Appalti pubblici, ovvero quando il contributo unificato si sdoppia

Redazione 21/07/11
Scarica PDF Stampa
Si è parlato molto in questi ultimi giorni dei gravosi aumenti del contributo unificato introdotti dall’ultima manovra correttiva, e di come tali aumenti finiscano per indebolire fortemente lo stesso diritto di difesa, ormai solo in linea teorica garantito dalla nostra Carta costituzionale ad ogni cittadino italiano (vedi gli articoli pubblicati su Leggi Oggi da Gallo, Sammartino, Giurdanella).

Leggi Oggi ha adesso lanciato la campagna di raccolta delle firme per fermare l’aumento del contributo unificato (per aderire).

E’ tuttavia utile spiegare, in questa sede, perché l’aumento del contributo unificato danneggia particolarmente la materia degli appalti pubblici.

Dal 6 luglio 2011, nei giudizi aventi ad oggetto provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture – nonché i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, ma questa è un’altra storia, di cui parleremo a parte anche su questa rivista – il contributo dovuto è di 4.000 euro.

Si aggrava ulteriormente il già pesantissimo carico economico da sostenere nel processo amministrativo in materia di appalti pubblici, a poche settimane dall’introduzione, da parte del Decreto Sviluppo, della nuova sanzione per “lite temeraria”, con l’art. 246-bis Codice dei Contratti (norma mantenuta inalterata dalla legge di conversione n. 106 del 12 luglio 2011).

Desta preoccupazione l’escalation che il contributo unificato per il processo sugli appalti ha vissuto negli ultimi anni, escalation, peraltro assolutamente scollegata dalle altre materie: nel 2006 ammontava a 500 euro, al pari di tutti gli altri ricorsi al giudice amministrativo; poi, però, dal 1 gennaio 2007 è stato quadruplicato in un sol colpo, arrivando a 2.000 euro.

Successivamente, il decreto di recepimento della direttiva ricorsi, lo scorso aprile 2010, ha “chiuso le porte” del ricorso straordinario al Capo dello Stato, sancendo l’obbligo di adire esclusivamente il TAR per la materia degli appalti pubblici, impedendo di fatto di attivare un contenzioso senza pagare i suddetti 2000 euro. Per la cronaca, allora il ricorso straordinario era esente, oggi è soggetto ad un contributo unificato di 600 euro: sia allora che adesso, quindi, si tratta di un importo che avrebbe potuto far preferire il ricorso amministrativo a quello giurisdizionale. Ma tant’è.

Da ultimo, infine, l’ulteriore “rilancio” del legislatore, ed il raggiungimento della quota record di 4000 euro.

Purtroppo, questa noiosa digressione sulle tasse di giustizia non può finire qui. Non si può certo dire, infatti, che un giudizio in materia di appalti pubblici dinanzi al Giudice Amministrativo abbia un costo fiscale di soli 4000 euro.

Si tenga presente infatti che, già dal recepimento della direttiva ricorsi, il contributo unificato è ormai dovuto non solo per il ricorso introduttivo, ma anche per ogni successivo atto che contenga “domande nuove”, quindi per quasi tutti i ricorsi per motivi aggiunti ed i ricorsi incidentali.

Ora, questa norma – successivamente estesa dal Codice del processo amministrativo a tutti i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato – ha una fortissima incidenza in materia di appalti pubblici; è più che frequente, infatti, la presentazione di uno o più motivi aggiunti di ricorso.

Tanto per cominciare, sono domande nuove la domanda di risarcimento del danno e la domanda di subentro in caso di inefficacia del contratto, che pertanto un avvocato avveduto dovrebbe sempre inserire nell’atto introduttivo del giudizio.

A parte queste, tuttavia è pressoché impossibile concentrare tutte le domande da proporre al giudice nel ricorso introduttivo.

Si pensi, ad esempio, all’impresa che abbia impugnato il bando immediatamente lesivo, oppure la propria esclusione, e che sia poi costretta ad impugnare pure la sopraggiunta aggiudicazione definitiva, pena l’inammissibilità del suo ricorso.

Si pensi, inoltre, alla necessità di chiedere prontamente la sospensione cautelare dell’aggiudicazione provvisoria quando vi è il rischio che la stazione appaltante proceda all’esecuzione in via d’urgenza ancor prima dell’aggiudicazione definitiva e della stipula del contratto.

Si pensi ancora all’ipotesi in cui, nel corso del giudizio, in seguito ad un accesso agli atti oppure ad un deposito documentale di controparte, il ricorrente venga a conoscenza di nuovi vizi degli atti di gara già in precedenza impugnati.

Si legga inoltre l’art. 120, comma 7, CPA, secondo cui “i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti”.

Non sono bravissimo con i numeri, ma il conto in questo caso è facile: se consideriamo che i giudizi in materia di appalti pubblici che costano 4000 euro sono più unici che rari, e che invece la maggior parte registra almeno due o tre atti contenenti domande nuove, in media un giudizio ha un costo fiscale che va da 8.000 a 12.000 euro.

E ciò, a prescindere dal valore della gara: si pensi ad una gara con importo a base d’asta di 100.000 euro, in cui l’utile d’impresa si attesti al 10%, laddove è chiaro che l’imprenditore escluso desisterà dal far valere le proprie ragioni in giudizio.

E senza contare, ovviamente, le difficoltà dell’avvocato – ultima ruota di questo sgangherato carro che è oggi la giustizia in Italia – il quale, dopo aver chiesto quelle somme, manco a dirlo destinate fino all’ultimo centesimo allo Stato, dovrà determinare e chiedere il proprio compenso.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento