Cassa integrazione 2020: cosa cambia con il Decreto Agosto

Paolo Ballanti 03/09/20
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Dal 13 luglio al 31 dicembre 2020 le imprese avranno a disposizione 18 settimane di Cassa integrazione per COVID-19. Questa una delle principali novità del Decreto “Agosto” adottata con l’obiettivo di dare sostegno a imprese e lavoratori chiamati a fronteggiare gli effetti socio-economici del Coronavirus.

La norma (Decreto legge n. 104/2020) entrata in vigore lo scorso 15 agosto, riconosce un periodo di 9 settimane (prorogabili di altre 9) per chiedere i trattamenti di CIGO, Cassa in deroga, CISOA e assegno ordinario FIS con causale “COVID-19”.

Tuttavia, se la prima tranche non prevede alcun costo per le aziende, la seconda è soggetta al versamento all’INPS di un contributo calcolato sulle ore di Cassa fatte dai dipendenti.

Tale contributo non è dovuto da parte delle imprese che dichiarino di aver subito una riduzione di fatturato, nel primo semestre 2020, superiore al 20% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Analizziamo le novità nel dettaglio.

Cassa integrazione 2020: altre 18 settimane

Il cosiddetto Decreto “Agosto” (D.l. n. 104/2020) riscrive all’articolo 1 le regole sugli ammortizzatori sociali chiesti in ragione dell’emergenza COVID-19.

In particolare, sono concesse 18 settimane nel periodo compreso tra il 13 luglio e il 31 dicembre 2020 per i trattamenti di:

  • Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO);
  • Cassa integrazione guadagni in deroga (CIGD);
  • Assegno ordinario erogato dal Fondo integrazione salariale (FIS);
  • Cassa integrazione guadagni nel settore agricolo (CISOA).

I mesi di Cassa vengono concessi nella formula 9 + 9 con la seconda tranche riservata alle aziende che hanno esaurito le settimane precedentemente concesse.

Cassa integrazione 2020: contributo addizionale

Se le prime 9 settimane non prevedono alcun costo per l’azienda, la seconda tranche è soggetta ad un contributo addizionale da versare all’INPS, calcolato sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al dipendente per le ore non prestate a causa della Cassa integrazione.

Il contributo è pari al:

  • 9% della retribuzione globale nel caso di aziende che abbiano subito un calo del fatturato nel primo semestre 2020 inferiore del 20% rispetto allo stesso periodo del 2019;
  • 18% della retribuzione globale per i datori che non hanno subito alcun calo del fatturato.

Il costo non è tuttavia dovuto da parte di:

  • Aziende con una riduzione del fatturato nel primo semestre 2020 superiore al 20% rispetto al medesimo periodo del 2019;
  • Aziende costituitesi dopo il 1º gennaio 2019.

In particolare, per accedere alle seconde 9 settimane l’azienda, in sede di trasmissione della domanda, deve autocertificare l’eventuale riduzione del fatturato.

Una volta autorizzata dall’INPS la Cassa integrazione, il versamento del contributo deve avvenire a decorrere dal periodo di paga successivo quello nel corso del quale è stato rilasciato il provvedimento di concessione.

Facciamo l’esempio dell’azienda Alfa, la quale ha inoltrato richiesta di CIGO dal 1º agosto al 4 ottobre 2020 (prime 9 settimane).

Alfa inoltra domanda per la seconda tranche di CIGO dal 5 ottobre al 6 dicembre 2020, autocertificando un calo del fatturato pari al 15% nel primo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.

Il provvedimento di concessione della CIGO è emesso in data 6 novembre 2020, di conseguenza il datore dovrà versare il contributo addizionale pari al 9% della retribuzione globale (per le ore non prestate dai dipendenti in Cassa) a decorrere dal periodo di paga di dicembre 2020.

Gli importi saranno versati con modello F24 in scadenza il 18 gennaio 2021.

Periodi precedenti il 13 luglio 2020

Vale la pena ricordare che i Decreti legge “Cura Italia” (D.l. n. 18/2020 convertito in Legge n. 27/2020) e “Rilancio” (D.l. n. 34/2020 convertito in Legge n. 77/2020) hanno previsto un ricorso agli ammortizzatori sociali per COVID-19 pari a 9 settimane per periodi compresi tra il 23 febbraio e il 31 agosto 2020.

In aggiunta, sono state previste ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo, per un totale di 14.

Coloro che dimostrino di aver esaurito le 14 settimane di Cassa possono richiederne altre 4 portando così il totale a 18 settimane.

Cassa integrazione 2020: rapporto tra vecchie e nuove regole

Come devono comportarsi le aziende che hanno in corso periodi di Cassa chiesti in base alla vecchia normativa?

Sul punto l’INPS è intervenuta con il messaggio n. 3131 del 21 agosto 2020 chiarendo che le domande inoltrate e autorizzate dall’Istituto in base alle disposizioni del Decreto “Cura Italia” e “Rilancio” che si collocano, anche solo parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020 vengono automaticamente imputati alle prime nove settimane previste dal Decreto “Agosto”.

Questo significa che se l’azienda Alfa ha in corso una domanda di CIGO decorrente dal 1º maggio al 31 luglio 2020, chiesta in base alle vecchie disposizioni di legge (periodo di nove settimane più eventuali proroghe rispettivamente di cinque e quattro settimane), i giorni di Cassa cadenti dal 13 luglio in poi vengono considerati ai fini delle prime 9 settimane previste dal nuovo Decreto “Agosto”.

Clicca qui per avere la Circolare straordinaria sul Decreto Agosto 

Cassa integrazione 2020: scadenze domanda

Le domande di Cassa disciplinate dal decreto n. 104 devono essere trasmesse all’INPS, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa.

I modelli SR-41, da inviare all’Istituto nei casi di pagamento diretto degli ammortizzatori sociali, devono essere inviati entro la fine del mese successivo quello interessato dalla Cassa, ovvero, se posteriore, entro 30 giorni dall’adozione del provvedimento autorizzativo INPS

Tuttavia, il Decreto “Agosto” prevede che in sede di prima applicazione della norma le domande di Cassa decorrenti dal 13 luglio debbano essere inviate entro il 30 settembre 2020 anziché il 31 agosto. Lo stesso dicasi anche per l’invio dei modelli SR-41 in scadenza a fine agosto: nuovo termine 30 settembre 2020.

Lo slittamento del termine si applica anche alle richieste di ammortizzatori scadenti nel periodo 1º agosto – 31 agosto anche se disciplinate dalla vecchia normativa.

Lavoratori delle ex zone rosse

L’articolo 19 del decreto n. 104 prevede una specifica tutela per i lavoratori non destinatari degli ammortizzatori sociali per COVID-19 con i seguenti requisiti:

  • Residenti o domiciliati in comuni appartenenti alle ex zone rosse;
  • Che siano stati impossibilitati a raggiungere il luogo di lavoro causa i provvedimenti amministrativi che imponevano l’obbligo di permanenza domiciliare ed il divieto di allontanamento dal comune;
  • Dipendenti di aziende operanti esclusivamente in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto che, in considerazione dei provvedimenti amministrativi appena citati, abbiano sospeso l’attività per l’impossibilità dei soggetti di recarsi al lavoro.

I datori interessati possono presentare domanda di accesso agli ammortizzatori CIGO, CIG in deroga, CISOA e assegno ordinario, con causale “COVID-19 – Obbligo permanenza domiciliare”:

  • Per periodi decorrenti dal 23 febbraio al 30 aprile;
  • Per un numero di giorni pari alla durata dei provvedimenti amministrativi e comunque nel limite massimo di 4 settimane.

Le domande di accesso dovranno essere trasmesse all’INPS, allegando l’autocertificazione con i dati dell’autorità che ha emesso il provvedimento di permanenza domiciliare, entro il prossimo 15 ottobre.

In caso di pagamento diretto, i modelli SR-41 dovranno essere inviati entro il 15 novembre 2020.

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Mai come in questo periodo il tema degli ammortizzatori sociali è stato così sentito dall’intero sistema produttivo. In occasione della pandemia Covid19 ed alle conseguenti chiusure degli esercizi commerciali e dei siti produttivi il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto praticamente tutto il mondo del lavoro. Un vero stress-test dell’impianto disegnato dal D.lgs 148/15. Il decreto legislativo, inserito nella più ampia manovra passata alla storia come JobsAct, traendo esperienza dalla crisi del 2009 ha previsto al fianco degli ammortizzatori sociali “storici” (il sistema della cassa integrazione ordinaria e straordinaria) una copertura rispetto a settori, fino a quel momento, poco interessati alla gestione di temporanee crisi d’impresa. Le considerazioni che si possono fare a valle del dramma Coronavirus, ed alle conseguenze che lo stesso ha determinato nel mondo del lavoro ed al nuovo assetto che ne deriva degli ammortizzatori sociali, sono diverse. Partirei dal porre quattro questioni che ritengo primarie:1) ha senso disegnare tanti sistemi e procedure diverse per affrontare i medesimi problemi? Non sarebbe più corretto giungere ad un meccanismo unico per rispondere alle crisi d’impresa?2) in che rapporto si deve porre sistema di ammortizzatori conservativi con un meccanismo di politiche attive del lavoro che favorisca la mobilità e la ricollocazione della forza lavoro?3) se il beneficiario dell’ammortizzatore sociale è il lavoratore come inquadrare l’inadempienza contributiva del datore di lavoro? Quali le sue conseguenze?4) chi deve pagare il sistema di ammortizzatori sociali? Il mondo del lavoro o la fiscalità generale?Sono quesiti importantissimi quelli che ci lascia come eredità la crisi della pandemia del 2020. Per provare a fornire una complessiva, sia pure in termini generali, risposta ritengo che sia necessario partire dalla valutazione di quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato in questi mesi.Avere tanti strumenti differenti suddivisi per tipologia e dimensione d’impresa crea una difficoltà enorme di gestione del sistema obbligando sia gli operatori professionali (consulenti del lavoro) che la PA ad impiantare, conoscere e manutenere sistemi tecnologici differenti. La tecnologia in una situazione del genere diventa un amplificatore di burocrazia. Esattamente il contrario dell’approccio digitale ai problemi. Un sistema non si semplifica trasformando moduli cartacei in digitali, si semplifica utilizzando l’analisi digitale per un suo ripensamento. Quindi uno strumento “tagliato su misura” per ogni impresa non diventa sinonimo di strumento idoneo, al contrario crea una babele di procedure nella quale è difficile districarsi. A tutto ciò deve aggiungersi che il D.lgs 148 ha previsto la creazione di ammortizzatori sociali di comparto, i fondi bilaterali, creati dalle forze sociali di settore. Un simile impianto prevede un presupposto fondamentale. La chiarezza di chi sia rappresentativo di un settore e quale sia la contrattazione collettiva di effettivo riferimento. Senza di ciò il sistema di finanziamento di questi fondi rischia di entrare in quel complesso di dubbi interpretativi che ha sempre accompagnato gli istituti presenti nella cd. “parte obbligatoria” del CCNL alla stregua degli enti bilaterali, della sanità integrativa o della previdenza complementare. In definitiva se non si parte dalla vigenza erga omnes di talune disposizioni diventa impossibile pretendere la contribuzione e, conseguentemente in un sistema puramente assicurativo, la prestazione.Veniamo al punto successivo. In mancanza di contribuzione manca la prestazione. Questo è evidente in un impianto assicurativo classico ma il concetto è difficilmente traslabile in un meccanismo di sicurezza sociale in cui il contraente (datore di lavoro) ed il beneficiario (lavoratore) sono soggetti diversi. La prestazione consente di evitare il licenziamento del lavoratore ed il mantenimento del rapporto di lavoro sia pure in fase di temporanea sospensione. Si evita di generare disoccupazione involontaria. Pertanto, in ossequio all’art. 38 Cost., dovrebbe valere, per ogni tipologia di ammortizzatore, il principio dell’automaticità della prestazione fermo restando l’obbligo contributivo del datore di lavoro.   Altro tema importante è quello relativo alla funzione propria degli ammortizzatori sociali. Il nome stesso “ammortizzatore” evoca la funzione di quel meccanismo che serve ad evitare colpi improvvisi ed a superare dossi o avvallamenti stradali con il minor danno possibile. Sul punto il richiamato D.lgs 148/15 aveva ben introdotto meccanismi che impedissero l’attivazione degli strumenti per funzioni diverse (pensiamo al caso di cessazione dell’attività aziendale) promuovendo in tali circostanze meccanismi di presa in carico del lavoratore da parte dei servizi di ricollocazione con supporto della assicurazione sociale per l’impiego (naspi). Negli anni questi concetti sono stati un po’ lasciati in disparte dal sistema che ha preferito “tornare all’antico” accantonando la ricollocazione dei lavoratori, propria delle politiche attive del lavoro, e privilegiando il sostegno al mancato reddito riprendendo quindi temi di politiche passive del lavoro. Un meccanismo così impostato rende difficile ipotizzare riprese occupazionali visto anche il dichiarato e mai realizzato potenziamento tecnico/organizzativo dei centri per l’impiego ai quali l’avvento della figura dei “navigator” non ha fornito alcun beneficio concreto.Ultimo tema sollevato è quello relativo al finanziamento degli ammortizzatori sociali. La questione è molto ampia e delicata. Mi limito solo a segnalare che la risposta dipenderà dalla funzione che il sistema darà agli stessi. Se rimanessero nell’alveo di uno strumento temporaneo di “sicurezza aziendale” il loro costo non potrà che essere a carico delle imprese e dei lavoratori. Se invece si evolvesse a meccanismo di generale ed universale difesa dalla povertà (reddito di cittadinanza), ancorchè temporanea, del lavoratore potrebbe aprirsi un tema di riconsiderare come destinatario del costo non il mondo del lavoro ma l’intera collettività. In questo caso l’aggravio per la fiscalità generale sarebbe compensato dal minor onere per le imprese che potrebbe tradursi con maggior gettito salariale e quindi maggior introito fiscale.Tematiche ampie e strutturali. Sicuramente lo stress test Covid19 non passerà inosservato anche in tema di ammortizzatori sociali che saranno probabilmente ristrutturati. Come ogni crisi, anche questa, avrà come conseguenza elementi di miglioramento. L’economista Joseph Schumpeter insegnava che proprio dalla crisi, la cui etimologia greca fa riferimento al cambiamento, deriva ogni miglioramento sociale. Speriamo valga anche questa volta.Paolo Stern – presidente Nexumstp S.p.A.Paolo SternConsulente del Lavoro in Roma. Socio fondatore di Nexumstp Spa. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.Sara Di NinnoDottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Nexumstp Spa. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.Massimiliano Matteucci Consulente del Lavoro in Roma, Socio Nexumstp spa. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università La Sapienza di Roma e preso l’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.Lorenzo Sagulo Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Nexumstp Spa nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali. 

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La grave crisi economica che ha attraversato il nostro Paese ha spinto il legislatore ad intervenire, più volte, sul sistema degli ammortizzatori sociali, agendo su quelli esistenti e creandone di nuovi. Questa nuovissima Guida analizza gli istituti della cassa integrazione guadagni ordinaria, delle integrazioni salariali straordinarie e dei Fondi di solidarietà bilaterali, questi ultimi istituiti dalla riforma “Fornero” e resi operativi dal D.lgs. n. 148/2015, tenuto conto delle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2017 e dei più recenti e rilevanti documenti di prassi: › Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 13 febbraio 2017, n. 3 (trattamenti di integrazione salariale straordinaria) › Circolare INPS n. 36 del 21 febbraio 2017 (importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale) › Circolare INPS n. 9 del 19 gennaio 2017 (aspetti operativi sostanziali della nuova disciplina degli ammortizzatori sociali). Il testo esamina la nuova disciplina degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto e chiarisce le modalità concrete di applicazione dei diversi strumenti di integrazione salariale, dalle causali d’intervento alla procedura da seguire e durata delle misure adottate, senza tralasciare gli aspetti previdenziali. Particolare attenzione viene data all’analisi dei Fondi di solidarietà bilaterali quali forme di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro alle imprese per le quali non sia applicabile la disciplina relativa alla cassa integrazione e illustra le varie tipologie di Fondi previsti dalla normativa vigente e le loro finalità.PAOLO STERN Consulente del Lavoro in Roma. È Partner dello Studio Stern Zanin STP. Componente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. Autore di numerose pubblicazioni in materia di lavoro e relatore a convegni e seminari. Professore a contratto presso università pubbliche e private.SARA DI NINNO Dottore in Scienze politiche e Relazioni internazionali, collaboratrice area normativa del lavoro presso Stern Zanin. Specializzata in Diritto del lavoro e Relazioni industriali, è dottore di ricerca in Diritto pubblico, comparato ed internazionale, con tema di ricerca in Diritto del lavoro internazionale, e docente in corsi di formazione in materia di disciplina del rapporto di lavoro.MASSIMILIANO MATTEUCCI Consulente del Lavoro in Roma, associato dello Studio Stern Zanin. Laureato in Economia. Specializzato in normativa di Diritto del lavoro e previdenza sociale. Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto del lavoro dell’Università Niccolò Cusano di Roma. Membro del Centro Studi dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro Roma, relatore a convegni e seminari. È articolista per la rivista TWOC dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma. Consulente Asseveratore Asseco.LORENZO SAGULO Laureato in Economia e Gestione delle imprese all’Università degli Studi “Roma Tre”. Collabora con Stern Zanin nell’area consulenza del lavoro. È specializzato in normativa di Diritto del lavoro e relazioni industriali.

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SMART WORKING E CORONA VIRUS

Lo sviluppo delle nuove tecnologie e il processo di digitalizzazione, denominato Industria 4.0, che coinvolge l’attuale contesto economico e sociale, ha determinato necessariamente dei cambiamenti anche nel modo di concepire la prestazione lavorativa, ad oggi caratterizzata dalla destrutturazione spazio-temporale.La flessibilità degli orari e del luogo della prestazione di lavoro, diventa una necessità ed una soluzione che grazie all’utilizzo dell’ ITC (information technology) si realizza concretamente.Le nuove tecnologie, in particolare quelle collaborative ed i social media, hanno concesso la possibilità di mettersi in contatto con chiunque ed in qualsiasi momento, e ciò ha completamente stravolto la cultura d’impresa.Invero, il sempre maggiore utilizzo di internet nonchè dei nuovi mezzi di comunicazione ha fatto sì che le distanze venissero meno o comunque si accorciassero, modificando notevolmente quello che era il modo di lavorare e di fare impresa.A tal proposito il diritto del lavoro si trova a fare i conti con queste nuove esigenze che necessitano di un intervento regolativo.Con la legge 81/2017 è stato introdotto e disciplinato il “Lavoro Agile”, meglio definito “Smart Working” e, per la prima volta in Italia, tale specifica modalità di svolgimento della prestazione lavorativa è stata inserita all’interno di un quadro normativo, che verrà trattato nel proseguo.Lo Smart Working, più precisamente, può essere definito come quell’“insieme di modelli organizzativi, moderni e non convenzionali, caratterizzato da un elevato livello di flessibilità nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti di lavoro, e che fornisce a tutti i dipendenti di un’azienda le migliori condizioni di lavoro”.Una delle tendenze che caratterizza il mercato del lavoro è, senza ombra di dubbio, la richiesta di flessibilità da parte dei lavoratori e di soluzioni che diano risposta al loro bisogno di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.Ed infatti la ratio posta alla base della L. 81/2017 è rappresentata proprio dall’incremento della competitività e della conciliazione dei tempi vita lavoro definito come work life balance.Questo concetto assai significativo consiste proprio nel bilanciamento tra il tempo dedicato al lavoro e alla carriera e quello dedicato a prendersi cura della famiglia e del proprio tempo libero.Le difficoltà nel gestire e bilanciare i tempi di vita nonché quelli di lavoro possono comportare, ancora, un ulteriore costo per il lavoratore in termini di riduzione del benessere; ciò può portare di conseguenza anche a compromettere la qualità della prestazione lavorativa e la produttività delle ore dedicate al lavoro.Come emerge dagli ultimi dati elaborati dall’Osservatorio smart working, i lavoratori smart mediamente presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che lavorano in modalità tradizionale: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi. Inoltre, sono più soddisfatti dell’organizzazione del proprio lavoro (il 31% degli smart worker contro il 19% degli altri lavoratori), ma anche delle relazioni fra colleghi (il 31% contro il 23% degli altri) e della relazione con i loro superiori (il 25% contro il 19% degli altri).Tutto ciò naturalmente, comporta risvolti positivi anche nei confronti delle aziende, tra questi spiccano l’incremento di produttività, la riduzione del tasso di assenteismo, la capacità di attrarre i talenti, l’aumento dell’engagement, il miglioramento delle competenze digitali e l’ottimizzazione della gestione degli spazi.Uno spazio all’interno di questa trattazione è dedicato agli ultimi interventi normativi circa l’utilizzo dello smart working come strumento per consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa nella situazione di emergenza in cui si trova il nostro paese, dovuta al diffondersi del virus Covid-19.Massimiliano MatteucciConsulente del Lavoro in Roma. Partner Nexumstp Spa. Cultore della materia e Professore a contratto presso università pubbliche e private. Autore di numerose pubblicazioni in materia di Lavoro e relatore a convegni e seminari.

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