Il diritto creativo di authorities e enti vari stravolge l’ordinamento

Luigi Oliveri 03/12/15

Da diverso tempo segnaliamo l’involuzione dell’ordinamento. Si assiste ad un Parlamento che da anni ha rinunciato alla propria funzione propositiva, si limita a ratificare decisioni del Governo, dando vita a norme sempre più cavillose, mal scritte, tendenti a risolvere problemi operativi concreti e destinati a specifici beneficiari.

A ciò si aggiunge la tendenza a verticalizzare il potere in pochissime mani: la legislazione finisce – di fatto – per essere concentrata sul Governo e in particolare sul premier; la gestione concreta quanto più possibile si attribuisce a super commissari con super poteri; i presidenti delle province sono super sindaci; i presidi delle scuole super presidi, mentre è in arrivo il super “dirigente apicale” negli enti locali.

Elemento ulteriore della verticalizzazione del potere e, nel contempo, conseguenza dell’infelice formulazione di norme poco meditate e mal concepite, è l’onda di piena ormai divenuta tsunami di pareri, linee guida, direttive e deliberazioni di un’incontrollabile schiera di soggetti, chiamati da varie fonti ad esprimersi, ma senza alcun coordinamento, senza coerenza.

Così sono ormai ogni anni migliaia i pareri di Sezioni regionali o centrali della Corte dei conti, o di Ministeri o di Autorità varie che intervengono su norme certamente complesse, stravolgendone spesso il significato, dando luogo a correnti interpretative composite, contrastanti, transeunti, mutevoli ad ogni pubblicazione di uno degli atti di consulenza di volta in volta richiesti o emanati autonomamente.

Così, quel che dovrebbe aiutare ad indirizzare in modo coerente l’azione amministrativa si trasforma in una mappa inestricabile di incroci, cambi di direzione, svolte e curve, che alla fine lungi dall’assicurare alcuna certezza operativa finisce per lasciare campo libero all’interpretazione che più fa comodo: infatti, nella selva di pareri, faq e linee guida, alla fine qualcosa di simile al preconcetto alla base di una richiesta di parere si trova sempre.

Poniamo un primo esempio eclatante: i vincoli alle assunzioni scaturenti dalla disgraziatissima norma contenuta nell’articolo 1, commi 424 e 425, della legge 190/2014.

Tra la circolare interministeriale di Funzione Pubblica e Affari regionali 1/2015 e centinaia di pareri delle varie sezioni della Corte dei conti è, ormai, un vero e proprio ginepraio di letture poste a sfaccettare in modo sempre più complesso una disciplina sicuramente difficile da digerire e mal congegnata, ma tutto sommato semplice.

Le indicazioni, indubbiamente poco condivisibili, della norma sono chiarissime: niente assunzioni finchè non si siano ricollocati i dipendenti provinciali, a pena di nullità.

Su questo quadro chiarissimo, soprattutto la magistratura contabile ha brillato per incoerenza e complicazione, adottando interpretazioni poco o nulla poggianti sul dettato normativo.

In particolare, la Corte dei conti si è, a torto, appiattita sulla chiave di lettura offerta dalla circolare 1/2015, secondo la quale negli anni 2015 e 2016 sarebbero tuttavia possibili assunzioni (per mobilità o concorsi), se il finanziamento provenga da anni precedenti. Un’indicazione, questa, che nei commi 424 e 425 assolutamente non è espressa; sicchè si tratta di un’interpretazione che, per quanto sia stata ormai accettata anche perché fatta propria dalla Corte dei conti, è certamente erronea, perché in contrasto con il cardine interpretativo secondo il quale se la legge ha taciuto su un determinato aspetto, significa che non ha voluto, dunque, ha vietato una certa conseguenza.

Se le assunzioni sono vietate e consentite solo nei limiti indicati dalla legge, nessun’altra assunzione dovrebbe considerarsi consentita.

Ma, le conseguenze del degrado ordinamentale degradano anche la funzione normativa, passata, senza che nessuno se ne accorgesse, dal Parlamento alla miriade di enti che, pur esercitando una funzione solo consultiva, di fatto modificano l’ordinamento.

Così, la Corte dei conti ha scaturito la lettura davvero discutibile secondo la quale il budget assunzionale, da sempre considerato come univoco, vada frazionato in più parti: quella destinata solo alle assunzioni dei dipendenti provinciali, quella destinata sia alle assunzioni di vincitori di concorsi inseriti in graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015, sia alle assunzioni di dipendenti provinciali, sia a dipendenti in possesso di titoli abilitanti particolari; in fine quella riservata alle assunzioni finanziate nel triennio precedente: il 2011-2013 per l’anno 2015; il 2012-2014 per l’ann0 2016.

Solo a scrivere e pronunciare questa sintesi delle indicazioni si evidenzia la loro cavillosità e strumentalità e, soprattutto, distanza dal precetto della legge 190/2014.

Ma la Corte dei conti non è ancora paga. Perché con una lettura assai restrittiva dell’articolo 5 del d.l. 78/2015, convertito in legge 125/2015, la Sezione Lombardia, col parere 416/2015 ha ritenuto che i comuni non possano utilizzare i “resti” assunzionali del triennio precedente per assumere agenti di polizia municipale.

E’, con ogni evidenza, una lettura completamente incoerente con l’impianto interpretativo sciaguratamente edificato dalla deliberazione 26/2015 della Sezione Autonomie. La Sezione Lombardia ritiene che l’articolo 5 del decreto enti locali sia una norma “speciale”, che riserva dei percorsi assolutamente vincolati alla ricollocazione del personale dei corpi di polizia provinciale, sicchè i comuni non possono assumerli, al di fuori di questi percorsi, nemmeno con risorse assunzionali “libere”.

L’interpretazione risulta del tutto forzata, come è ovvio. Se, infatti, si ritiene (e, lo si ribadisce, è un errore clamoroso) che le risorse del triennio precedente siano un budget a sé stante che consente di effettuare concorsi, non si capisce in alcun modo per quale ragione la libera utilizzabilità finanziaria dei resti non possa indirizzarsi ai componenti dei corpi di polizia provinciale. La lettura offerta dalla Sezione Lombardia evidenzia la debolezza estrema dell’impianto interpretativo.

Delle due, l’una: o i resti assunzionali sono liberi e, allora, non possono incontrare alcun ostacolo al loro impiego; oppure, non sono liberi, dal momento che per tutti i dipendenti provinciali in sovrannumero, sia pure in modo differenziato, esistono binari speciali di ricollocazione, sicchè occorrerebbe prendere atto che i resti non consentono affatto di effettuare assunzioni sciolte dai vincoli imposti dai commi 424 e 425.

Ovviamente, non vi sarà nessun intervento davvero chiarificatore ed unificante, che dovrebbe provenire per altro esclusivamente dal Parlamento, con una norma se non di interpretazione autentica, almeno di correzione, proprio alla luce del desolante contrasto interpretativo. Dunque, il caos proseguirà e, oltre tutto, niente garantirà che i comuni seguiranno le indicazioni della Sezione Lombardia.

Un secondo esempio riguarda un altro soggetto molto, troppo, prolifico nell’emanare a rotazione continua pareri ed interpretazioni, cioè l’Anac.

Nelle faq (nuova “fonte” del diritto sorta come un fungo dal nulla) relative alla materia dell’anticorruzione, l’Anac ha ritenuto che “Il responsabile della prevenzione della corruzione non può rivestire il ruolo di responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, versandosi in tale ipotesi in una situazione di potenziale conflitto di interessi, con la sola eccezione prevista, per gli enti di piccole dimensioni, dall’Intesa sancita in sede di Conferenza Unificata il 24 luglio 2014, per l’attuazione dell’art. 1, commi 60 e 61 della l. n. 190/2012”.

La data indicata nella faq è sbagliata: l’intesa è del 24 luglio 2013 e non 2014. All’epoca, chi scrive ebbe a commentare su Italia Oggi del 14 agosto 2013 (Anticorruzione, consigli fuorvianti per gli enti locali( proprio l’oggetto dell’intesa riferito alla declaratoria di incompatibilità, nei grandi comuni, tra la figura del segretario comunale- responsabile anti corruzione e quella di presidente dell’ufficio dei procedimenti disciplinari, con queste parole: “L’intesa aggiunge che solo nei piccoli comuni e «in via eccezionale» il segretario comunale che risulti incaricato anche di presiedere l’ufficio per i procedimenti disciplinari può anche svolgere la funzione di responsabile anticorruzione. Ma si travisano le disposizioni normative: il segretario è per legge responsabile, dunque l’incompatibilità con le funzioni dell’ufficio dei procedimenti disciplinari per comuni e province semplicemente non può operare”.

Che si trattasse di un’interpretazione sbagliata era chiaro da sempre. E’ da sottolineare che nel caos interpretativo ed ordinamentale anche le “intese” in sede di Conferenza Stato-regioni e Stato-regioni enti locali fanno egregiamente la loro parte per aumentare la confusione. Tuttavia, quell’intesa del 24 luglio 2013 fece proprie indicazioni dell’allora Civit, oggettivamente troppo restrittive e tendenti a forzare gli enti locali a rinunciare ad uno degli elementi addirittura costitutivi: l’autonomia organizzativa. Le quali indicazioni erano a loro volta basate sulla circolare 1/2013 della Funzione Pubblica.

L’intesa e la faq dell’Anac, in sostanza hanno voluto forzare gli enti a sdoppiare le funzioni di responsabile della corruzione e presidente dell’ufficio dei procedimenti disciplinari, in virtù di un possibile conflitto di interessi che, per altro, non è mai stato delineato nei suoi contenuti.

Poteva durare una simile chiave di lettura? No. Ma, è stato necessario che emergessero i fatti eclatanti del comune di San Remo, perché l’Anac, smentendo se stessa e l’intesa del 24 luglio 2013, invertisse di 180 gradi il proprio avviso. Mediante faq? No. Con l’altra “fonte” innovativa del diritto conosciuta come “orientamento”, espresso con nota 6 novembre 148861 ed indirizzato appunto al comune di San Remo.

Col nuovo “orientamento” adesso si afferma che il segretario comunale possa cumulare la funzione di responsabile anticorruzione e presidente dell’ufficio delle sanzioni disciplinari anche in un grande comune, anche perché si tratta di un soggetto super partes, perché non appartenente ai ruoli dell’ente.

Non ci voleva molto a giungere a questa conclusione. Anzi: occorreva non prevedere per nulla le indicazioni rinvenute nella circolare della Funzione Pubblica 1/2013, nell’intesa del 24 luglio 2013 e nella faq dell’Anac.

Comunque, come si vede, la lettura improponibile è durata poco, circa due anni e mezzo, anche se per un tempo sufficiente ad incidere sull’organizzazione degli enti e procurare caos.

Qualcuno spieghi, però, come sarà possibile a breve garantire questa imparzialità, una volta che il segretario comunale venga abolito grazie alla legge 124/2015 e sostituito dal “dirigente apicale”, perdendo drasticamente ogni connotazione di autonomia e super partes.

Luigi Oliveri

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