Chi fa il “piano” va sano e lontano

Contro malaffare e illegalità servono regole severe e istituzioni decise ad applicarle. Ma serve soprattutto una diffusa e costante intransigenza morale, un’azione convinta di cittadini che non abbiano il timore d’essere definiti moralisti, che ricordino in ogni momento che la vita pubblica esige rigore e correttezza

(Stefano Rodotà, Elogio del Moralismo)

Si riprende, per l’attualità della materia, il tema del piano anticorruzione nella pubblica amministrazione per il quale mi permetto di rinviare, per un approccio generale, ad un mio precedente scritto.

In questa sede vorrei, invece, soffermarmi sulle ricadute per enti locali di un siffatto Piano. Al pari della questione articolo 18 è bene, prima di procedere a delle brevi riflessioni e/o interpretazioni, leggere l’articolato; pertanto, con queste righe si vuol tentare soltanto una prima lettura di alcune recentissime proposte.

Attualmente lo stato di avanzamento dei lavori è il seguente: a fronte di un disegno di legge in discussione alla Camera la Comissione di studio su trasparenza  e corruzione nella P.A., nominata dal Ministro Patroni Griffi, ha proposto alcuni emendamenti tra i quali spicca quello relativo all’analogia dell’approvazione del piano anticorruzione con l’approvazione del Bilancio o del rendiconto. In una parola il primo, nella riforma in itinere, dovrebbe divenire un atto fondamentale dell’Ente e nell’ipotesi di mancata approvazione “tutti a casa” per ordine del Prefetto.

Da questi pochi elementi è possibile già intravedere la portata delle innovazioni che questa  Commissione di esperti,  con enormi competenze in materia,  ha voluto evidenziare nella Relazione . Sulla corruzione, da anni,  si è scritto e detto di tutto. Ma poco si è fatto. Perché la risposta dell’ordinamento è sempre stata mediocre e comunque non adeguata alla portata dei casi accaduti e che accadono giornalmente come un bollettino di guerra.  E di questi tempi è necessario fare se non altro per riportare in equilibrio la nave italiana nella quale oltre a mancare la legalità manca anche la “Concordia” con molteplici scogli che rendono difficile ogni tentativo di far cambiare rotta e anche l’aria davvero viziata. Quello che bisogna davvero evitare è perdere l’occasione di una vera riforma strutturale affinché finalmente si faccia chiarezza sull’applicazione della disciplina al fine di evitare danni alla collettività i quali, non solo incidono sull’economia ma divenendo costume sociale,  non vengono adeguatamente puniti alla radice. E qui viene in mente l’episodio dell’alto prelato che volendo mangiare carne di maiale di venerdì trovò l’escamotage di dire “ergo te baptizo carpam“…

La corruzione, il malaffare e l’illegalità sono ancora molto forti, molto più di come appare. Sono fenomeni notevolmente presenti nel Paese e le cui dimensioni, presumibilmente, sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce“. Queste parole sono del Presidente della  Corte dei Conti Luigi Giampaolino e sono state pronunciate proprio nei giorni in cui ricorreva il ventennio di Mani Pulite che non ha sortito gli effetti che le immagini televisive ci avevano fatto sperare.

E allora come si colloca, in questo quadro, un piano anticorruzione negli Enti Locali? Quali sono i contenuti minimi di questo Piano? Secondo l’ANCI queste norme incidono sui comuni come se fossero gli indiziati principali e rende noto che i comuni stessi sono già vessati da tante restrizioni, mentre a livello centrale sembrerebbe che la presa è comunque più lenta. Sulle cose che si possono fare, siamo (tutti) d’accordo. Agire con onestà, imparzialità, con decoro, con dignità, con onore e disciplina ovvero con il primato dell’Etica Pubblica su tutto il resto e a tutti i livelli ispirandosi agli officia (regole di comportamento) nell’accezione ciceroniana.

Sulle cose che non si possono fare però occorre essere chiari e netti e non serve una capillare previsione di procedure quando vi siano spiragli tra politica e amministrazione (gestione) che lascino anche piccoli spazi a comportamenti  corruttivi. In altre parole non basta prevedere minuziose casistiche che soddisfano i palati golosi di burocrazia, occorre invece che si formi una mentalità culturale per non indurre in tentazione coloro che lavorano per la collettività.

Perché  se ancora  “la corruzione è l’unico modo per sveltire gli iter e quindi incentivare le iniziative” per dirla, con la voce del Gasmann  de “In nome del popolo italiano“, questo nostro popolo rimarrà sempre parte di una paese “a civiltà limitata“, un paese che si regge sull’illecito, in quel Paese descritto da Calvino “di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre degli scrupoli. A chiedersi ad ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare” . Questa ultima frase mi fa pensare alla proposta di una ricompensa in denaro per chi segnala episodi corruttivi sia in forma preventiva o quando gli stessi hanno già, purtroppo,  avuto la luce e causato effetti . Una ricompensa in denaro è sempre pericolosa. Potrebbe generare un circolo vizioso per “mettersi in mostra” e comunque è materia delicata che deve essere supportata da reali circostanze di fatto e di sostanziali tutele. Ma questo punto merita sicuramente maggiore attenzione stante il “confine” spesso non definito  tra chi dovrebbe segnalare e tra chi è segnalato e potrebbe essere oggetto di un prossimo approfondimento.

Per Roberta De Monticelli il rimedio a questo “male antico” è difendere la serietà della nostra esperienza morale, smentendo la convinzione che non esiste verità o falsità in materia di giudizio pratico, cioè del giudizio che risponde alla domanda “che cosa devo fare?”

Ecco perché è necessario premiare concretamente il merito, occorre fare emergere il merito sommerso e riconoscerlo come tale e non darlo per scontato. Il merito di chi lavora dietro le quinte con senso del dovere anzitutto all’interno della propria coscienza. Il pubblico funzionario onesto è in grado di scrivere e applicare un  suo “codice etico”. Aldilà di convegni e seminari è necessaria una rivoluzione copernicana sul cambiamento di costume. Soprattutto per chi concepisce la società organizzata sui fondamenti della sapientia, della iustitia, della magnitudo animis, del decorum.

Tornando all’aspetto dell’Ente Locale è stato giustamente osservato che la vicinanza degli amministratori alle tentazioni del potere locale è uno degli elementi di modestia dei comportamenti (anche per scarsa cultura amministrativa)  troppo esposti al vento del “vincere facile”  con evidenti ripercussioni sul territorio fatto a pezzi in base al “peso” elettorale. Ecco perché un piano anticorruzione deve anzitutto prevedere (con adeguata formazione di base)  una educazione alla legalità, una conoscenza di norme giuridiche, di comportamento, ma sopratutto conoscenza di norme – e questo dovrebbe essere oggetto di una legge in tal senso – cogenti, immediatamente applicabili. Norme talmente restrittive in cui la discrezionalità dovrebbe essere pesata con il bilancino del farmacista. E tali da scoraggiare azioni corruttive nel senso più ampio del termine.  Ciò non inciderà sull’autonomia dell’Ente Locale perché, ad esempio, un Comune virtuoso accontenta la maggioranza dei cittadini mentre  un comune viziato è invece appannaggio dei pochi e spesso dei soliti noti che spesso pur non guidando conoscono, da ottimi navigatori, perfettamente la macchina e il percorso, anche alternativo.

E allora – parafrasando il caro Tonino Guerra – si spera che il Legislatore nel fare questa riforma “ascolti anche le voci che sembrano inutili” per trasformare una “brutta Piazza” in una in cui la speranza e la pulizia  tornino a rappresentare un paese ed il Paese

Antonio Capitano

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