Province, futuro imperfetto…

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Il 31 gennaio scorso si sono svolti in tutta Italia Consigli Provinciali aperti, con la partecipazione dei rappresentanti politici e delle categorie economiche, sindacali e dell’associazionismo per discutere sulla riforma delle Province secondo la normativa oggi in vigore dopo la conversione in legge del D. L. 6 dicembre 2011 n. 201 (Legge 214/2011) “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” con cui risulta definito, dopo vari interventi emendativi, il testo della riforma Monti delle Province.

Nello stesso giorno in quasi tutte le Province d’Italia è stato approvato un ordine del giorno con il voto di tutte le forze politiche che oggi sostengono il Governo e che amministrano oggi gli Enti Locali.

Purtroppo, sull’onda della campagna mediatica e demagogica che da mesi ha individuato nelle Province il principale bersaglio da offrire all’opinione pubblica che legittimamente attende una drastica riduzione dei cosiddetti “costi della Politica”, l’iniziativa è stata considerata quasi come un discutibile esempio di autoconservazione piuttosto che come un importante atto politico da cui trarre importanti spunti di riflessione e valutazione.

Innanzitutto perché in tutte le parti d’Italia è stato condiviso ed approvato lo stesso testo, al di là delle appartenenze politiche e delle realtà sociali e territoriali.

Ma soprattutto perché non si tratta di un documento finalizzato a chiedere il mantenimento dello status quo come semplicisticamente è stato considerato dai mezzi di comunicazione.

Le Province al contrario hanno richiesto unitariamente al Governo e al Parlamento di approvare una riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta che sia basata sulle seguenti priorità:

1. Intervento immediato di razionalizzazione delle Province attraverso la riduzione del numero delle amministrazioni: la razionalizzazione dovrà essere effettuata in ambito regionale, con la previsione di accorpamenti tra Province, mantenendo comunque saldo il principio democratico della rappresentanza dei territori, con organi di governo eletti dai cittadini e non nominati dai partiti.

2. Ridefinizione e razionalizzazione delle funzioni delle Province, in modo da lasciare in capo alle Province esclusivamente le funzioni di area vasta.

3. Eliminazione di tutti gli enti intermedi strumentali (agenzie, società, consorzi) che svolgono impropriamente funzioni che possono essere esercitate dalle istituzioni democraticamente elette previste dalla Costituzione.

4. Istituzione delle Città metropolitane come enti per il governo integrato delle aree metropolitane.

5. Riordino delle amministrazioni periferiche dello Stato, legato al riordino delle Province.

6. Destinazione dei risparmi conseguiti con il riordino degli enti di area vasta ad un fondo speciale per il rilancio degli investimenti degli enti locali.

Si tratta, a ben vedere, di una richiesta di confronto aperta, che richiede una riforma organica delle Istituzioni e che conduca alla riduzione e razionalizzazione del numero delle Province e alla eliminazione di tutti gli enti intermedi strumentali.

E che non si tratta di autoconservazione lo dimostra il fatto che la richiesta proviene anche da quelle Province che per dimensione geografica, popolazione residente e situazione territoriale potrebbero essere destinate a scomparire ed essere accorpate ad altre.

Qui il testo integrale dell’articolo

 

Carlo Rapicavoli

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