Cuneo fiscale: cos’è e come incide sugli stipendi dei lavoratori

Paolo Ballanti 23/05/23
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Il recente Decreto Lavoro, entrato in vigore lo scorso 5 maggio, non ha mancato di introdurre misure volte a ridurre il cuneo fiscale, al pari di altri provvedimenti normativi, come le due ultime manovre di bilancio.

Il tema dei contributi e tasse che insistono sul compenso dei lavoratori dipendenti è quanto mai presente nei confronti tra governo, aziende ed organizzazioni sindacali, alla luce del fatto che il nostro paese si colloca tra i primi posti, a livello europeo, proprio in termini di pressione fiscale e contributiva sugli stipendi.

Analizziamo in dettaglio cos’è il cuneo fiscale, come si calcola e quanto incide sul netto in busta paga.

Indice

Cos’è il cuneo fiscale

Il cuneo fiscale misura la differenza tra il costo totale sostenuto dal datore di lavoro e il compenso netto a beneficio del dipendente. Il valore in questione rappresenta il rapporto percentuale tra le trattenute totali (a carico del datore di lavoro e del dipendente) ed il costo totale del lavoro.

Le componenti che formano il cuneo fiscale sono essenzialmente tre:

  • Imposte sul reddito a carico del lavoratore, in Italia è il caso di Irpef (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche), addizionali regionali e comunali;
  • Contributi previdenziali ed assistenziali (di norma a beneficio dell’Inps) a carico del lavoratore, trattenuti in busta paga;
  • Contributi previdenziali ed assistenziali (in generale a beneficio dell’Inps) a carico del datore di lavoro.

A quanto citato si aggiunge una quarta componente rappresentata dai trasferimenti in denaro dallo Stato direttamente al nucleo familiare beneficiario, in ragione della presenza di figli a carico e / o soggetti con disabilità.

Per approfondire il tema del rapporto di lavoro dipendente e la tutela dei diritti del lavoratore si consiglia il volume “Il Lavoro subordinato”.

Come si calcola il cuneo fiscale

Il cuneo fiscale si ottiene sommando le tre componenti poc’anzi citate:

  • Irpef, addizionali regionali e comunali;
  • Contributi previdenziali e assistenziali a carico del lavoratore;
  • Contributi previdenziali e assistenziali a carico azienda.

Il risultato (eventualmente diminuito della quarta componente, rappresentata dai sussidi statali) dev’essere poi rapportato al costo del lavoro, ottenendo così il cuneo fiscale (espresso in percentuale). Ipotizziamo che il costo del lavoro sia pari ad euro 47.000,00. La somma delle componenti che formano il cuneo fiscale corrisponde invece a 25.000,00 euro.

Il rapporto percentuale che rappresenta il cuneo fiscale è pertanto il (25.000,00 / 47.000,00) * 100 = 53,19% del costo del lavoro.

Un cuneo fiscale elevato in che modo incide sul netto in busta?

Posto che la percentuale con cui si esprime il cuneo fiscale è il risultato del rapporto tra tasse e contributi che incidono sulla busta paga e costo del lavoro, a parità di quest’ultimo (al denominatore) una percentuale più elevata è sinonimo di maggiori trattenute e, di conseguenza, un minor netto spettante al lavoratore.

Tuttavia è opportuno indagare anche sulla composizione delle trattenute e sul peso che hanno le somme recuperate al lavoratore in busta paga, come Irpef, addizionali regionali e comunali, contributi previdenziali e assistenziali conto dipendente.

Il cuneo fiscale in Italia

Stando ai dati Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) diffusi da “lavoce.info” il cuneo fiscale in Italia si è attestato al 45,9% nel 2022, contro una media Ocse del 34,6%. Ciò significa, afferma “lavoce.info”, che “quasi la metà delle spese sostenute dalle aziende per impiegare un lavoratore sono destinate a tasse e contributi sociali, rendendo l’Italia poco competitiva rispetto ad altri paesi”.
A totalizzare valori più elevati dell’Italia sono quattro paesi:

  • Belgio 53%;
  • Germania 47,8%;
  • Francia 47,00%;
  • Austria 46,8%.

Al di fuori dell’Unione Europea il cuneo fiscale è pari al 31,5% in Gran Bretagna ed al 30,5% negli Stati Uniti.
Il livello elevato del cuneo fiscale registrato in Italia, ha spinto negli ultimi anni il legislatore ad introdurre una serie di provvedimenti volti a ridurre il peso di contributi e tasse sulle buste paga degli italiani.

Cuneo fiscale: politiche di riduzione dell’Irpef

Uno dei provvedimenti di riduzione del cuneo fiscale, lato Irpef, è il trattamento integrativo (detto anche ex Bonus Renzi). La misura si traduce in un credito d’imposta riconosciuto a quanti percepiscono redditi di lavoro dipendente (e taluni redditi assimilati), in possesso di un reddito complessivo non superiore a 15 mila euro.
In tal caso la somma spettante è pari a 1.200 euro annui (100 euro medi mensili).
Quanti, al contrario, hanno un reddito superiore a 15 mila euro ma pari o inferiore a 28 mila euro hanno diritto al bonus se la somma di una serie di detrazioni (elencate all’articolo 1, comma 1, Decreto – legge 5 febbraio 2020 numero 3) è di ammontare superiore all’Irpef lorda.
In caso positivo, il trattamento integrativo è riconosciuto per una somma pari alla differenza tra le detrazioni sopra indicate e l’imposta lorda. Ad ogni modo, il trattamento integrativo non può eccedere i 1.200 euro annui.

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Cuneo fiscale: politiche di riduzione dei contributi Inps

Riduzione contributi IVS
Per l’anno 2023, in via eccezionale, ai rapporti di lavoro dipendente (incluso l’apprendistato) è riconosciuta una riduzione sulla quota dei contributi previdenziali IVS (Invalidità, Vecchiaia e Superstiti) a carico del lavoratore pari a:

  • 2% se la retribuzione imponibile ai fini previdenziali non eccede l’importo di 2.692,00 euro;
  • 3% se la retribuzione imponibile ai fini previdenziali non eccede l’importo di 1.923,00 euro.

La retribuzione imponibile dev’essere parametrata su base mensile per 13 mensilità.
A norma del Decreto Lavoro (D.L. 4 maggio 2023 numero 48), articolo 39, la percentuale di esonero sulla quota dei contributi previdenziali passa dal 1° luglio 2023 al 31 dicembre 2023 rispettivamente:

  • Dal 2 al 6% se la retribuzione imponibile non eccede i 2.692,00 euro;
  • Dal 3 al 7% se la retribuzione imponibile non eccede i 1.923,00 euro.

Quest’ultimo aumento, tuttavia, non produce ulteriori effetti sul rateo di tredicesima. Ciò significa che la riduzione dei contributi sul rateo di mensilità aggiuntiva resta pari alle percentuali già vigenti, pari al 2 – 3%.

Riduzione contributi per rientro dalla maternità
L’articolo 1, comma 137, Legge 30 dicembre 2021 numero 234 riconosce uno sgravio sui contributi previdenziali a carico delle lavoratrici che, entro il 31 dicembre 2022, sono rientrate al lavoro dopo un periodo di congedo obbligatorio di maternità.
La misura riduce i contributi (per la sola parte a carico della lavoratrice) in misura pari al 50% (ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche) per una durata massima di 12 mesi, decorrenti dal mese in cui si è verificato il rientro al lavoro.

Come precisato dall’Inps con la Circolare del 19 settembre 2022 numero 102, nonostante la norma faccia riferimento al solo rientro dopo la fruizione del congedo obbligatorio di maternità, nel caso in cui la “lavoratrice fruisca dell’astensione facoltativa al termine del periodo di congedo obbligatorio, la misura può comunque trovare applicazione dalla data di rientro effettivo al lavoro della lavoratrice”.


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