Dal lontano 12 marzo 2016 i dipendenti hanno dovuto fare i conti con l’invio delle dimissioni attraverso l’apposita piattaforma telematica del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La procedura, giustificata dall’intenzione di combattere il fenomeno delle dimissioni in bianco, si applica per tutti i rapporti di lavoro subordinato, eccezion fatta per un gruppo ristretto di eventi di cessazione, in cui rientrano le dimissioni nelle sedi protette (o avanti le commissioni di certificazione), durante il periodo di prova, nel lavoro domestico, da parte di genitori lavoratori ovvero nel settore marittimo.
Al di là dei casi di esclusione appena descritti, le dimissioni rassegnate con modalità diverse da quella telematica sono inefficaci e, pertanto, il rapporto di lavoro prosegue.
Pur essendo trascorso quasi un decennio dall’introduzione delle dimissioni online non mancano le difficoltà da parte degli utenti, in sede di compilazione dell’apposito modulo sul portale servizi.lavoro.gov.it.
Tra gli aspetti che meritano attenzione figura la scelta tra volontarie, per giusta causa o risoluzione consensuale.
Indice
Le dimissioni telematiche
Le dimissioni si qualificano come la volontà unilaterale del dipendente di interrompere il contratto.
Al fine di evitare il ricorso alla dimissione in bianco, in cui il dipendente firmava una dichiarazione (priva di data, poi aggiunta, in un secondo tempo e all’occorrenza, dal datore di lavoro) dove si riportava la sua volontà di porre fine al contratto, dal 12 marzo 2016 (eccezion fatta per talune ipotesi residuali, già descritte) le dimissioni e le ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto sono inefficaci se non trasmesse dal lavoratore stesso attraverso la piattaforma online servizi.lavoro.gov.it del Ministero del lavoro.
Una volta autenticatosi con le credenziali SPID, CIE o CNS, il dipendente clicca su “Dimissioni volontarie – Entra – Inserisci nuova dimissione”.
Da notare che se il rapporto di lavoro per il quale si intende inviare il modulo online non è presente in elenco, l’utente seleziona “Inserimento dimissioni per un rapporto di lavoro non presente in elenco”.
Come compilare il modulo online?
Il modulo si compone delle seguenti sezioni:
- lavoratore;
- dati del datore di lavoro;
- rapporto di lavoro;
- recesso dal rapporto di lavoro.
In ciascuna sezione è necessario indicare i dati descritti in tabella:
Sezione | Dati da inserire |
1 – Lavoratore | Codice fiscale lavoratore |
Cognome | |
Nome | |
2 – Dati datore di lavoro | Codice fiscale datore di lavoro |
Ragione sociale datore di lavoro | |
PEC | |
Indirizzo sede di lavoro | |
Comune sede di lavoro | |
CAP sede di lavoro | |
Comune sede legale | |
3 – Rapporto di lavoro | Data inizio lavoro |
Tipologia contrattuale, a scelta tra lavoro a tempo indeterminato, lavoro a tempo determinato, apprendistato | |
4 – Dimissioni | Data decorrenza (da intendersi come il primo giorno non in forza in azienda) |
Tipo comunicazione |
Con riguardo alla sezione quarta, nel campo relativo al “Tipo comunicazione” l’utente deve selezionare dall’apposito menu a tendina se trattasi di:
- Dimissioni;
- Dimissioni per giusta causa;
- Risoluzione consensuale.
Giusta causa o risoluzione consensuale?
In sede di compilazione del modulo telematico il dipendente è bene che consideri la differenza che intercorre tra dimissioni ordinarie / per giusta causa e risoluzione consensuale.
Mentre le prime due ipotesi ricorrono nel momento in cui il dipendente, per sua esclusiva volontà, intende risolvere il contratto, la risoluzione consensuale, al contrario, identifica tutte quelle circostanze dove datore di lavoro e dipendente decidono, di comune accordo, di interrompere la collaborazione.
Differenza tra dimissioni (ordinarie o per giusta causa) e risoluzione consensuale | |
Evento | Volontà di interrompere il contratto |
Dimissioni | Unilaterale del dipendente |
Risoluzione consensuale | Comune accordo tra datore di lavoro e dipendente |
Differenza tra dimissioni ordinarie o per giusta causa
Mentre le dimissioni ordinarie rappresentano esclusivamente la volontà unilaterale del dipendente di interrompere il contratto, quale che ne sia la motivazione, il recesso, al contrario, per giusta causa ricorre in tutte le ipotesi in cui il datore di lavoro si è reso responsabile di una condotta talmente grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del contratto.
Non a caso il dipendente che si dimette per giusta causa è esonerati dall’obbligo di rispettare il periodo di preavviso, quale arco temporale che deve obbligatoriamente intercorrere tra la dichiarazione all’azienda di voler risolvere il contratto e l’ultimo giorno di vigenza dello stesso.
Peraltro, il dipendente che si dimette per giusta causa ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso (a carico del datore di lavoro, da liquidare in busta paga) e, in presenza degli altri requisiti normativamente previsti, ad ottenere il sussidio di disoccupazione NASpI.
Per poter qualificare le dimissioni per giusta causa, indicando l’apposita voce nel modulo telematico del portale servizi.lavoro.gov.it, il dipendente dev’essere interessato dalle casistiche che la giurisprudenza (di Cassazione e di merito) ha qualificato come tali nel corso del tempo.
Ci riferiamo in particolare a:
- mancato o ritardato pagamento della retribuzione;
- omesso versamento dei contributi;
- comportamento ingiurioso del superiore gerarchico;
- pretesa da parte del datore di lavoro di prestazioni illecite;
- molestie sessuali perpetrate dal datore di lavoro;
- significativo svuotamento del numero e del contenuto delle mansioni, tale da determinare un pregiudizio al bagaglio professionale del lavoratore;
- assegnazione a mansioni inadeguate, non inerenti con quelle di assunzione e incompatibili con lo stato di disabilità della lavoratrice;
- mobbing;
- imposizione al lavoratore, che ha scelto di rendere la prestazione nel corso del preavviso, di godere le ferie residue con sovrapposizione di queste al preavviso.
Leggi anche Dimissioni per fatti concludenti per assenze ingiustificate: L’INL fa il punto
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Foto copertina: istock/tommy