Questa la questione rimessa, con ricorso alla Cassazione.
La vicenda traeva origine da una sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano secondo cui il corridoio posto al sesto piano dell’ immobile apparteneva al Condominio e condannava la convenuta al rilascio di tale bene e alla riduzione dei luoghi in pristino stato.
Avverso tale decisione proponeva ricorso la convenuta lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione.
A parere della ricorrente, i giudici di merito non avevano tenuto conto né delle conclusioni peritali, degli atti di acquisto della planimetria in atti, dal quale emergeva un corridoio cieco che non serviva alle unità immobiliari diverse da quelle di proprietà della ricorrente, né quanto disponeva al riguardo l’ art. 2 lett. e) del regolamento condominiale.
L’ art. 1102 c.c. disciplina le parti comuni disponendo al riguardo che ciascun partecipante possa servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Sulla regolamentazione dell’ istituto sono intervenuti diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un recente orientamento è conferita a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di tratte della cosa comune la più intensa utilizzazione a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali improntanti al principio di solidarietà, il quale richiede un equilibrio degli opposti interessi ( Cass. Civ. Sez. II, 3.8.2012, n. 14107).
Diversamente quando indicato da un altro orientamento secondo cui il partecipante alla comunione può usare la cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza, la destinazione di esso e il non impedire l’ altri pari uso (Cass. Civ. Sez. II, 14.7.2011, n. 15523).
Ciò premesso, sulla questione venne investita la Cassazione che, con la sentenza n. 0000138/2016, poneva fine al contrasto giurisprudenziale sussistente in materia, affermando che: “ La Corte ha fornito adeguata giustificazione delle ragioni per le quali ha ritenuto comune all’ intero fabbricato il corridoio. Essa ha osservato che negli atti di trasferimento attraverso cui la convenuta era divenuta proprietaria dei locali siti al sesto piano in sopralzo non figurava il corridoio, il quale al contrario, era stato sempre indicato come una delle coerenze dei locali nel tempo singolarmente venduti, ed era stato sempre espressamente qualificato come “corridoio comune”.
Ha altresì rilevato che, per espressa volontà delle parti, come cristallizzata nell’ art. 2 del regolamento condominiale, concordemente accettato dai vari acquirenti, i corridoi di accesso ai locali ed ai sottotetti devono essere considerati comuni; con la conseguenza che il corridoio in questione, essendo indiscutibilmente stato, prima delle modifiche apportate dalla convenuta, un corridoio di accesso ai locali e sottotetti del sesto piano rialzato, è da ritenere parte comune dell’ intero edificio, e non solo del sesto piano rialzato. L’ interpretazione del regolamento condominiale è privo di censure”.
Da segnalare anche il secondo motivo lamentato e cioè violazione degli artt. 1117 e 1123 comma 3 c.p.c.
I giudici della Suprema Corte ritennero tale motivazione inammissibile, non essendo prospettabile per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove non trattate nel giudizio di merito né rilevabile d’ ufficio ( Cass. 30-3- 2007 n. 7981).
Pertanto, con la sentenza in commento i giudici di legittimità rigettavano il ricorso e condannavano la ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente oltre gli accessori di legge.
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