“Giustizia”: un Dürrenmatt contorto ma sempre affascinante

L’editore Adelphi ha dato alle stampe, negli ultimi mesi del 2011, un volume di Friedrich Dürrenmatt molto particolare. “Giustizia”, infatti, è un romanzo poliziesco (con però, al centro, la figura di un avvocato) che è stato pubblicato, per la prima volta, nel 1985. L’Autore lo aveva cominciato nel 1957 per poi tralasciarlo in favore della redazione di altre opere, accelerare di nuovo il lavoro nel 1980 (ma con una delusione di fondo che lo portò nuovamente ad abbandonarlo) sino, infine, a stravolgerlo completamente e pubblicarlo nel 1985. Si tratta di un’opera, insomma, che ha avuto una genesi tormentata: prima doveva essere un romanzo su un determinato tema, poi fu in un certo senso rifiutato dal suo stesso autore, poi prese la forma di un “frammento” con, inserito, un capitolo centrale e, infine, diventò un nuovo romanzo, completo, in gran parte riscritto rispetto alle idee iniziali che lo avrebbero dovuto caratterizzare.

Nonostante simili vicende, in questo libro dalla trama molto contorta, affascinante e complessa si trovano tutti i tratti del miglior Dürrenmatt e, soprattutto, quegli elementi che piacciono tanto ai giuristi (un’analisi sopraffina dei meccanismi della giustizia e dei rapporti con il caso fortuito, con le debolezze umane e con l’idea di vendetta) e ai registi di film (i programmi e i piani che sembrano perfetti e che invece inevitabilmente saltano, con continue sorprese che fanno prendere sempre nuove direzioni alla trama).

Non svelando, come al solito, la trama, basti dire che al centro della vicenda c’è un omicidio clamoroso di un esimio professore germanista che avviene in un contesto pubblico che pullula di testimoni e dove non si solleva alcuna discussione (né dubbio) su chi possa essere l’assassino. L’assassino viene svelato, in maniera un po’ atipica (il curatore nota giustamente: in maniera “antipoliziesca”), sin dalle prime pagine: un educato, delizioso, adorabile e squisito consigliere cantonale.

Un avvocato di non chiara fama (e dallo studio legale improvvisato) verrà incaricato dall’assassino (felice) in carcere di indagare al fine di creare un’ipotesi (una vera e propria “rappresentazione” o “simulazione della realtà”, elemento tanto caro allo scrittore) e di prospettare, in sede di revisione del processo, una soluzione (o, meglio: una realtà) alternativa.

Ecco, da questo momento in poi il romanzo diventa un vero e proprio rompicapo. Strani personaggi che appaiono all’improvviso, un procuratore ossessionato dal fatto che comunque qualsiasi omicidio debba avere un motivo e, nel caso di specie, non si dà pace del fatto che non riesca a trovarlo (“Un omicidio senza motivo, per lui, non era un delitto contro la morale, bensì contro la logica”) e questo avvocato che sino a quel momento aveva difeso prostitute e che viene incaricato dal cliente in carcere di montare una vera e propria finzione al fine di far apparire la realtà come se a premere il grilletto non fosse stato l’uomo che tutti avevano visto, ma un’altra persona.

L’avvocato accetta la sfida, e il romanzo si anima. Diventa appassionante, surreale, imprevedibile, grottesco, lasciando sullo sfondo, ma sempre presente, questa giustizia descritta come impossibile e questa incredibile atmosfera che solo Dürrenmatt è capace di creare nelle sue opere.

Giovanni Ziccardi

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