedere dotazioni limitatissime, poche migliaia di euro l’anno.
Quella di Catania è un’eccezione, sicuramente rimarchevole, da trattare come tale, non da fare assumere come regola. Una lettura ai bilanci delle altre 106 province sarebbe stata consigliabile, prima di fare affermazioni fuorvianti e tendenti ad un risultato precostituito.
Le spese “di rappresentanza”, per altro, costituiscono un problema riguardante tutte le amministrazioni. Tanto è vero che con la legge 122/2010 si è previsto il loro taglio dell’80% rispetto al 2009, con riferimento a tutte le amministrazioni.
Il problema è che il legislatore:
a) non ha mai definito quali siano tali spese;
b) non ha mai reintrodotto controlli preventivi sulla loro erogazione.
Il risultato è che ancora queste spese si erogano, per effetto, con riferimento agli enti locali, dell’imprecisione sul tema del d.lgs 267/2000, che ha anche contribuito a trasformare i consigli comunali e provinciali in “parlamentini”, dotati di una sia pur limitata autonomia solo di bilancio.
Il problema non è rappresentato, allora, dalle province, ma dalla mancanza di volontà del Parlamento di cancellare sia l’autonomia di bilancio dei consigli di comuni e province (della quale, oggettivamente, non si sente alcun bisogno), sia di vietare del tutto le spese “di rappresentanza” a qualsiasi livello. Gli enti locali, soprattutto, hanno poco da rappresentare e molto da amministrare.
Rimborsi spese. I rimborsi citati dall’articolo (quelli chilometrici per gli amministratori che risiedono fuori dal capoluogo) sono previsti da una legge e da norme dello Stato. C’è una differenza abissale, con quelli delle regioni, le quali, invece, li stabiliscono in modo anche differenziato e con importi molto più sostanziosi, con proprie leggi.
Si vogliono abbassare questi costi della politica? Si eliminino i rimborsi. Molto semplice. Inutile far apparire che si tratti di una tipicità delle province. I rimborsi ci sono anche nei comuni e siccome i comuni sono 8100, e non 107, sono molto più onerosi come somma complessiva. Cosa si fa, allora, si aboliscono i comuni?
Peculato. L’articolo racconta dell’accusa di peculato gravante sul presidente della provincia di Agrigento, che si sarebbe fatto piantare nel giardino di casa decine di palme, comperate però dall’ente.
Strano. Avevamo capito, leggendo la Costituzione ed il codice penale, che la responsabilità penale è personale. Appare anche in questo caso piuttosto forzato traslare un eventuale reato di un presidente come esemplificazione di una condotta di altri 106 presidenti e, in ogni caso, come “sistema” di amministrazione che caratterizza le province.
Se fosse normale che tali enti agiscono mediante peculati e malversazioni, allora il “riordino”, già inutile e dannoso di per sé, non avrebbe alcun senso. Meglio l’abolizione immediata e radicale.
Condanne della Corte dei conti. L’articolo, ancora, si sofferma su casi (l’acquisto di un pianoforte a coda, un torneo da beachvolley a Bolzano, indennità e premi indebiti ad enti partcipati) nei quali alcuni presidenti ed amministratori sono stati condannati dalla Corte dei conti.
Suggerimento: la banca dati delle sentenze della magistratura contabile è on-line. E’ facilissimo constatare che è, purtroppo, ricchissima di sentenze e che esse riguardino l’intero universo delle pubbliche amministrazioni.
Ancora una volta, casi specifici di mala gestione si vogliono riportare a regola operativa di un intero insieme di enti, senza nessuna logica.
Incarichi esterni di staff. Ancora, l’articolo si sofferma sulla contestazione della magistratura contabile nei confronti del presidente della provincia di Palermo, che ha speso un milione di euro tra dirigenti esterni e componenti del suo staff.
L’allora sindaco del comune di Milano, Letizia Brichetto Moratti, è stata proprio, invece, condannata a risarcire un ingentissimo danno erariale, per aver fatto fuori anzitempo dirigenti di ruolo, sostituiti con dirigenti di staff “di fiducia”. Nessuno ha tratto la conclusione che, per questo, nei comuni si annidino sprechi, sì da doverne consigliare il “riordino” o l’abolizione.
Chi scrive da anni sostiene con forza che le norme (articoli 14, e 19, comma 6 e seguenti del d.lgs 165/2001, articoli 90 e 110 del d.lgs 267/20000) le quali consentono di assumere, praticamente senza concorsi, dirigenti esterni e componenti di staff debbono urgentemente essere abolite. Esse costituiscono un inaccettabile vulnus agli articoli 97 e 98 della Costituzione, e sono a fondamento della creazione di costosissimi e spesso inefficienti apparati “paralleli” ad esclusiva funzionalità della politica. Proprio da quegli apparati derivano poi le istruttorie per atti illegittimi, fonte di spese ingiustificate che poi, purtroppo molto di rado, conducono ad eventuali condanne da parte della Corte dei conti.
Non sono, dunque, per questi problemi le province da abolire, ma le norme scellerate che consentono queste spese, prestandosi, poi, ad interpretazioni capziose e a violazioni sfacciate, sempre per la mancanza totale di controlli preventivi, e l’inefficacia dei controlli successivi che intervengono dopo anni, quando il danno si è già irrimediabilmente determinato.
Ultime considerazioni sull’articolo. La provincia di Bolzano, chiamata in causa per la questione del beach volley, in realtà ha status, funzioni e competenze di una regione. La furia iconoclasta contro le province porta a fare anche errori marchiani. La provincia di Milano è severamente criticata perché ha deciso di cambiare sede, pur essendo soggetta a divenire città metropolitana. Nell’articolo si dice che detta provincia dovrebbe “scomparire”. Non è così: si trasforma da provincia, appunto, a città metropolitana, che succede in ogni rapporto e funzione alla provincia soppressa.
Non c’è nessuna plausibile giustificazione per criticare la realizzazione di una nuova sede, basandosi sulla trasformazione da provincia in città metropolitana.
Ma, ogni critica, ogni sparo a salve contro le province fa “audience” a prescindere. E il precipizio verso una riforma ordinamentale semplicemente dannosa e inutile continua…
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