Buoni pasto/ticket mensa dovuti anche per i giorni di ferie. La Cassazione fa il punto

Paolo Ballanti 06/11/24
Allegati

Tra le prestazioni che il datore di lavoro può riconoscere, per disposizione individuale o collettiva, ai dipendenti figurano le somministrazioni di vitto da realizzarsi con modalità diverse, ciascuna di esse con riflessi a livello contributivo e fiscale totalmente differenti.

L’azienda può ad esempio prevedere:

  • una mensa aziendale interna con gestione propria o affidata in appalto ad apposita società;
  • una mensa esterna presso strutture convenzionate.

Una terza opzione comporta il riconoscimento di prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto, attraverso:

  • i cosiddetti buoni pasto o ticket-restaurant, attribuiti al dipendente in formato cartaceo o a mezzo applicazione mobile per smartphone;
  • somministrazione di alimenti e bevande da parte di pubblici esercizi;
  • cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato.

Un’ultima alternativa per l’azienda, da adottare in mancanza del servizio mensa e / o a fronte dell’impossibilità per i dipendenti di sfruttare i buoni pasto (ad esempio per l’assenza di strutture nelle vicinanze del luogo di svolgimento della prestazione), prevede l’erogazione di un’indennità sostitutiva di mensa che si concretizza in un’erogazione di denaro effettuata a mezzo cedolino paga.

Proprio con riguardo al tema dei buoni pasto, la recente sentenza della Corte di cassazione civile – sezione lavoro, datata 27 settembre 2024, numero 25840 ha sottolineato il diritto del lavoratore in ferie a percepire la retribuzione, inclusi tutti gli importi connessi allo svolgimento delle mansioni e correlati allo status personale e professionale del lavoratore, compreso appunto il ticket mensa.

Analizziamo la questione in dettaglio.

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Sentenza Cassazione 25840 – 27/09/2024 472 KB

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Indice

La controversia sui buoni pasto

La controversia all’esame della Cassazione prende le mosse dalla sentenza di primo grado del Tribunale di Benevento che, in accoglimento della domanda del lavoratore, condannava l’azienda al pagamento di somme arretrate relative al periodo delle ferie godute negli anni 2016-2021.

Il giudice affermava infatti che nel citato periodo il dipendente non aveva percepito una retribuzione pari a quella corrisposta nel corso delle giornate di lavoro ordinario, dal momento che erano assenti le voci a titolo di:

  • indennità perequativa;
  • indennità compensativa;
  • ticket mensa (alternativa ai buoni pasto.

A seguire il giudice di secondo grado rigettava l’appello proposto dal datore di lavoro. Avverso tale decisione, l’azienda proponeva ricorso per cassazione.

Il parere della Corte di cassazione

Investita della questione la Suprema Corte rigetta il ricorso aziendale. Nello specifico, gli Ermellini affermano che la retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie dev’essere pari a quella ordinaria, come affermato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

L’obiettivo è infatti quello di garantire ai dipendenti in ferie un compenso identico a quello che avrebbero percepito se fossero stati regolarmente al lavoro. Una diminuzione della retribuzione nel corso delle ferie, al contrario, potrebbe essere infatti idonea, si legge nella sentenza, a “dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie”. Qualsiasi incentivo o sollecitazione destinato a indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza.

La retribuzione delle ferie dev’essere legata al profilo del lavoratore

Nel rispetto della giurisprudenza comunitaria, la Corte di cassazione ha ribadito in più occasioni che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali “comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore” (sentenza numero 25840/2024).

Il caso dell’indennità sostitutiva per ferie non godute

Sempre la Cassazione ha ritenuto che, anche con riguardo al compenso da erogare al dipendente a titolo di ferie non godute, in caso di cessazione del rapporto, la retribuzione da utilizzare come parametro “debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore” (sentenza numero 25840/2024).

La retribuzione del personale navigante

In applicazione del concetto di retribuzione promosso dalla giurisprudenza comunitaria e sopra descritto, precisa la sentenza in parola, per il personale navigante dipendente di compagnia aerea nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane si deve tenere conto “degli importi erogati a titolo di indennità di volo integrativa e a tal fine si è ritenuta la nullità della disposizione collettiva” rappresentata dall’articolo 10 del contratto collettivo nazionale di lavoro Trasporto Aereo – sezione personale navigante tecnico, nella parte in cui “la esclude per la tale periodo minimo di ferie” (Cassazione, sentenza numero 20216/2022).

Le sentenze della Corte di giustizia UE sono vincolanti

Dal momento che, come si legge nella sentenza in argomento, le pronunce della Corte di giustizia UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, nell’applicare il diritto interno il giudice italiano “è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme alla finalità” perseguita dal diritto dell’Unione.

Alle interpretazioni comunitarie, scrive la Cassazione, si è correttamente attenuta la Corte di appello di Napoli la quale ha proceduto ad una verifica della “potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche della retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita”.

Le conclusioni della Cassazione

In definitiva, l’inclusione nella retribuzione feriale, operata dalla Corte di appello, delle voci economiche riconosciute a titolo di:

  • indennità perequativa;
  • indennità compensativa;
  • ticket mensa (alternativa ai buoni pasto);

oltre ad essere “del tutto plausibile”, afferma la sentenza numero 25840/2024, è:

  • in linea con la giurisprudenza comunitaria;
  • in sintonia con la finalità di assicurare innanzi tutto un compenso che non possa rappresentare un deterrente, per il lavoratore, all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.

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