Donazione di beni altrui: quando è legittima

Luigi Nastri 14/10/16
Il presente contributo intende esaminare la tematica della donazione di bene altrui alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 15 Marzo 2016 n. 5068.

Donazione beni: quando è legittima

La Suprema Corte è stata chiamata a decidere in ordine alla legittimità di una donazione di un bene di cui il donante in qualità di coerede era comproprietario pro indiviso di una quota ideale.

La parte donataria asseriva la legittimità di tale donazione adducendo, tra le altre motivazioni, l’applicazione al caso di specie dell’articolo 1103 c.c..

Storicamente la giurisprudenza si è sempre pronunciata contro la validità della donazione di beni altrui ritenuta contraria all’art. 771 c.c., estendendo la nullità della donazione di beni futuri a tutti i casi in cui il donante non disponesse dei beni al momento dell’atto; si aderiva così alla tesi per la quale la donazione di beni altrui violerebbe l’art. 771 c.c. a causa della c.d. futurità soggettiva dei beni.

Solo un minoritario orientamento giurisprudenziale sosteneva l’inefficacia della donazione di bene altrui in luogo della sua invalidità, ritenendo l’atto idoneo ai fini dell’usucapione immobiliare abbreviata.

La nullità della donazione di beni altrui

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Le Sezioni Unite nell’indicata sentenza hanno confermato la nullità della donazione di beni altrui tuttavia in forza di un percorso argomentativo diverso da quello tradizionale.

Si afferma, infatti, che la donazione di beni altrui non è nulla ai sensi dell’art. 771 c.c. bensì in forza del combinato disposto degli artt. 769 e 1325 c.c.: il donante a che si integri la causa donativa (che consiste nell’arricchimento del donante con correlativo depauperamento del donatario) ai sensi dell’art. 769 c.c. deve avere la disponibilità del diritto trasferito a titolo gratuito.

Le Sezioni Unite sottolineano che se il donante dona un diritto di cui è titolare un terzo, il primo si ritroverà obbligato all’acquisto del diritto del terzo per poi poterlo ritrasferire al donatario: in sostanza il donante sarà obbligato a procurare il diritto al donatario.

Una simile obbligazione contratta in maniera inconsapevole appare alla Suprema Corte incompatibile con l’animus donandi, che è elemento costitutivo della causa donativa. Per tale ragione in tal caso risulterebbe eliminato lo spirito di liberalità e di conseguenza verrebbe meno anche la causa donativa.

Quando il contratto è nullo?

Dal momento che ai sensi dell’art. 1418 co. 2 c.c. il contratto è nullo se manca di uno dei requisiti dell’art. 1325 c.c., nel caso di donazione di bene altrui, in assenza della consapevolezza del donante dell’altruità del bene, il contratto è nullo per mancanza di causa.

Quando il contratto è valido?

Solo nel caso in cui il donante sia consapevole al momento della donazione dell’altruità del bene il contratto può considerarsi valido ed efficace: in tal caso il donante trasferirebbe un diritto non rientrante nel suo patrimonio attuale ma del quale intende consapevolmente procurarsi la disponibilità.

In tal modo risulterebbe sia rispettato l’art. 769 c.c., perché oggetto della donazione sarebbe un diritto che il donante prevede di avere in futuro nella sua disponibilità, sia integrato l’animus donandi, poiché il donante trasferirebbe il diritto nella consapevolezza che il suo depauperamento consisterebbe nell’obbligarsi a procurare il diritto stesso al donatario.

La sentenza in questione apre all’accoglimento nel nostro ordinamento della donazione di bene altrui: in effetti con un’attenta e ragionevole lettura delle norme si evince che la donazione di beni altrui non è disciplinata dal codice civile, solo la donazione di bene futuro è sanzionata con la nullità.

Allo stesso tempo occorre riflettere sul fatto che forse tale differente trattamento codicistico tra i 2 istituti può essere dovuto al fatto che mentre il bene futuro non esiste in natura e pertanto il codice vuole evitare che un soggetto si privi in anticipo e gratuitamente di una futura ricchezza, il bene altrui esiste in natura anche se appartiene ad un soggetto diverso dal donante.

La sentenza analizzata in questa sede si fa, infatti, carico di questa differenza giustificando la nullità della donazione di bene altrui non rinviando all’applicazione analogica dell’art. 771 c.c..
Posto che la giurisprudenza ha il compito di fornire soluzioni a problemi concreti la sentenza in questione potrebbe essere letta diversamente: le Sezioni Unite hanno affermato che la donazione di bene altrui in mancanza della consapevolezza del donante circa l’altruità del bene è nulla per mancanza dell’animus donandi (e quindi della causa).

Tuttavia l’animus donandi non potrebbe sussistere ugualmente anche nel caso in cui il donante disponga inconsapevolmente del bene altrui? Se la causa donativa consiste nell’arricchire il donatario con correlativo depauperamento del donante, non potrebbe quest’ultimo voler arricchire la controparte prescindendo dal fatto che il proprio impoverimento dipenda dalla cessione di un diritto di cui ha la disponibilità o dall’acquisto del diritto altrui da ritrasferire poi al donatario?

Nel caso in cui, quindi, il donante voglia arricchire a tutti i costi il donatario risultandogli indifferenti le concrete modalità del proprio impoverimento, non sarebbe integrata la causa donativa ovvero l’animus donandi anche nel caso in cui il donante non sia consapevole dell’altruità del bene?

Forse in un caso del genere, configurabile solo in forza di un’attenta analisi della volontà del donante, la causa donativa potrebbe risultare integrata.

Diverso problema sarebbe l’indisponibilità del diritto donato ai sensi dell’art. 769 c.c.. Forse in un caso simile potrebbe configurarsi una liberalità non donativa ai sensi dell’art. 809 c.c. non tipizzata dal legislatore e come tale da sottoporre al vaglio dell’art. 1322 c.c..

Luigi Nastri

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